Ivan Illich. Vita, opere e un compendio di 'Descolarizzare la società'

 

Ivan Illich


La vita

 

Ivan Illich nacque a Vienna nel 1926, da padre croato e madre ebrea sefardita. Fin da bambino approfondì lo studio delle lingue, apprendendo molto bene italiano, francese, tedesco e altri idiomi. Nel 1941, si trasferì a Firenze con la famiglia: qui completò il liceo scientifico, per poi iscriversi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Nel 1951 fu ordinato presbitero, poi fu a New York, in qualità di assistente parrocchiale nella diocesi retta dal cardinale Francis Joseph Spellman.

Il suo interesse si spostò allora verso l’America Latina. Nel 1956 divenne vice-rettore della Pontificia Università Cattolica di Porto Rico e nel 1961 fondò il CIDOC (Centro Intercultural del Documentación), a Cuernavaca, in Messico. L’obiettivo del centro era di preparare preti e volontari dell’Alleanza per il Progresso alle missioni umanitarie nelle Americhe. L’Alleanza era un programma voluto dal presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy per stabilire una collaborazione economica tra Stati Uniti e America Latina.

 

Dopo un decennio di attività, il CIDOC entrò sempre più in conflitto ideologico con il Vaticano. Illich fu interrogato da una commissione ecclesiastica in merito alle sue posizioni politiche e religiose, ma l’uomo si appellò alla facoltà di non rispondere. Il processo non fu mai portato avanti e Illich non venne scomunicato, ma di fatto rinunciò a celebrare la messa, pur mantenendo il celibato. Oltretutto, nel 1976 il CIDOC fu ufficialmente chiuso, poiché ai conflitti con il Vaticano e con altri intellettuali si era aggiunto l’afflusso di accademici, che avevano ormai istituzionalizzato il Centro, che doveva invece essere un’esperienza libera da rigide ideologie e in stretto rapporto con la popolazione.

 

Nel 1977, tenne seminari e insegnò alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, divenendo un punto di riferimento per il movimento studentesco. Gli anni Ottanta si aprirono con una serie di viaggi, che lo portarono negli Stati Uniti, in Messico e in Germania. Ottenne vari riconoscimenti nelle università, ma negli ultimi anni fu colpito da un tumore al volto, che a poco a poco lo portò a rinunciare alla vita pubblica. Tentò di curarsi con metodi tradizionali e cominciò a fumare oppio per lenire il dolore. Consultato un medico sulla possibilità di un’operazione, questi gli disse che avrebbe perso con ogni probabilità la capacità di parlare: Illich scelse così di convivere con la malattia, fino alla sua morte, avvenuta a Brema nel 2002.

 

Il pensiero

 

Scrittore, storico, pedagogista e filosofo, l’attività di Illich spaziò in vari campi del sapere. Fu nei fatti un libero pensatore, che prendeva le distanze da ogni facile etichettatura e che risulta vicino a varie linee di pensiero, come all’anarchismo cristiano. Centrale in lui la necessità di un’umanizzazione della società contemporanea, ormai rinchiusa in forme istituzionali sempre più rigide e disumane.

Il concetto di convivialità si collega a questa linea di pensiero. Il rapporto conviviale recupera la dimensione della spontaneità e del dono e si contrappone al rapporto industriale, che rende estranee le persone tra loro, valorizzando gli aspetti tecnici e materiali anziché l’etica e provocando un senso di carenza nelle persone, che si convincono che dalla produttività sempre maggiore potranno riempire il proprio vuoto.

 

Nella società conviviale idealizzata da Illich, in particolare nel saggio Tools for Conviviality (1973), l’essere umano recupera la propria dignità nei confronti della macchina. Secondo Illich, le continue scoperte tecnico-scientifiche portano le persone a specializzarsi in determinati settori, divenendo ingranaggi di una macchina più grande, la burocrazia, che istituzionalizza, cioè regolamenta in modo rigido, ogni aspetto del sapere e dell’etica.

Nella società conviviale, l’individuo è invece in grado di utilizzare tutti gli strumenti che prima erano riservati ai soli specialisti, e diventa quindi in grado di plasmare idee nuove in modo libero e condiviso. Proprio il rapporto tra gli individui acquista valore solo quando le tecnologie e i saperi vengono resi accessibili a chiunque e nessuna istituzione mira a discriminare o a creare una separazione di grado tra le persone (come per esempio nella selezione concorrenziale del personale o nelle professioni che cercano di preservare se stesse invece di essere utili alla collettività).

Nella società conviviale teorizzata da Illich, le persone si riuniscono in gruppi per poter risolvere un problema comune sia sul piano teorico che pratico, come in una sorta di simposio filosofico rivisitato, dove però nessuno è escluso.

