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Visualizzazione dei post da 2021

Don't Look Up. Cronaca di una morte annunciata

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  Partiamo dal presupposto che adoro i film catastrofici e che ne ho visti a non finire. Con Don’t Look Up , diretto da Adam McKay, siamo di fronte a un caso di catastrofismo mescolato alla comicità, sul modello de Il dottor Stranamore (1964). Una comicità corrosiva, che definirei 'rassegnata' e che i personaggi si trovano a esprimere in modo quasi involontario. Ho trovato un’affinità con gli ultimi due libri che ho pubblicato, proprio su questo punto, benché in chiave drammatica. Da tanto tempo sono infatti sorpreso dalla leggerezza e dalla superficialità con cui l’umanità affronta i grandi temi, sia come specie che come singolo individuo. L’unica parola che calza a pennello per definire le azioni umane in risposta alle crisi è ‘stupidità’. Che nasce da diversi fattori, come una scarsa coscienza civica, una debole educazione, un marcato egoismo alimentato dalla società dei consumi, la sempreverde sete di potere. Don’t Look Up esce in un momento storico particolare, in c

Spontaneità e visibilità sui social

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  La recente lettura di un manuale di comunicazione creativa, citato in nota, mi ha spinto a prendere in considerazione alcuni aspetti della comunicazione sui social, e non solo.   Un punto centrale del manuale riguarda la ricerca del target emotivo. L’obiettivo è comprendere che cosa provi e pensi il potenziale cliente (19). In altre parole, non risulta importante ciò che la persona sia, ma l’immagine di quello che vorrebbe essere (23-24). La gratificazione del cliente è necessaria affinché segua con partecipazione, consumi e diventi dipendente da un prodotto, sia esso una persona brandizzata, un’idea o un oggetto fisico. Individuare il target emotivo è quindi un passo imprescindibile per poter sviluppare una comunicazione efficace. Nel modello proposto dal manuale, però, il prodotto finisce per adeguarsi al cliente: si riscrive il messaggio, smussandone gli angoli, ritagliandolo su misura sul cliente, fino a quando viene meno qualsiasi mismatch tra la propria opinione e quella degl

Qual è l'album più compiuto di Fabrizio De André?

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Premessa fondamentale. Nelle storie del mio IG, mi sono messo alla ricerca dell’album più riuscito di Fabrizio De André, ascoltando anche altre opinioni. Suggerivo di restringere il campo almeno a sette dischi, riportati di seguito. Dal confronto ho appurato due cose: la prima è che tutti hanno convenuto su uno dei sette selezionati; la seconda è che la maggioranza abbia indicato  Non al denaro non all’amore né al cielo  come preferito. Pur non avendo alcun valore statistico, questa è stata la mia esperienza. Ora, in estrema sintesi, dirò la mia e utilizzerò una valanga di più per provare a definire il migliore album del cantautore genovese, per quanto ciò possa valere al netto di una carriera incredibile, in cui a contare sono anche molteplici singoli.   Partiamo da Rimini (1978). Il più nostalgico. Album riuscito, sebbene sia anche quello con meno innovazioni strumentali e con un legame interno dei testi più fragile. Tale aspetto è ben esemplificato dal brano Zirichiltaggia (

Una sintesi e un’interpretazione della società senza dolore di Byung-chul Han

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  William Blake, The Agony in the Garden  (1799-1800 ca) Nota: premetto che, in tempi più recenti, ho avuto modo di rivalutare il pensiero di Han, per cui rimando anche alla lettura di questo post. Nel saggio La società senza dolore , edito in Italia da Einaudi nel 2021, il filosofo Byung-chul Han parte dal presupposto che vi sia una paura generalizzata del dolore, che definisce algofobia . (p. 5) Esso viene rifiutato, dal singolo alla comunità, per cui siamo sospetti, a livello emotivo, di fronte alle relazioni troppo impegnative e, in politica, ci si conforma alla ricerca di un consenso. In altri contesti la situazione non cambia; un esempio è dato dall’arte contemporanea: questa si adegua all’estetica del consumo; l’artista è spinto a divenire marchio; la creatività è asservita alla strategia economica. (p. 10) Viene così meno la spinta rivoluzionaria dell’arte, ovvero la capacità di fare esperienza del diverso e di poter generare, nel processo, una spaccatura. Per anestetizzare

Letture commerciali IV

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Johannes Jeigerhuis,  The bookshop of Pieter Meijer Warnars on the Vijgendam in Amsterdam (1820) La rubrica  Letture commerciali  si propone di analizzare alcuni libri di autori italiani e stranieri molto venduti in Italia, in un periodo compreso tra il 2000 e il tempo presente. Non si tratta di vere e proprie recensioni, bensì di impressioni, utili a fornire un rapido sguardo d’insieme. Mi occupo di letture commerciali, talvolta trash, consapevole del fatto che i due termini non siano necessariamente intercambiabili. L’obiettivo è individuare chi, tra i nomi più diffusi nelle classifiche di vendita, meriti davvero attenzione. Nella rubrica di oggi parlo di cinque libri: L’Élégance du hérisson di M. Barbery,  Milk & Honey di R. Kaur, 4 3 2 1  di P. Auster, The Half-Drowned King di L. Hartsuyker, Piranesi di S. Clarke. Per queste e altre impressioni mi trovate anche su Goodreads ( qui ).   Muriel Barbery, L’eleganza del riccio ( L’Élégance du hérisson , 2007)  

Impronte di classici IV

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  Aaron Shikler, Woman Reading (The Artist's Wife) (1962) La rubrica  Impronte di classici  si propone di commentare i classici della letteratura. Non si tratta di recensioni, bensì di impressioni, utili a fornire un rapido sguardo d’insieme sulle opere e ad evidenziarne alcuni aspetti. L’obiettivo è offrire ai lettori una sintesi ed eventualmente sollecitarne o disincentivarne la lettura. Nella rubrica di oggi parlo di cinque libri: Una donna di S. Aleramo, Il sentiero dei nidi di ragno di I. Calvino, La luna e i falò di C. Pavese, Ragazzi di vita di P. P. Pasolini, Lessico famigliare di N. Ginzburg. Per queste e altre impressioni di classici – e non solo – mi trovate anche su Goodreads ( qui ).   Sibilla Aleramo, Una donna (1906)   La copertina di un'edizione Feltrinelli   Il romanzo ripercorre la vita della scrittrice, partendo dai ricordi d’infanzia fino a raggiungere il periodo successivo all’allontanamento dal marito e dal figlio. Raccontando la

Arthur Conan Doyle. Biografia breve con particolari meno noti sullo scrittore

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Arthur Conan Doyle disegnato da George Wylie Hutchinson, nel 1894 Del personaggio più celebre di Doyle, Sherlock Holmes, ho già parlato qui . Lo scrittore  però non scrisse solo del celebre investigatore. Anzi, lo amava meno dell’amore che ne avevano i suoi lettori. Tentò anche di concludere il ciclo di storie sul personaggio, ma nel 1905, su sollecitazione di appassionati e di amici, lo fece tornare tra le pagine con la raccolta The Return of Sherlock Holmes . Il fastidio di Doyle era determinato dal fatto che egli avrebbe voluto scrivere di più in generi come l’avventura e il fantastico. Questi si mescolano nel romanzo The Lost World (1912), opera di riferimento nel sottogenere avventuroso del “mondo perduto”, in cui si narra di animali preistorici sopravvissuti fino all’età contemporanea. Nella sua produzione non mancano poi i romanzi storici e una serie di sedici racconti storico-satirici sulle avventure di un immaginario brigadiere Gérard (1894-1903).   Da giornalista, sc