Monografie d'arte. Gian Lorenzo Bernini

 

Gian Lorenzo Bernini, Autoritratto (1623 ca)

  

Quale fu la formazione di Bernini?

 

Gian Lorenzo Bernini nacque a Napoli nel 1598. Il padre, Pietro, era uno scultore fiorentino, dal quale egli trasse i rudimenti dell’arte scultorea. La famiglia si trasferì a Roma nel 1605; tra le opere, il padre realizzò un rilievo con l’Incoronazione di Clemente VII, posto sulla tomba del pontefice, nella cappella Paolina della basilica di Santa Maria Maggiore.

Gian Lorenzo affiancò il padre in questa fase, come si evince dal Fauno che scherza con amorini (1614 ca), conservato al Metropolitan Museum di New York: su modello tardo ellenistico, anche nella reinterpretazione ironica del tema mitologico, la scultura ravvivava l’impianto formale manieristico. Nella Capra Amaltea, eseguita forse con l'aiuto del padre, il giovanissimo Bernini anticipò alcuni elementi che avrebbero caratterizzato la sua innovazione.

Già nei primi anni romani, l’artista si occupò di restauro di statue antiche, come l’Ermafrodito oggi al Louvre di Parigi, a cui aggiunse un materassino marmoreo, e l’Ares della collezione Ludovisi, a cui integrò le parti mancanti, lasciando però che si notasse la differenza, in un’operazione di restauro che anticipò alcune intuizioni successive in materia.

 

Gian Lorenzo Bernini, Capra Amaltea (1615)

Chi furono i primi committenti?

 

Attraverso il padre, i primi committenti furono i Borghese, i Barberini, gli Aldobrandini. Nello specifico, papa Paolo V Borghese e il cardinale Scipione Borghese: per quest’ultimo realizzò soggetti profani quali Enea, Anchise e Ascanio, il Ratto di Proserpina, Apollo e Dafne. Anche il David è di quel periodo.

Il cardinale Maffeo Barberini, già nunzio apostolico a Parigi e legato pontificio a Bologna, fu eletto papa nel 1623, con il nome di Urbano VIII: nella chiesa di Santa Bibiana, Bernini si trovò al fianco di Pietro da Cortona, che affrescava gli interni. Per la realizzazione del baldacchino di San Pietro, dovette attingere alle proprie capacità di direzione: il bronzo fu asportato dal portico del Pantheon e Bernini si servì della collaborazione del padre e del fratello Luigi. Il pontefice gli affidò anche il proprio sepolcro: la statua che lo rappresenta sovrasta il sarcofago con un atteggiamento imperioso.

L’artista lavorò anche per altri membri della famiglia Barberini, tra cui il cardinale Francesco, per il quale modificò il progetto di Carlo Maderno relativo alla costruzione del palazzo alle Quattro Fontane.

 

Pietro da Cortona,
Ritratto di papa Urbano VIII (1627)

Chi furono i committenti dal 1644 alla morte?

 

Il pontificato di Innocenzo X Pamphilj (1644-55) interruppe l’esercizio totale del potere da parte dei Barberini: con il trattato di Westfalia (1648), essi dovettero emigrare e le finanze pubbliche subirono un processo di risanamento. In questa fase, Francesco Borromini ottenne numerose commissioni. Bernini continuò comunque a operare, per esempio nella decorazione della navata di San Pietro e nell’incarico, voluto dal principe Nicolò Ludovisi, di realizzare la fontana dei Quattro Fiumi a Piazza Navona. Si occupò soprattutto della cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria, mostrando i membri della famiglia Cornaro che osservano la transverbazione di santa Teresa.

Nel 1655, divenne papa Fabio Chigi, col nome di Alessandro VII: discendente dell’umanista Agostino Chigi, fu anch’egli, come i precedenti pontefici, un intellettuale. Bernini sistemò piazza del Popolo e la chiesa di Santa Maria del Popolo; si occupò del corredo di statue della cappella dei Chigi. A San Pietro, realizzò la Cattedra e il colonnato ellittico. Altri lavori lo coinvolsero alla chiesa di Castel Gandolfo, alla collegiata di Ariccia e alla cappella Chigi nel duomo di Siena.

