Letture commerciali I


Gordon Grant, The Book Hunters, Illustration for Collier's (1909)

La rubrica Letture commerciali si propone di analizzare alcuni libri di autori italiani e stranieri molto venduti in Italia, in un periodo compreso tra il 2000 e il tempo presente.

Non si tratta di vere e proprie recensioni, bensì di impressioni, utili a fornire un rapido sguardo d’insieme. Mi occupo di letture commerciali, talvolta trash, consapevole del fatto che i due termini non siano necessariamente intercambiabili. L’obiettivo è individuare chi, tra i nomi più diffusi nelle classifiche di vendita, meriti davvero attenzione.

Nella rubrica di oggi parlo di cinque libri: Gomorra di R. Saviano, Prendiluna di S. Benni, Una gran voglia di vivere di F. Volo, L’appello di A. D’Avenia, Piano nobile di S. Agnello Hornby.

Per queste e altre impressioni mi trovate anche su Goodreads (qui).

 

Roberto Saviano, Gomorra (2006)

 


Premessa commerciale: il romanzo ha venduto oltre 2.250.000 copie in Italia e 10 milioni ca nel mondo.

Edizione: R. Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano, 2006.


Gomorra è una delle opere italiane più influenti degli ultimi vent’anni. Pubblicato nel 2006, riporta con forza i riflettori sulla situazione campana (e non solo), invischiata nelle maglie della camorra. I capitoli sono tematici; il taglio è giornalistico, con elementi del romanzo e dell’inchiesta. È scritto in prima persona, presentando diversi momenti autobiografici, ma la gran parte del testo è una descrizione del malaffare camorristico.

I periodi sono generalmente brevi; spesso sembra si evochi uno stile di scrittura alla Palahniuk, che mescola in modo omogeneo parti narrative e tecniche. I primi due capitoli hanno un taglio più narrativo e sembrano preludere ad uno sviluppo delle tematiche trattate, ma in seguito l’autore apre a lunghe parti che richiamano l’inchiesta e si concentra su altri discorsi. “Richiamano” perché più che di scoperte vere e proprie, si tratta di ricostruzioni: in Gomorra, Saviano mette insieme i pezzi; raccoglie la cronaca e le sentenze degli ultimi trenta-quarant’anni in modo nuovo e accattivante e mette sotto gli occhi del lettore una serie di fatti già avvenuti.

 

Fino a qui nulla da dire, poiché anzi l’autore contribuì moltissimo a riportare l’attenzione pubblica sulla camorra, in un tempo in cui sembrava – come sottolinea egli stesso – che in Campania non vi fossero più tracce di criminalità organizzata, ma solo delinquenti solitari. Nel capitolo Cemento armato, tuttavia, un meccanismo si inceppa e Saviano sembra fare il passo più lungo della gamba. Citando l’articolo scritto da Pasolini il 14 novembre 1974 sul Corriere della Sera, dal titolo Cos'è questo golpe? Io so, Saviano istituisce un parallelo: laddove Pasolini affermava di sapere, ma di non avere né prove né indizi (e articolando un proprio messaggio su questi termini), Saviano scrive invece di sapere e di avere le prove. Ma leggendo Gomorra si possono ritrovare solo ricostruzioni e al limite prove indiziarie, ma mai rappresentative. Ciò che egli riporta è vero, reale, avvenuto in modo indelebile nella cronaca e nella storia, ma quanto pretende di sapere è forse una piccola parte di uno sterminato impero criminale. Saviano non è Pasolini, il quale sì, affermava di non avere prove né indizi, ma proseguì imperterrito – anche quando ormai era un volto più che noto – a ricercare il suo frammento di verità. E circa un anno dopo, il 2 novembre 1975, fu brutalmente assassinato. Pasolini fu uno scrittore che andò fino in fondo; che con ogni probabilità non aveva nessuna intenzione di divenire martire, ma che sentiva di non poter tacere di fronte alla tracotanza dei poteri criminali, come tentò di raccontare nell’incompiuto Petrolio.