 

Nel saggio Toward a History of Needs (1978), inoltre, Illich descrive l’uomo contemporaneo come “bisognoso”. Dal secondo dopoguerra, l’essere umano è diventato dipendente dai beni e dai servizi in un modo mai visto prima nella storia. In aggiunta, tutti coloro che esaltarono il mito del progresso e dello sviluppo fissarono il livello dei bisogni e gli standard di vita del genere umano, creando indici e soglie per definire la povertà, il benessere e la civiltà.

Tra questi strumenti, Illich indica per esempio il PIL, che collega la povertà a ciò che manca a soddisfare i bisogni delle persone. Non solo, Illich sostiene che la creazione di scuole, ospedali, infrastrutture varie abbia lo scopo di implementare i desideri delle persone, definendoli come bisogni. Con il mito dello sviluppo, però, quello stesso sistema fa credere all’umanità che sia in grado di cancellare le leggi della necessità. Questa prospettiva ha creato un clima di speranza, la quale per Illich è del tutto imprevedibile ed è contrapposta all’aspettativa, che si fonda invece sull’azione degli individui che entro i limiti delle necessità cercano di raggiungere uno scopo ragionevole.

 

Deschooling Society (1971)

 

Una copertina di Descolarizzare la società

Cercherò di sintetizzare e analizzare Deschooling Society, riprendendo costantemente il testo dell’Autore. Si tratta dell’opera più conosciuta di Ivan Illich, con importanti implicazioni storiche, sociali e pedagogiche. Il saggio raccoglie in sette capitoli le teorie presentate ai corsi del CIDOC intorno al 1970.

Nell’introduzione, lo scrittore parte da un presupposto, ovvero che l’istruzione universale non sia attuabile attraverso la scuola; sostiene invece l’avvento di una età del tempo libero (scholé), in opposizione ad un’economia dominata dalle industrie dei servizi, ai quali anche il settore dell’istruzione è sottoposto.

 

Ma perché abolire l’istituzione scolastica? Il primo capitolo si preoccupa di rispondere a questa domanda. Per Illich, la scolarizzazione condiziona l’immaginazione dello studente, portato ad accettare il concetto del servizio al posto del valore, per esempio facendo confusione tra l’insegnamento e l’apprendimento o tra il diploma e la competenza. Si confonde quindi la forma con la sostanza.

Illich sostiene che il problema risieda nell’intera società modernizzata e nelle istituzioni che mirano a trasformare i bisogni fondamentali in richieste di beni di consumo prodotti scientificamente. Nemmeno le istituzioni assistenziali o lo Stato possono risolvere il problema: Illich cita il programma statunitense Title One, che tra il 1965 e il 1968 aveva previsto tre miliardi di investimenti da destinare a sei milioni di bambini poveri, ma che si rivelò un fallimento, perché i soldi furono concessi agli istituti e non direttamente ai poveri, senza contare che le classi separate e i corsi speciali previsti dal programma furono una spesa in più che oltretutto aumentò la discriminazione nei confronti dei poveri, relegati in “unità separate”.

Ciò di cui hanno bisogno gli indigenti è invece una borsa di studio e non un certificato che attesti l’assistenza ricevuta per le loro presunte insufficienze.

 

Illich sostiene poi che la scuola eserciti sulla società un effetto antieducativo, in quanto la si considera la sola istituzione specializzata nell’istruzione. Un concetto forte espresso dallo scrittore è che la scuola obbligatoria eguale per tutti sia inattuabile, almeno a livello economico, per l’eccessiva spesa statale, che peraltro – ai tempi della guerra fredda – era destinata a ben altri settori. La scuola viene vista come una religione universale di un proletariato modernizzato, che fa vuote promesse di salvezza ai poveri dell’era tecnologica. L’unica via d’uscita, dunque, è l’abolizione del “rituale” dell’obbligo scolastico per tutti.

Secondo Illich, il sistema scolastico ha monopolizzato la distribuzione delle possibilità, riservando l’istruzione solo a coloro che in ogni fase dell’apprendimento sono capaci di adattarsi al dispositivo di controllo sociale che viene a poco a poco definito.

 

Bisognerebbe quindi emanare leggi per evitare una discriminazione basata sui titoli di studio, allo stesso modo con cui le leggi vietano le discriminazioni razziali e di libertà di pensiero. Anche perché – sottolinea Illich – l’apprendimento è perlopiù casuale e non è legato alla scuola.

In questo contesto, al discente vengono restituite l’iniziativa e la responsabilità dell’apprendimento, mentre il suo rapporto con gli altri studenti dovrebbe fondarsi su uno scambio di capacità tecniche. L’alternativa alla scuola sarebbe dunque una rete, o un servizio, che offrisse a ciascuno la possibilità di mettere in comune ciò che lo interessa in quel momento con le altre persone che condividono il suo stesso interesse.