In questo periodo, Bernini fu soprattutto architetto e come tale gli fu concesso di andare alla corte di Luigi XIV, per operare sul palazzo del Louvre. I progetti erano però legati al barocco romano più che al gusto francese, e rimasero sulla carta. Crebbe negli ultimi anni il pathos religioso, già presente nel progetto del monumento funebre ad Alessandro VII, realizzato dagli allievi, in cui il pontefice è inginocchiato e assorto nella preghiera.

Per papa Clemente IX Rospigliosi fece la teoria degli Angeli con i simboli della Passione, che dovevano essere posti su ponte Sant’Angelo: per la loro bellezza, il pontefice li fece collocare a Sant’Andrea delle Fratte e i suoi allievi realizzarono altre versioni. Innocenzo XI non gli commissionò nulla; Bernini morì pochi anni dopo la sua elezione, nel 1680.


Diego Velázquez, Ritratto di Innocenzo X (1650)

Enea, Anchise e Ascanio (1618-19)


Opera conservata alla Galleria Borghese, Roma.

È la prima scultura del gruppo di quattro opere commissionata dal cardinale Scipione Borghese, per arredare la sua villa fuori Porta Pinciana. L’artista aveva concepito una collocazione precisa per il gruppo, che doveva sfruttare l’illuminazione dalle finestre e riflettere sul rapporto con il visitatore-osservatore. Questa concezione è solo in parte recuperata nell’odierna esposizione nella Sala del Gladiatore alla Galleria Borghese.

Il soggetto è tratto dal secondo libro dell’Eneide, in cui si narra la fuga dei tre da Troia in fiamme. Vengono mostrate tre generazioni: il padre Anchise, il figlio Enea e il nipote Ascanio. Enea porta il vecchio sulle spalle, in quanto paralizzato alle gambe, e Anchise regge il vaso con i Lari tutelari, le ceneri degli antenati. Il giovane figlio di Enea stringe invece l’eterno fuoco del tempio di Vesta, destinata a vitalizzare la città di Roma.

Le tre generazioni consentono a Bernini di evidenziare la propria bravura tecnica nella definizione dei particolari fisici di ogni età. Da un punto di vista espressivo, i tre mostrano un equilibrio tra emozioni negative (paura, premura) e positive (eroica sopportazione, speranza). I particolari fisici e la struttura stessa della composizione, una spirale che si proietta in verticale e in avanti, sono frutto di una riflessione su artisti come Raffaello (Incendio di Borgo) e Caravaggio (San Girolamo).

 

Gian Lorenzo Bernini,
Enea, Anchise e Ascanio (1618-19)

Ratto di Proserpina (1621-22)


Opera conservata alla Galleria Borghese, Roma.

La scultura piacque a tal punto a Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII, che egli compose un distico in latino per elogiarne le qualità. Il committente, Scipione, la donò poco tempo dopo al cardinale Ludovico Ludovisi, forse per ragioni politiche.

Il soggetto riprende il mito di Proserpina, figlia della dea Cerere, rapita dal dio dei morti, Plutone. La madre, per la disperazione, smise di occuparsi della fertilità dei campi e nel mondo si diffuse una carestia. Giove intervenne e trovò un compromesso: per sei mesi Proserpina avrebbe vissuto tra i vivi (generando primavera ed estate) e per sei mesi tra i morti (autunno e inverno).

Bernini sceglie di rappresentare l’istante in cui Proserpina viene afferrata dal dio, avendo a mente Il ratto delle Sabine di Giambologna, che dovette sembrargli una sfida avvincente. Al culmine del pathos le emozioni si fanno gesto e i volti mostrano tutta la loro carica espressiva. Plutone si distingue per la corona e lo scettro, mentre Cerbero, ai suoi piedi, protegge la divinità. Proserpina si oppone, ma Plutone la stringe a tal punto da imprimere le dita nelle sue cosce, in uno dei dettagli più famosi della storia dell’arte, per la capacità dell’artista di rendere la morbidezza del corpo nel duro marmo.