 

In Gomorra è dunque necessario ridimensionare la portata rivoluzionaria, anche per restituire il vero pregio di quest’opera. Saviano ci racconta alcune verità e ci mette di fronte ad un impero che è sotto gli occhi di tutti, ma che si finge di non vedere. Perché è Sistema, un sistema così capillare per cui non esistono i buoni e i cattivi, non solo perlomeno, e si estende invece un’ampia zona grigia di persone comuni che tentano di sopravvivere a contatto – quasi inevitabile – con la camorra. Leggendo questo libro si ha l’impressione che ogni centimetro della Campania (e non solo) sia governata dal malaffare e sorgono forti dubbi sulla speranza che vi sia una soluzione. Gomorra provoca una profonda tristezza, leggendo delle morti violente di innocenti, della spregiudicatezza dei boss e dei clan, anche e soprattutto contro la propria terra. Cresce un senso di impotenza e di claustrofobia, ma al contempo anche la rabbia, quella silenziosa, destinata un giorno a straripare.
Pensando a chi verrà citato nella storia della letteratura italiana tra quaranta o cinquant’anni, forse non è più il caso di parlare tanto di autori, con i loro sviluppi stilistici e tematici, bensì di opere singole: Gomorra, con ogni probabilità, rientrerà in quest’ultimo schema.

 

Stefano Benni, Prendiluna (2017)

 


Premessa commerciale: è stato uno dei libri più venduti del 2017.

Edizione: S. Benni, Prendiluna, Feltrinelli, Milano, 2017.


Un gatto fantasma affida una missione a Prendiluna, una vecchia maestra in pensione: consegnare i suoi dieci gatti a dieci Giusti, prima che muoia e che arrivi la fine del mondo. L’anziana comincia a rintracciare vecchie conoscenze e studenti ormai cresciuti, in un’avventura rocambolesca all’insegna dell’ironia e dell’assurdo. In sottofondo, i temi principali sono il razzismo quotidiano (nello specifico, quello verso gli immigrati), gli espedienti per sopravvivere e i rimpianti per la giovinezza perduta, insieme a tutte le occasioni che portava con sé.

Ad arricchire la trama, i personaggi di Dolcino l’Eretico e Michele l’Arcangelo, fuggiti da una clinica psichiatrica, oppure esseri celesti: l’ambiguità rimane per tutta l’opera e non si è mai certi che si tratti di un sogno (un sogno matrioska, magari) o della realtà. I due piani si confondono e in questo modo Benni può inserire una serie di critiche ironiche riguardanti l’attualità: così il commissario Garbuglio, il cui nome è un programma, è una parodia dei commissari presenti nei polizieschi nostrani e internazionali, mentre Aiace è un signore deluso dalla vita, che riversa il proprio odio sui social.

La comicità di Benni non risulta qui dirompente, ma fa sorridere, e si ritrova un ritmo ben scandito, che alterna le storie dei personaggi e le parti più dinamiche a quelle di riflessione. Il finale non è particolarmente originale e la trama fatica a risolversi, ma nel complesso è un’opera con uno stile quasi impeccabile, in grado di non cedere mai, in forma gratuita, ai facili romanticismi della nostra epoca.

 

Fabio Volo, Una gran voglia di vivere (2019)

 


Premessa commerciale: il libro ha venduto circa 230mila copie ed è stato al primo posto in diverse classifiche dei libri più venduti nel 2019.

Edizione: F. Volo, Una gran voglia di vivere, Mondadori, Milano, 2019.


La storia tratta di una crisi di coppia. Marco e Anna prendono coscienza di aver dato per scontato il loro amore e si accorgono di non essere più certi dei sentimenti reciproci. Tale dubbio viene finalmente espresso a parole e così comincia la crisi. Il soggetto è dunque piuttosto basilare.
I capitoletti (trentanove in totale) sono davvero brevi e condensano alcuni episodi in poche frasi di dialogo. In questi periodi si inseriscono modi di dire, frasi e situazioni tipiche di WhatsApp e di Instagram, citazioni varie (p. es. da Ultimo tango a Parigi).

La vicenda è raccontata in prima persona: a tratti è come un discorso al bar con gli amici, in cui si parla delle esperienze di vita mancate; a tratti si simula la seduta psicoanalitica. Il viaggio nell'emisfero australe, intrapreso dai due insieme al figlio Matteo, è un artificio in grado di fornire una nota di colore ad una storia altrimenti ancora più piatta. Marco, infatti, incontra una serie di persone, le quali in maniera troppo perfetta rispondono al suo turbamento, proprio come uno psicoanalista avrebbe fatto commentando le parole di un paziente.

