Impronte di classici IV

 

Aaron Shikler, Woman Reading (The Artist's Wife) (1962)


La rubrica Impronte di classici si propone di commentare i classici della letteratura.

Non si tratta di recensioni, bensì di impressioni, utili a fornire un rapido sguardo d’insieme sulle opere e ad evidenziarne alcuni aspetti. L’obiettivo è offrire ai lettori una sintesi ed eventualmente sollecitarne o disincentivarne la lettura.

Nella rubrica di oggi parlo di cinque libri: Una donna di S. Aleramo, Il sentiero dei nidi di ragno di I. Calvino, La luna e i falò di C. Pavese, Ragazzi di vita di P. P. Pasolini, Lessico famigliare di N. Ginzburg.

Per queste e altre impressioni di classici – e non solo – mi trovate anche su Goodreads (qui).

 

Sibilla Aleramo, Una donna (1906)

 

La copertina di un'edizione Feltrinelli
 

Il romanzo ripercorre la vita della scrittrice, partendo dai ricordi d’infanzia fino a raggiungere il periodo successivo all’allontanamento dal marito e dal figlio.

Raccontando la propria infanzia, la narratrice ricorda i genitori: il padre, molto benevolo verso la figlia, è al contempo un uomo tradizionalista, che trascura la moglie e la relega a un ruolo predefinito, nel quale la donna appassisce giorno dopo giorno, fino a diventare inerte e a toccare la follia.

Trascorrono gli anni e la famiglia si trasferisce da Milano nelle Marche. La giovanissima “Rina” (Marta Felicina Faccio è il suo vero nome) lavora come segretaria nella fabbrica di bottiglie diretta dal padre. Qui accade un primo fatto traumatico, poiché un impiegato la violenta e la donna è costretta a sposare il suo stesso stupratore. Al contempo, il rapporto tra i genitori degenera: il padre porta avanti una relazione extraconiugale e questo fa venire meno l’immagine positiva che la figlia aveva avuto di lui; la madre, giunta al limite di sopportazione, tenta il suicidio e finisce per essere ricoverata in manicomio, dove rimarrà per il resto dei suoi giorni.

Sibilla affronta con animo appesantito la nuova vita matrimoniale: nato un figlio, comincia a concentrare tutte le sue attenzioni su di lui, alla ricerca di un significato alla propria esistenza. Lo trova, per diverso tempo, ma la depressione cresce, in concomitanza con i maltrattamenti del marito. Sibilla cerca la propria libertà in una società opprimente: prova a partecipare alla vita intellettuale, prima nei salotti dominati dagli amici del marito, poi su una rivista femminista. Considera anche la situazione misera dei lavoratori italiani, ma ammette di non riuscire ad avere un confronto diretto con essi. Infine, non disdegna le attenzioni di un altro uomo: Sibilla sente che la sua capacità di amare si estende oltre le rigide regole del suo tempo, che rigetta, ed è per questo facile preda delle peggiori critiche.

Il trasferimento della famiglia a Roma e l’attività sulla rivista la portano a prendere sempre più coscienza del proprio ruolo, inedito, di donna. Il rapporto con il marito degenera ulteriormente e Sibilla – memore della storia della madre e di molte donne come lei – decide di andarsene, nonostante la sofferenza di dover lasciare il figlio, al quale dedica l’opera nella speranza che comprenda, un giorno, la sua scelta.

Una donna è uno dei primi esempi di romanzo femminista nella letteratura italiana, destinato a grande fortuna, anche all’estero. Il libro ha le caratteristiche del romanzo e non costituisce quindi una semplice autobiografia. L’intento dell’opera appare duplice: è un’autoanalisi delle ragioni che hanno mosso le scelte della narratrice, ma anche la testimonianza della vita particolare di “una donna”, alla ricerca di altre sorelle con cui condividere un comune dolore, un comune sentire.

 

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno (1947)

 

La copertina di un'edizione Mondadori

Primo romanzo di Calvino, è ambientato in Liguria dopo l’armistizio di Cassibile (8 settembre 1943). L’opera viene inserita nel filone neorealista, per quanto la vicenda sia narrata dal punto di vista di un bambino, Pin, con l’inserimento di elementi fiabeschi.