Bernini impiegò il trapano tra i riccioli di Plutone e ne aggrottò la fronte, rendendo il volto più oscuro. Il corpo è possente e ben saldo a terra, nonostante lo sforzo. Proserpina tenta invano di divincolarsi e allontana il dio con il braccio sinistro; la sua posizione slanciata conclude il moto a spirale della composizione.

 

Gian Lorenzo Bernini,
Ratto di Proserpina (1621-22)

David (1623-24)


Opera conservata alla Galleria Borghese, Roma.

La commissione originaria proveniva dal cardinale Alessandro Peretti: dopo la sua morte, il cardinale Scipione Borghese si interessò al lavoro.

Il soggetto è tratto dal noto tema biblico del lancio del sasso da parte di David contro il gigante Golia, ma la scultura rappresenta la virtù eroica più che la rappresentazione dell’evento biblico.

Bernini scelse di rappresentare l’attimo che precede l’attacco. L’espressione di David è concentrata; è evidente il grande sforzo fisico e morale a cui è sottoposto, come risulta dalle ciglia aggrottate, dallo sguardo fermo e deciso e dal morso al labbro inferiore. Sembrerebbe inoltre che il volto costituisca un autoritratto.

Come per le altre opere del gruppo, anche questa è apprezzabile a tutto tondo. In particolare, di lato emerge l’instabilità della figura e frontalmente si coglie l’attimo di sospensione che precede un grande moto. Ai piedi di David, la pesante corazza di re Saul, di cui si era liberato, e la cetra che avrebbe suonato dopo la vittoria. Questa è composta da una testa d’aquila, che rimanda alla dinastia del committente, la famiglia Caffarelli-Borghese.

 

Gian Lorenzo Bernini, David (1623-24)


Apollo e Dafne (1622-25)


Opera conservata alla Galleria Borghese, Roma.

La scultura era stata iniziata nel 1622, ma Bernini interruppe l’esecuzione per portare a termine il David. Per Apollo e Dafne, lo scultore si affidò a un membro della sua bottega, Giuliano Finelli, per definire foglie e radici. Si tratta di uno dei più grandi capolavori di Bernini, come fu riconosciuto già dai contemporanei e dai posteri, persino dal nobile storico dell’arte Leopoldo Cicognara, noto detrattore dell’epoca barocca.

Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e racconta di come Apollo, colpito dalla vendetta di Cupido, che aveva offeso, perse la testa alla vista della ninfa Dafne. Questa, colpita da Cupido con una freccia dall’opposto effetto, prese a fuggire dal dio, finché – messa alle strette – implorò il padre, il dio-fiume Peneo, di salvarla. Così Peneo trasformò Dafne in un albero d’alloro, che divenne così sacro ad Apollo.

Bernini mostra l’istante in cui Apollo sfiora la ninfa: il suo corpo è teso e muscoloso; il peso poggia sul piede destro, mentre la gamba sinistra è sospesa in aria. Il vento smuove i suoi capelli e la veste. Dafne lotta per sfuggire al dio e il busto è inarcato: la metamorfosi è cominciata; il piede sinistro è già radice, il destro è in trasformazione; il corpo sta per essere avvolto dalla corteccia; le mani aperte stanno diventando ramoscelli d’alloro. Sul suo volto vi è il terrore di chi fugge da un aggressore, ma anche il sollievo per essere sfuggita. Apollo, invece, ha uno sguardo sorpreso. I due corpi, impostati da Bernini su due archi, dialogano a livello materico, con il diverso trattamento delle carni e degli elementi naturali e attraverso l’effetto luministico, con la luce che colpisce i rilievi e adombra i capelli dei soggetti e la veste di Apollo.

 

Gian Lorenzo Bernini,
Apollo e Dafne (1622-25)


Baldacchino di San Pietro (1624-33)


Opera situata nella basilica di San Pietro in Vaticano.

