Recensione X. L'ossessione del tempo perduto

[La recensione contiene spoiler.]

 


X è un film che dà nuova linfa al genere horror. Ti West ne è regista, sceneggiatore e co-produttore e torna al cinema dopo sei anni, in cui è stato regista per singoli episodi di differenti serie tv.

Il film è ambientato in Texas, nel 1979, e si apre con due poliziotti che scoprono una carneficina all’interno di una casa di campagna. Un flashback ci porta a prima della strage: una troupe raffazzonata è in viaggio verso quella casa, dove gireranno un film porno di ambientazione bucolica. Questa la trama, in cui si muove il classico gruppo di giovani votato al massacro. Ma è proprio così?

 


I personaggi della troupe sono sei. Maxine (Mia Goth) è una giovane donna, libera da ogni tabù, il cui unico obiettivo è raggiungere quel successo a cui si sente inevitabilmente destinata. La ballerina di burlesque Bobby-Lynne è l’attrice più matura, ma ancora affascinante, emancipata e forte, nonostante nutra qualche dubbio su Maxine, che rappresenta la versione più giovane e promettente di lei. Al contrario, Jackson è un ex marine afroamericano uscito dalla guerra del Vietnam, che vive la sua sessualità con un certo narcisismo e con molta autostima. È però anche altruista, come quando cerca di aiutare Howard, il proprietario della casa, a trovare la moglie, scelta che gli risulta fatale.

Il produttore Wayne e il regista RJ sono invece due figure complementari: il primo nutre sogni di gloria sul film che sta producendo, intenzionato a farlo circolare sul nuovo mercato delle videocassette; il secondo è un giovane che punta sulla pellicola per mostrare le proprie abilità, trasformando un semplice film porno in un film d’autore. La trasformazione in cui lui fallisce riesce invece alla fidanzata, Lorraine (Jenna Ortega), che da timida e timorosa assistente regista diventa a sua volta attrice pornografica, in un percorso di emancipazione che la libera dalla megalomane figura del fidanzato e dai propri tabù.

I proprietari della casa, i vecchi Howard e Pearl (interpretata sempre da Mia Goth), sono ignari delle intenzioni della troupe e l’uomo si mostra scontroso fin dal primo incontro. Maxine è la prima a conoscere la moglie, una donna imbruttita e disperata per la perdita della bellezza che l’aveva resa desiderata. La vecchia tenta di avere un rapporto sessuale con Howard, per sentirsi ancora giovane e dare sfogo alla sua repressione, ma l’uomo la respinge parlando dei suoi problemi di cuore. Così Pearl, in uno stato allucinato, seduce RJ e, allontanata, lo uccide brutalmente. Inizia così la serie di omicidi contenuti nel film, dopo un’attesa carica di suspense.

 


Dall’analisi dei personaggi si ricava il tema centrale: il rapporto tra bellezza e invecchiamento e il dramma vissuto da chi non è in grado di accettare lo scorrere del tempo. Il piacere incontrollato, o il vizio di cui parla il pastore nei sermoni mostrati alla tv, sono l’altra faccia della medaglia di questa non accettazione. La figura della vecchia, topos dell’horror (per esempio nel sottogenere psycho-biddy) non è qui la consueta religiosa bacchettona: anzi, la donna riconosce di essere stata anche lei edonista e si identifica in quelle pornoattrici.

L’impressione che se ne può ricavare è di un personaggio non solo attuale, ma futuristico, mascherato dietro la patina retrò del 1979: Pearl sembra infatti simboleggiare le giovani generazioni di oggi proiettate nel tempo, tra una cinquantina d’anni. Le generazioni dell’estetica, dell’esteriorità e dei modelli di perfezione stravolti dall’inevitabile “fine dei giochi”.

L’impianto moralistico del film è però solo apparente, sul modello del celebre film di Tobe Hooper, e il tutto si sostanzia in una tragica ironia, segnalata dalle scene finali. Dopo una fase di delirio estremo, il vecchio Howard ha un infarto provocato dallo spasmo del cadavere di Lorraine, che dall’aldilà lo uccide in una beffa. E dopo la classica pistola scarica con cui Maxine tenta di uccidere Pearl, questa viene ferita dal rinculo del fucile che aveva tra le mani. Maxine, ancora certa del grande destino che la attende, finisce la vecchia decapitandola con il furgone, in un finale liberatorio che è anche un’affermazione della vita sul bigottismo, la morte e la decadenza.



I riferimenti cinematografici di X sono molteplici. Il principale è Non aprite quella porta, ma altri horror trovano il loro spazio, da Shining ad Alligator, a cui si aggiungono citazioni di film pornografici quali Blue Movie e Boogie Nights. Ulteriori elementi sono ispirati ai film di Quentin Tarantino (Grindhouse su tutti), più sotto il profilo estetico, mentre nei contenuti è centrale Alfred Hitchcock, non solo per Psycho.

Ci sono due scene in cui il pathos alla Hitchcock è evidente. Ti West sceglie di mostrare il pericolo prima che la vittima se ne renda conto: il personaggio viene posto in una situazione in cui agisce in modo inconsapevole, mentre lo spettatore osserva impotente. Così avviene in una scena iniziale, quando Bobby-Lynne nuota in un lago abitato dai coccodrilli e il regista ci mostra una visione dall’alto in cui il rettile si avvicina alle sue spalle, preludio della morte che la coglierà solo più tardi. O ancora, in una scena successiva troviamo Wayne che cammina scalzo in una stalla, di notte, e il regista ci mostra la camminata dalla prospettiva del chiodo sporgente verso il quale si sta dirigendo.

 


Queste scelte rendono merito anche al montaggio di David Kashevaroff, dove interviene direttamente Ti West. Un altro punto rende riuscito questo aspetto. Spesso, al culmine della violenza, le scene vengono interrotte bruscamente, come se una parte dei frame fosse già flashback, oppure vengono alternate a scene di un’altra storyline, come a mostrare una ricostruzione “filologica” di tutte le azioni che si stanno svolgendo. Un esempio. Quando vediamo Wayne con un occhio infilzato, un istante dopo ci vengono mostrati i sopravvissuti: crediamo che la scena dell’omicidio si sia conclusa con un colpo violento, ma subito veniamo riportati nella stalla, quando la lama viene sfilata dall’occhio. L’effetto è inaspettato e viene ripreso in altri punti del film, senza mai scadere nella ridondanza.

Infine, una menzione alla colonna sonora, composta da Tyler Bates e Chelsea Wolfe, in cui agli inediti si alternano classici degli anni Sessanta e Settanta, tra cui (Don’t Fear) The Reaper dei Blue Öyster Cult e una bella interpretazione di Landslide dei Fleetwood Mac.

Come definire dunque il film? Per gli amanti dell’horror, X è uno slasher imprescindibile, tributo ai classici ma anche opera originale. Non un capolavoro, e forse il suo pregio risiede più nella forma che nella sostanza, ma è una pellicola che porta nuova linfa al genere, rinsalda le attrici Mia Goth e Jenna Ortega nel panorama horror e dà vita a una nuova saga, con l’uscita del prequel Pearl.

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