Pin ha appena dieci anni e la sua unica famiglia è la sorella, la Nera di Carrugio Lungo, che si prostituisce per i tedeschi. In cerca di amicizie, egli viene catapultato nel mondo degli adulti: attraverso i suoi occhi conosciamo le violenze nazi-fasciste sui prigionieri e sulla popolazione civile, ma anche l’altro lato della medaglia, ovvero i partigiani, che appaiono persone comuni e piene di limiti tutti umani, sebbene abbiano il pregio di combattere per una giusta causa.

Il romanzo è anche una storia di amicizia e, persino, di fratellanza, aspetti che permettono a Pin di maturare. Questi cerca qualcuno con cui condividere il sentiero dei nidi di ragno, l’angolo magico e astorico che consente al protagonista di trovare sicurezza in una natura, rappresentata dai boschi, stravolta dalle azioni di guerra.

 

Cesare Pavese, La luna e i falò (1950)

 

La copertina di un'edizione Einaudi

Ultimo romanzo di Pavese, è ambientato in un paese della valle del Belbo, in Piemonte, nel secondo dopoguerra. È narrato in prima persona, da Anguilla, e presenta elementi autobiografici. Egli ritorna dall’America al paese in cui era cresciuto: rivede alcune vecchie conoscenze, con le quali cerca di recuperare un rapporto, e il suo viaggio si trasforma anche in un’immersione nei ricordi. La nostalgia che pervade queste pagine è il frutto della riflessione del protagonista su ciò che sarebbe potuto essere non partendo; al contempo, è una rievocazione dolorosa della giovinezza perduta e degli affetti scomparsi.

L’incontro con l’amico Nuto permette ad Anguilla di riflettere sull’importanza di avere una casa nel mondo e una famiglia, che leghino l’individuo a una vita altrimenti sfuggente. Proprio la famiglia, però, può rivelarsi il luogo capitale dello svolgersi del dramma umano, come accade al giovane Cinto.

Il tempo scorre, le stagioni si alternano e Anguilla osserva i cambiamenti di una natura che, alla fine, rimane sempre la stessa: in modo speculare, a cambiare sono le persone e le generazioni, ma di fondo le storie inquiete degli esseri umani si ripetono nei secoli. La luna e i falò scandiscono questo ritmo: la prima è del tutto naturale e indipendente dall’umanità; i secondi rappresentano un mondo magico che si sta smarrendo, ma anche la brutalità del genere umano nel distruggere e nel voler dimenticare i propri misfatti.

L’opera di Pavese è simile per impostazione generale a Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino: può rientrare nel filone neorealista, ma tenendo in considerazione il valore centrale del mito e di un sentimento individuale che vorrebbe riplasmare la realtà, la quale però si impone nella sua durezza storica.

 

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita (1955)

 

La copertina di un'edizione Garzanti

Roma, secondo dopoguerra: il romanzo parla di un gruppo di adolescenti del sottoproletariato, raccontandone la quotidianità, fatta di ruberie e furbizie per riuscire a guadagnare pochi spiccioli. Il protagonista, Riccetto, è l’esempio di come questi ragazzi non siano cattivi solo perché compiono tali reati: le condizioni in cui vivono li spingono a tanto, però essi dimostrano anche di poter essere altruisti e generosi verso il prossimo.

La situazione delle borgate è comunque tragica: la delinquenza è un risultato dell’abbandono di questi luoghi da parte dello Stato, tra sfrattati costretti a vivere in comune, scuole che crollano, mancanza di un’assistenza sanitaria, malagiustizia che condanna i poveri in prigione anche da innocenti.

Gli anni passano, ma la situazione nella borgata non cambia; al contrario, i giovani sono cresciuti e dopo tante disavventure la loro rabbia è aumentata ed esplode in ogni situazione. Riccetto trova un lavoro e, chiudendosi cinicamente in se stesso, cerca un modo per emanciparsi e trovare un posto nella società consumistica borghese, che non prevede slanci di umanità.

 

A livello stilistico, Ragazzi di vita è apprezzabile per l’impiego del dialetto romanesco, che permette una mimesi dell’Autore e persegue l’obiettivo di un crudo realismo. Il romanzo è costituito da una serie di episodi indipendenti, ma che contribuiscono insieme a creare il messaggio morale del testo.

Per i contenuti forti e le crude descrizioni, l’opera subì inoltre un processo per oscenità, in particolare perché parlava di prostituzione maschile. La sentenza portò a un’assoluzione con formula piena, anche grazie alle parole del critico Carlo Bo, che affermò come il testo spingesse alla pietas verso i poveri e i dialoghi osceni non fossero che una rappresentazione fedele della realtà giovanile.