La struttura è un ciborio inserito nello spazio semicircolare della confessione, a indicare il luogo del sepolcro di san Pietro. Nella tradizione cristiana cattolica indica quell’arredo liturgico situato presso l’altare maggiore. Bernini riesce a unire architettura e scultura in un’opera monumentale, coadiuvato dal altri artisti, tra cui il fratello Luigi, lo scultore Stefano Maderno e lo storico avversario, Francesco Borromini. Presero parte all’impresa anche fonditori e scalpellini.

Saltano all’occhio le colonne tortili, alte undici metri, con alti basamenti in pietra e capitelli compositi. Le colonne presentano elementi naturalistici in bronzo (tralci di lauro, lucertole, api). La loro forma suggerisce un movimento ascendente, che trasporta alla cupola di Michelangelo.

Quattro dadi di ispirazione brunelleschiana congiungono le colonne alla trabeazione. Le parte superiore è composta da statue di angeli e putti, disegnate da Borromini, che reggono festoni. Uno di questi putti alza al cielo un corpo d’ape rovesciato, simbolo della famiglia Barberini, di cui il pontefice Urbano VIII era esponente. Sulla cima della struttura, un globo con la croce. Ogni scultura ha subito un effetto di doratura.

 

Gian Lorenzo Bernini,
Baldacchino di San Pietro (1624-33)

Fontana del Tritone (1642-43)


Opera situata a piazza Barberini, Roma.

La fontana era parte dei lavori di riorganizzazione di palazzo Barberini, edificio che Urbano VIII aveva fatto costruire nel 1625, in un’armonia di edifici secenteschi poi perduta con il nuovo assetto urbanistico dell’Ottocento.

Il soggetto è il dio marino Tritone, ripreso nel primo libro delle Metamorfosi di Ovidio, dove si narra che suonasse in una buccina per annunciare il trionfo degli dèi. A livello iconografico, l’ispirazione venne dallo stesso soggetto realizzato da Stefano Maderno per la fontana dell’Aquila, poi collocata nei Giardini Vaticani. I delfini furono ripresi invece da Nicolas Cordier, che li aveva scolpita sempre per la collocazione nei giardini.

La fontana è di travertino ed è costituita da una vasca mistilinea, sormontata da quattro delfini, che con le code reggono una conchiglia aperta. Al centro di essa, si erge Tritone, dal corpo possente e in parte ricoperto di squame, che soffia in una conchiglia a forma di cono, dalla quale esce l’acqua. Tra le code sono inoltre mostrati due stemmi papali con tre api, simbolo dei Barberini. La novità tecnica portata da Bernini consiste nel non far poggiare il gruppo centrale su un pilastro centrale, ma sulle code dei delfini, lasciando così un vuoto al centro che conferisce slancio alla composizione.

 

Gian Lorenzo Bernini,
Fontana del Tritone (1642-43)


Fontana dei Quattro Fiumi (1648-51)


Opera situata a piazza Navona, Roma.

Qui Bernini si occupò del progetto, poi realizzato da diversi scultori, tra cui Antonio Raggi, principale allievo e poi collaboratore dell’artista. La commissione proveniva da papa Innocenzo X, che a piazza Navona stava portando avanti i lavori di palazzo Pamphilj: indisse un concorso, al quale partecipò anche Borromini, ma Bernini ebbe la meglio con il suo modello d’argento in scala.

Il soggetto rappresenta i principali fiumi della Terra, secondo la conoscenza del tempo: Danubio, Gange, Nilo e Río de la Plata. A sovrastarli, l’obelisco Agonale, proveniente dal circo di Massenzio e all’epoca in rovina. Bernini riprese l’idea tecnica impiegata nella Fontana del Tritone: l’obelisco poggia su una struttura cava, sulla quale si adagiano gli spigoli del monolite.

