Letture commerciali II

 

Gordon Grant, The Book Hunters, Illustration for Collier's (1909)

La rubrica Letture commerciali si propone di analizzare alcuni libri di autori italiani e stranieri molto venduti in Italia, in un periodo compreso tra il 2000 e il tempo presente.

Non si tratta di vere e proprie recensioni, bensì di impressioni, utili a fornire un rapido sguardo d’insieme. Mi occupo di letture commerciali, talvolta trash, consapevole del fatto che i due termini non siano necessariamente intercambiabili. L’obiettivo è individuare chi, tra i nomi più diffusi nelle classifiche di vendita, meriti davvero attenzione.

Nella rubrica di oggi parlo di cinque libri: I bastardi di Pizzofalcone di M. De Giovanni, Dancing Paradiso di S. Benni, I leoni di Sicilia. La saga dei Florio di S. Auci, Fiore di roccia di I. Tuti, Nessuno scrive al Federale di A. Vitali.

Per queste e altre impressioni mi trovate anche su Goodreads (qui).


Maurizio De Giovanni, I bastardi di Pizzofalcone (2013)



Premessa commerciale: il romanzo è il secondo di undici titoli della saga sul commissariato di Pizzofalcone; il ciclo ha avuto molto successo, al punto da divenire una serie televisiva nel 2017.

Edizione: M. De Giovanni, I bastardi di Pizzofalcone, Einaudi, Torino, 2013.

 

La vicenda è ambientata a Napoli, nel commissariato di Pizzofalcone, ed è il secondo romanzo con protagonista l’ispettore Giuseppe Lojacono. Al commissariato vengono allontanati alcuni agenti che avevano commesso dei reati, e sono rimpiazzati da nuovi colleghi, ognuno con qualcosa da nascondere o da farsi perdonare.

I personaggi sono talvolta stereotipati, o comunque non presentano particolari tratti di originalità: c’è il bonario commissario Luigi Palma, ossessionato dal lavoro; l’ispettore Lojacono, costretto a lasciare la sua Sicilia; l’agente scelto Marco Aragona, che gli funge da spalla e fa la parte del latin lover. E poi altri colleghi, tra cui, forse, l’unica figura con una storia interessante, la vicesovrintendente Ottavia Calabrese, che vive con grandi difficoltà, talvolta persino con odio represso, la propria vita familiare.

Con la prospettiva di una imminente chiusura del commissariato e consapevoli di non avere niente da perdere, il gruppo indaga sulla morte della ricca filantropa Cecilia Festa, in un intrigo amoroso che non ha nulla di originale. Per assurdo, ben più interessante risulta essere la storia secondaria, che corre in parallelo all'indagine principale, ma alla quale per ovvie ragioni non viene dato il giusto spazio.

I dialoghi sembrano scritti con il “manuale del poliziesco” tra le mani, senza farci mancare l’ennesima rivelazione da parte dell'ispettore, grazie ad una frase qualsiasi pronunciata dalla sua spalla.

L’ambientazione non ha nulla di peculiare e si limita a brevi incisi paesaggistici sulla costa napoletana e su alcuni quartieri dove regna la miseria. Una piccola parentesi è riservata inoltre alla parte ricca e nobile della città.

Risulta comunque facile familiarizzare con i personaggi, che nella loro semplice umanità, costellata di errori, rivelano un animo buono o in cerca di redenzione. Il gruppo diviene sempre più affiatato e si genera un’alchimia che coinvolge il lettore, spiegando così in parte il successo della serie di romanzi legati al commissariato, a cui si aggiunge anche la serie televisiva iniziata nel 2017.

 

Stefano Benni, Dancing Paradiso (2019)

 


Premessa commerciale: nessun dato in particolare.

Edizione: S. Benni, Dancing Paradiso, Feltrinelli, Milano, 2019.

 

Un angelo caduto e solitario – chiamato “angelo angelica” – conduce cinque persone al locale notturno noto come Dancing Paradiso. Si tratta di individui tristi e rassegnati, incapaci di riconnettersi alla realtà o per paura o per una serie di eventi sfortunati: tramite i versi, essi si raccontano mettendosi a nudo.

Il personaggio più “vivo” è per assurdo Elvis, un hacker obeso, rinchiuso in casa da lungo tempo e deciso a fare una strage da oltre cento morti: i versi che lo riguardano sono pieni di rancore, con rime serrate e periodi che non fanno respirare. Le parti più liriche della raccolta sono invece espresse dalla poetessa Lady, che rimpiange di non essere nata in un’altra epoca e mescola un linguaggio contemporaneo allo stile delle grandi scrittrici dei secoli scorsi.