 

Natalia Ginzburg, Lessico famigliare (1963)

 

La copertina di un'edizione Einaudi
 

L’Autrice avverte il lettore di come la storia sia tratta dalla realtà, ma non rappresenti una cronaca familiare, quanto un romanzo, dato che i ricordi si intrecciano in modo incompleto e parziale, senza una gerarchia, e non restituiscano a pieno la realtà di chi li visse. La scrittrice afferma infatti che i libri tratti dalla realtà non siano che barlumi di quanto abbiamo sentito e vissuto.

Il romanzo ricostruisce la vita quotidiana della famiglia Levi, di origini ebraiche. Le storie dei singoli membri si inseriscono a pieno titolo nelle vicende di un’epoca che va dagli anni Venti agli anni Cinquanta.

Il termine “lessico”, che definisce il titolo, è la chiave di lettura del testo. Tra modi di dire, reiterazioni ed espressioni tipiche, la famiglia è unita da un linguaggio comune, in cui a farla da padrone sono la madre della protagonista e, soprattutto, il padre. La prima è una milanese cattolica, mentre il secondo un ebreo triestino. La donna è solitaria e selettiva con le amicizie; è capace di godersi la vita, senza prendere troppo sul serio le cose. L’uomo, invece, è una figura peculiare; autoritario, prepotente e lamentoso, nutre in sé una vena di razzismo: costante è il suo impiego della parola “negro” (e dei suoi derivati) per definire qualsiasi cosa al di fuori della misura e della morale. Le amiche della moglie si sentono in soggezione di fronte a lui, il quale non esita a criticarle apertamente, definendole spesso “babe”. Docente universitario, gli unici argomenti che lo interessano riguardano le scienze e l’alpinismo: ogni altro discorso è ritenuto un teatrino realizzato da “scempi”. La madre, al contrario, si pone nel mezzo e, oltre alle scienze, è affascinata dalla letteratura, in particolare da Proust.

La narratrice, influenzata da entrambi i genitori, è incerta se affidarsi alla scienza, alla botanica, o all’arte e alla letteratura: i suoi interessi spaziano infatti nei più svariati campi della conoscenza e questo le servì ad alimentare la sua curiosità.

 

La storia del mondo si intreccia nella vita di questa famiglia e le leggi razziali rappresentano un primo campanello d’allarme. La successiva attività antifascista, che porta a confini e uccisioni di amici e parenti, segna uno spartiacque per tutti. Persino la resistenza perde parte del proprio fascino ed emblematica appare la morte di Cesare Pavese, amico della scrittrice, quale fine di un tempo di speranze per il domani. Natalia Ginzburg descrive lo scrittore impaurito rispetto alla prospettiva di una nuova guerra, rinchiuso nel disincanto e in un terrore talvolta ingiustificato. È la somma dei suoi problemi, quasi ricercata, a portare al suicidio.

Nel dopoguerra, certo, in tutti è cresciuta l’incertezza. Nella famiglia Levi, ci si domanda che fine abbiano fatto le vecchie amicizie e conoscenze: la geografia umana e reale è cambiata. Il mondo appare enorme, irriconoscibile. La madre della narratrice si sente spaesata, ma presto, guardando indietro, allo “sfacelo del passato”, ritrova un punto d’appoggio per andare avanti.

Così le frasi, le poesie e le canzoni ripetute per decenni ritornano ancora una volta il collante in grado di unificare la famiglia. Esse “sono il fondamento dell’unità famigliare”, come sottolineato nel testo, e il sigillo con cui concludere l’opera.

Il romanzo, pubblicato nel 1963, valse all’Autrice, nello stesso anno, il Premio Strega.


Nota: per il precedente episodio della rubrica, si veda qui; per quello successivo qui. Su questo blog si trova anche la rubrica Letture commerciali, dedicata alle impressioni riguardanti i libri di successo pubblicati dal 2000 ad oggi (qui il primo post).

Commenti

Post popolari in questo blog

Arnolfo di Cambio e il ritratto di Carlo I d'Angiò

La Gipsoteca di Possagno secondo Carlo Scarpa

Ivan Illich. Vita, opere e un compendio di 'Descolarizzare la società'