Le statue in marmo bianco rappresentano giganti, allegorie dei fiumi, e sono posti su uno scoglio centrale in travertino. Il Danubio accoglie uno stemma della famiglia Pamphilj; il Nilo si copre il volto a indicare l’allora oscurità della sua fonte; il Río de la Plata ha un sacco con monete d’argento, a indicare il colore delle sue acque; il Gange regge un lungo remo a indicarne la navigabilità. Nell’opera sono presenti sette animali: i delfini dello stemma Pamphilj, un cavallo che esce dalle rocce pronto a galoppare sulle pianure danubiane; un leone; un coccodrillo, un drago; un serpente di terra e uno di mare. Si aggiunge una colomba bronzea, sulla cima dell’obelisco, a completare la struttura. Non mancano poi piante e frutti, tra cui palme africane, peonie, agavi e fichi d’India. L’intento di Bernini è dunque di stupire, con una continua scoperta di dettagli esotici da parte dell’osservatore che si muova intorno alla fontana. Ad accrescere la meraviglia, gli effetti illusionistici: le palme e la criniera del cavallo sono smosse dal vento e l’aggiunta di colore alle rocce e alle piante arricchiva la fruizione.

 

Gian Lorenzo Bernini,
Fontana dei Quattro Fiumi (1648-51)

Estasi di Santa Teresa d’Avila (1645-52)


Opera conservata nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, Roma.

Questo capolavoro di Bernini unisce architettura, scultura e pittura: la cappella Cornaro, nel suo insieme, è il culmine dell’idea berniniana della totalità e integralità dell’Arte. Lo stesso artista la considerò la sua opera più bella. La cappella si trasforma in una rappresentazione teatrale: Bernini amplia la profondità del transetto e apre sulla parete di fondo una finestra a vetri gialli, per trovare una nuova fonte di luce. Ai lati della santa vengono realizzati dei palchetti che mostrano i personaggi della famiglia Cornaro, posti davanti a questo impeto devozionale, ma tutto sommato distaccati, come se appunto stessero osservando uno spettacolo teatrale.

Il soggetto è una mistica spagnola vissuta nel Cinquecento, nell’atto di vivere una transverberazione, ovvero la trafittura al cuore da parte di uno spirito celeste, che opera una purificazione d’amore accompagnata da visioni. La santa è semidistesa su una nuvola che ascende. Bernini dimostra ancora una volta la sua abilità nel lavorare il marmo, rendendolo morbido, come si vede nel drappeggio della veste vaporosa, che ricorda più la pittura che la scultura. Il viso è dolce, rivolto al cielo con labbra e occhi semichiusi: un cherubino le scosta le vesti per colpirla al cuore, simboleggiando l’amore di Dio.

 

Gian Lorenzo Bernini,
Estasi di Santa Teresa d'Avila (1645-52)


Cattedra di San Pietro (1656-65)


Opera situata nella basilica di San Pietro in Vaticano.

La cattedra è un trono ligneo, che nel Medioevo si identificava con la cattedra (seggio) vescovile appartenuta all’apostolo Pietro: è in realtà un dono dell’875, fatto dal re dei Franchi Carlo il Calvo a papa Giovanni VIII.

Bernini realizzò un trono in bronzo dorato, che contiene questa cattedra lignea, e lo collocò nell’abside di fondo della basilica. Quattro statue in bronzo ritraggono i dottori della Chiesa (Agostino, Ambrogio, Atanasio, Giovanni Crisostomo), che sorreggono la cattedra. Questa sembra librarsi grazie all’effetto delle nuvole di stucco dorato. Il trono è circondato da angeli e da una raggiera di stucchi dorati: sopra di esso si trova una vetrata in alabastro che raffigura lo Spirito Santo in forma di colomba.

Come nell’Estasi di Santa Teresa d’Avila, la luce naturale genera effetti di luce spettacolari, attraverso quella che è l’unica vetrata colorata della basilica.

 

Gian Lorenzo Bernini,
Cattedra di San Pietro (1656-65)


Bibliografia essenziale

 

° Bacchi A., Coliva A. (a cura di), Bernini, Officina libraria, Milano, 2017

° Borsi F., Bernini architetto, Electa, Milano, 2000

° Ferrari O., Bernini, Giunti, Firenze, 1991

° Montanari T., La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere, Einaudi, Torino, 2016

° Wittkower R., Bernini. Lo scultore del Barocco romano, Electa, Milano, 1990

 

Sitografia

 

° La docuserie La libertà di Bernini (2015), curata dallo storico dell’arte Tomaso Montanari, disponibile qui

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