L’opera non è altro che un racconto versificato; il linguaggio è molto ricco, come è tipico dello stile di Benni, in grado di coniugare argomenti tragici ad una flebile speranza, dove l’ironia dei personaggi è involontaria e talvolta tragicomica, ma non per questo meno dolorosa.

 

Stefania Auci, I leoni di Sicilia. La saga dei Florio (2019)

 


Premessa commerciale: è stato il libro più venduto in Italia nel 2019, con oltre 300mila copie vendute; a un anno dalla pubblicazione, I leoni di Sicilia era ancora al primo posto dei libri più venduti in Italia, con oltre 400mila copie vendute e ventidue edizioni. Inoltre, prima del successo italiano, il romanzo era già stato pubblicato negli Stati Uniti, in Olanda e in Spagna.

Edizione: S. Auci, I leoni di Sicilia. La saga dei Florio, Editrice Nord, 2019.

 

La famiglia Florio, di origini calabresi, arriva a Palermo nel 1799, desiderosa di arricchirsi con il duro lavoro. Iniziano con il commercio delle spezie e da quel momento, di generazione in generazione, i Florio accrescono la loro sfera di influenza oltre Palermo. Producono un marsala di qualità eccellente e impiegano un metodo innovativo per la conservazione del tonno: in parallelo, si interessano ai trasporti via mare, anche transoceanici, e all’acquisto di macchinari per aumentare la produttività. In definitiva, l’umile famiglia di Bagnara Calabra diviene un punto di riferimento imprescindibile della politica prima borbonica e poi risorgimentale.

Oltre al contesto storico, ci sono i personaggi, tra cui spicca la figura di Vincenzo Florio, un uomo dedito quasi esclusivamente agli affari, convinto di poter ottenere tutto con il denaro, compreso l’amore. I decenni si susseguono e l’ascesa al potere dei Florio è inarrestabile: il romanzo non mostra particolari ostacoli a tale scalata sociale e nemmeno le varie insurrezioni pre-garibaldine sembrano turbare la vita economica della famiglia, se non marginalmente e per brevi periodi. A livello narrativo, questa mancanza di un antagonismo credibile rende le parti drammatiche poco incisive, tuttavia lo stile di scrittura di Stefania Auci è in grado di arginare tale limite.

D’altra parte, benché si tratti di una saga familiare romanzata, la storia dei Florio è reale e l’autrice si basa su elementi tratti dalla cronaca, dai libri di storia e via discorrendo. Si potrebbe fare un utile parallelismo con Piano nobile (2020) di Simonetta Agnello Hornby: in quest’opera si parla dell’immaginaria famiglia Sorci, nel pieno Novecento siciliano; è un romanzo che si incentra sulla decadenza di una famiglia anziché sulla sua ascesa. E dunque descrive ambienti chiusi, domestici, che si frantumano di generazione in generazione, mentre la grande storia internazionale travolge i protagonisti fino a disperderli. Il romanzo di Auci, invece, appare speculare rispetto a Piano nobile e non a caso è una barca dal fondo piatto, uno schifazzo, a rappresentare il simbolo di una famiglia che parte da un’umile imbarcazione per poi dominare le onde mediterranee e influenzare la storia d’Italia.

I leoni di Sicilia supera le quattrocento pagine, ma non è mai una lettura faticosa. Talvolta si può sentire la necessità di una maggiore analisi dei personaggi e degli ambienti, risolta invece in dialoghi che spesso si adagiano su cliché (in questo senso, l’opera della Hornby risulta essere più ponderata). Tuttavia, il ritmo dinamico dell’azione, che si esprime in continui salti spazio-temporali, e la scelta di dedicare uno spazio a sé ai fatti storici e alle materie prime che hanno segnato quell’epoca, portano a un testo agile e sottilmente intimo.

 

Ilaria Tuti, Fiore di roccia (2020)

 


Premessa commerciale: nessun dato in particolare.

Edizione: I. Tuti, Fiore di roccia, Longanesi, Milano, 2020.

 

Romanzo storico incentrato sulle portatrici carniche, figure praticamente sconosciute almeno a coloro che non conoscono l’arco alpino a Nord-Est: si trattava di donne che portavano munizioni e viveri ai soldati al fronte, trasportandoli spesso sulle spalle, in zone impervie, anche in mezzo alla neve.