Il libro in sé si legge in poche ore; non è una storia senza pregi, perché accompagna volentieri una domenica pomeriggio, ma è senza pretese e banale negli esiti.

 

Alessandro D’Avenia, L’appello (2020)

 


Premessa commerciale: uscito nell’autunno 2020, non ci sono dati certi sulle vendite del libro, che risulta essere comunque uno dei più venduti dell’anno.

Edizione: A. D’Avenia, L’appello, Mondadori, Milano, 2020.


Omero Romeo è un maestro, diventato cieco da alcuni anni, che riprende l’insegnamento con una supplenza in una classe dove preside e docenti non sanno più come “prendere” i ragazzi. Omero inizia le sue lezioni con un appello particolare, in cui gli studenti parlano di sé, delle loro gioie e dei problemi, mostrandosi all’insegnante e lasciandogli toccare i loro volti, essendo questo l’unico modo per poterli “vedere”. L’idea funziona e i ragazzi cominciano a raccontarsi; l’appello, passo dopo passo, esce dall’aula e si diffonde, trovando ovviamente molte resistenze nella società.

Il testo è costituito da poco più di trecento pagine, ed è suddiviso per mesi, all’interno dei quali vengono riportati gli appelli, alcuni eventi connessi alla storia e il diario personale di Omero.

Nella prima parte del romanzo, questa struttura risulta troppo rigida, complice il fatto che i personaggi vengano raccontati attraverso le loro parole e al principio ci carichino di informazioni di cui forse non sentiamo il bisogno. Lo stile eccessivamente retorico appesantisce ancora di più il testo, in una successione di citazioni, frasi fatte ed enumerazioni banali. Inoltre, il professore parla un momento di A e il secondo dopo nemmeno di B o di Z, ma di gatti, telescopi, caffè e chi più ne ha più ne metta: analizzando la vita in tutte le sue sfumature, con la volontà di portare ordine al caos (termine ripreso con costanza nel testo), dalla prima parte si esce storditi.

 

Poi però succede qualcosa: ci si libera finalmente dallo schema rigido dell’appello; il protagonista - che racconta la storia in prima persona – racconta alcuni aspetti ironici di sé e dell’insegnamento (la parte in cui elenca le figure tipiche di una classe è p. es. molto riuscita). L’autore, tramite le parole di Omero, inizia a descrivere la sua idea di scuola e quale significato essa dovrebbe avere: si parla di rivoluzione, ma una rivoluzione che abbia pro-poste e che non sia solo contro lo stato di cose; si parla di un nuovo umanesimo non concettuale, bensì fattivo. Queste parti sono le più ispirate e riuscite, ed è facile immaginare come verranno presto citate in un libro di pedagogia o di didattica, nel paragrafo solitamente dedicato alla narrativa legata alla scuola, da Cuore di De Amicis in poi.

Proprio come quest’ultima opera, tuttavia, la marea di retorica invade sempre più spazi del dovuto e per quanto si cerchi di attuare una rivoluzione scolastica e “vitale” nei fatti, troppo spesso ci si perde in idealismi e fraseologie inconsistenti. Il tutto è ben condensato in un finale facile ed emotivo, giocato sui discorsi riguardanti il tempo da non sprecare, la ricerca del coraggio e la volontà di esserci nel presente.

 

Bisogna tuttavia anche considerare il target: idealmente, tutti coloro che sono legati alla scuola (docenti, genitori, studenti, etc.); nella pratica, i ragazzi. I dieci studenti di Omero esprimono quello che molti giovani sentono e pensano, ma che quasi sempre non dicono pubblicamente, per timore di essere giudicati o per la convinzione che forse non si possa essere compresi dagli altri. Se però ci immaginassimo questi appelli nel mondo reale, in una classe delle superiori, esse ci apparirebbero in tutta la loro irrealtà. Per il semplice fatto che il mondo è fatto di persone, anche giovani, che oppongono resistenze concrete e non solo velleitarie (come per il personaggio di Oscar), e non tutti vogliono raccontarsi e non per forza in quel modo.