Benché poco note ai più, le portatrici furono uno degli esempi più nitidi e alti dell’emancipazione femminile resa possibile dallo scoppio della prima guerra mondiale, che portò al fronte la manodopera maschile. Non solo: prima ancora della guerra – come si può leggere nel romanzo – le donne della Carnia avevano ottenuto una loro prima indipendenza adoperandosi in faticosi lavori montani, anche in risposta all’emigrazione che aveva colpito questa terra, allontanando ancora una volta gli uomini.

Ilaria Tuti trae ispirazione da una serie di documenti che cita nei ringraziamenti finali e trasforma diari, cronaca e fatti storici in episodi personali, con al centro la figura della portatrice Agata Primus.

 

La storia procede per episodi, saldati dai dialoghi, in giornate che sembrano un eterno, triste, ritorno, per quanto in sottofondo gli eventi storici avanzino per piccoli e impercettibili passi. I momenti topici a livello narrativo vengono proposti in scene fulminee ed efficaci. Un altro espediente è l’impiego di massime, come quella relativa alle tre figure che fanno di un giovane un cadavere o un superstite, ovvero il capitano, il medico e il prete. Sono sentenze dalla forte carica visiva, sebbene non sempre risultino convincenti e tendano talvolta ad adagiarsi in comodi luoghi comuni.

Infine, le descrizioni degli ambienti montani sono l’elemento che funge da ponte per i passaggi spaziali della narrazione: non si tratta di rappresentazioni stucchevoli, tipiche di una certa narrativa friulana, bensì di una prosa quasi poetica e sempre ben ponderata.

 

Andrea Vitali, Nessuno scrive al Federale (2020)

 


Premessa commerciale: il romanzo appartiene ad una fortunata serie di storie autoconclusive, riguardanti i casi del maresciallo Ernesto Maccadò, incentrati su piccoli eventi di paese.

Edizione: A. Vitali, Nessuno scrive al Federale, Garzanti, Milano, 2020.

 

Il maresciallo Ernesto Maccadò non è che uno dei personaggi, nemmeno il più importante, di questo romanzo corale. Il caso seguito dal maresciallo è – come di consueto – di scarsa rilevanza, quasi una parodia delle indagini che invadono gli scaffali delle librerie e le serie tv.

Il cuore della narrazione è rappresentato dai personaggi stessi, abitanti del paese di Bellano, sulle rive del lago di Como, in epoca fascista. Benché si tratti di un piccolo centro abitato, sembra che accadano molti eventi. “Sembra”, però, perché di fatto non accade nulla, nulla che valga la pena raccontare in circa trecento pagine e che meriterebbe invece la forma di un racconto lungo o di un romanzo breve.

Entriamo nelle case dei personaggi, nella loro intimità e nei rapporti sociali, schietti e provinciali, ma è una vita di paese a tratti scialba e non molto interessante. Lo stile di scrittura non aiuta a condividere le emozioni di questi abitanti, perché i periodi sono brevi, senza troppe parti descrittive, e riprendono quasi uno stile telegrafico. Per questa ragione, non è facile immedesimarsi nelle vicende e nei dialoghi, se non in modo superficiale e per luoghi comuni.

Le parti introspettive potevano essere approfondite, senza perdere in termini di realismo, e anche il contesto storico e documentario meriterebbe un maggiore spazio (si pensi all’ottimo Piano nobile di Simonetta Agnello Hornby, pubblicato negli stessi mesi). Il problema non è comunque lo stile in sé, che anzi ha diversi pregi e tralascia certi indugi sentimentali contemporanei; il fatto è che manca un coinvolgimento tale da poter resistere per così tante pagine.


Nota: per il precedente episodio della rubrica, si veda qui; per quello successivo quiSu questo blog si trova anche la rubrica Impronte di classici, dedicata alle impressioni riguardanti i classici della letteratura (qui il primo post).

Commenti

  1. Dancing Paradiso e Fiore di Roccia mi attirano tantissimo!

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    1. Il primo non è piaciuto molto ai fan storici dello scrittore, ma per me questo è un motivo in più per apprezzarlo, perché è uno scrittore che ha saputo rinnovarsi e adottare uno stile "giovanile" senza però perdere in naturalezza.
      Il secondo, invece, mi ha sorpreso: era un'autrice che non conoscevo e ho inoltre scoperto che viene dalla mia stessa regione. Nel contesto della narrativa storica e montana friulana, è sicuramente una boccata di aria fresca.

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    2. Un motivo in più per leggerli, allora!

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