Ad ogni modo, il pregio de L’appello è di intercettare quelle persone che ricercano una luce nell’inferno scolastico e che sono in bilico tra la rassegnazione e la reazione. Si tratta di un libro più utopistico di quanto forse non vorrebbe essere, che si lascia scappare troppe morali sulla vita, ma che al contempo offre ottimi spunti per una riflessione sulla scuola e sulle relazioni che intercorrono tra chi la scuola la vive nel quotidiano.

 

Simonetta Agnello Hornby, Piano nobile (2020)

 


Premessa commerciale: è uno dei libri più venduti a cavallo tra il 2020 e il 2021.

Edizione: S. Agnello Hornby, Piano nobile, Feltrinelli, Milano, 2020.


Il morente barone Antonio Sorci vive con la sua famiglia in un palazzo palermitano, dove si vivono intrecci amorosi, si nascondono segreti e si gestisce il potere. Il romanzo è suddiviso in tre parti. Nella prima parlano alcuni dei personaggi principali, tra cui i cognati Cola Sorci e Laura de Nittis: è il giugno 1942 e il capo-famiglia, Antonio, muore. Inizia così la spartizione del potere e dei beni tra gli eredi, e al contempo la lenta disgregazione di una precaria unità familiare.

Nella seconda parte si copre un arco di tempo dal 1942 al 1953: ai punti di vista dei personaggi di prima si aggiungono quelli di altri membri della famiglia, anche utilizzando lettere e diari. La vicenda si incentra qui su Carlino Sorci e i temi principali sono l’emigrazione, la decadenza della nobiltà alla fine della guerra e l’omosessualità.

Nella terza e ultima parte, ambientata nel 1954-55, Cola, Laura e Mariolina Sorci riportano le loro conclusioni su quegli anni: la famiglia si sta sempre più disgregando; il piano nobile dove avevano vissuto insieme, nel bene e nel male, è ormai ricoperto di polvere. Nel palazzo vive ancora Andrea Sorci, che solo nel finale prende la parola, dopo che tutti i parenti ne avevano parlato a modo loro.

 

Piano nobile è il secondo volume della saga familiare, iniziata con Caffè amaro (2016), ma è leggibile in modo indipendente. Nei primi capitoli la lettura non è per niente facile a causa del gran numero di personaggi e delle minuziose descrizioni di persone e di ambienti. Ma ben presto la scrittrice trasporta il lettore nell’universo che ha immaginato, e che è anche frutto di una meticolosa indagine storica incentrata soprattutto sull’analisi degli archivi Agnello e Giudice, di proprietà della famiglia dell’autrice.

Non è, ad ogni modo, una lettura per tutti, né un romanzo storico con un’ambientazione che gioca sugli stereotipi: Piano nobile richiede attenzione e fiducia da parte del lettore, perché il testo non si abbandona a soluzioni semplici, né si concede troppi sentimentalismi.

Per certi versi, è una descrizione quasi cinica di una famiglia, dell’aristocrazia siciliana e di una società isolana combattuta tra il sogno indipendentista e la lotta per la spartizione del potere interno da parte dei fascisti, dei mafiosi, della Chiesa. Eppure, in questa rappresentazione impietosa e spietata, trova ancora posto l’amore, quello autentico, che non conosce confini, nemmeno nelle leggi, e che si deve arrendere soltanto al limite estremo della morte.

L’opera di Simonetta Agnello Hornby è una pietra preziosa nel panorama letterario italiano di oggi e si inscrive nella storia della letteratura nazionale e siciliana, in quel filone narrativo che vede ai suoi vertici scrittori come Giovanni Verga, Grazia Deledda e Sibilla Aleramo.


Nota: per il successivo episodio della rubrica, si veda quiSu questo blog si trova anche la rubrica Impronte di classici, dedicata alle impressioni riguardanti i classici della letteratura (qui il primo post).

Commenti

  1. E' interessantissima questa rubrica! Specialmente perchè ho una naturale diffidenza per i libri commerciali (mea culpa!) e le tue recensioni rendono un po' più semplice la scelta riguardo a comprare o no un'opera. La seguirò veramente con interesse!

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    1. Ti ringrazio molto; l'obiettivo è proprio questo, poter fornire delle impressioni critiche sulla narrativa contemporanea, cercando di individuare ciò che valga davvero la pena leggere, al di là del successo commerciale e della moda.

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