 

L’Autore cita quindi Durkheim, il quale sosteneva che la religione costituita dividesse la realtà sociale in due regni, uno con cose, periodi e persone sacri e uno in cui tutto ciò è profano. Illich applica questo concetto alla sociologia dell’istruzione, sostenendo che gli educatori abbiano la tendenza a scoraggiare gli incontri tra persone senza titoli specifici che sono però seriamente interessate a comprendere un dato argomento.

Inoltre, il fatto che esistano scuole obbligatorie divide la società in due regni, uno con periodi, processi e metodi accademici/pedagogici, l’altro privo di questi elementi: in questo modo, però, l’educazione si distacca dal mondo e il mondo diventa non educativo.

 

Il secondo capitolo è dedicato alla “fenomenologia della scuola pubblica”. Illich individua queste caratteristiche: la gradualità determinata dall’età dei discenti; il rapporto imprescindibile con l’insegnante; la frequenza obbligatoria di un programma di studi sul quale lo studente non ha voce in capitolo.

L’Autore allora introduce una considerazione: la borghesia occidentale avrebbe inventato il concetto di fanciullezza, che nel resto del mondo è inconcepibile, dal momento che la maggior parte della popolazione mondiale non vuole o non può assicurare ai propri figli i moderni diritti della gioventù (come appunto il diritto allo studio). Definendo però la categoria dei fanciulli, la società borghese ha potuto assoggettare i giovani ad un insegnante, sacralizzando l’ambiente scolastico.

Illich prosegue la sua invettiva sulle scuole, sostenendo che creino posti di lavoro per gli insegnanti, indipendentemente da ciò che gli allievi ne imparino: inoltre, gli insegnanti estendono il proprio ruolo e divengono custodi, predicatori, terapeuti. L’obbligo della frequenza imprigiona i giovani in questo enclave primitivo e magico, sottraendoli alle leggi della vita reale e quotidiana.

 

Nel terzo capitolo, Illich approfondisce il tema della ritualizzazione del progresso. La critica è qui rivolta soprattutto alle università, che hanno il potere di imporre modelli di consumo e di cooptare sia i ricercatori “fedeli” che i potenziali dissidenti, avendo il monopolio delle risorse e la capacità di investitura rispetto ai ruoli sociali.

L’Autore fa un breve paragone con le università medievali, intese come comunità di indagine intellettuale e luoghi di irrequietezze sociali, per cui il modello della controcultura andrebbe individuato proprio nei frati medievali e negli eretici. Illich guarda quindi in modo positivo ai gruppi nati dal Sessantotto, ma lamenta il fatto che siano già alla fine di un processo educativo che li ha ormai quasi del tutto iniziati alla società dei consumi.

 

L’università agisce come una potente chiesa, depositaria e unica interprete legittima dei miti della comunità. Per esempio, la scuola insegna il mito della misurazione dei valori, per cui tutto è misurabile (per esempio il calcolo dello sviluppo delle nazioni) e ciò che non lo è diviene secondario o minaccioso.

Un altro mito è quello dei valori confezionati: la scuola vende un corso di studi e insegna agli allievi-consumatori a conformare i propri desideri solo ai valori che possono essere messi sul mercato, al punto che subentra un senso di colpa in coloro che non rientrato nelle categorie proposte dal mercato.

Segue il mito del progresso auto-perpetuantesi, dove però la struttura sociale è rigidamente definita e mascherata. Illich cita Max Weber, che aveva individuato le conseguenze sociali della fede, la quale assicurava la salvezza a chi accumulava ricchezze. Così la scuola, attraverso la struttura di gioco rituale delle promozioni graduate, assicura la grazia a chi accumula anni di scuola.

 

Ognuno è però responsabile della propria descolarizzazione, che può avvenire rendendosi conto che non è possibile manipolare gli altri per il loro bene o per la loro salvezza: ci si deve rendere conto del rituale con cui la scuola plasma il consumatore progressivo, altrimenti permarrà l’incantesimo che avvolge l’intera economia.

Nel quarto capitolo, Illich approfondisce questo argomento. Egli individua due tipologie istituzionali, una manipolatrice, che è quella maggioritaria che sostiene i consumi, e l’altra conviviale, che mira a facilitare la vita attiva. Nel primo gruppo rientrano le forze armate, le agenzie come l’FBI, le organizzazioni sociali come prigioni e manicomi; nel secondo quelle istituzioni a cui si ricorre per scelta spontanea, comprendendone l’interesse (per esempio le linee metropolitane, il sistema fognario, etc.).

Le istituzioni manipolatrici offrono servizi in cui il cliente è manipolato dalla pubblicità, dall’aggressione, dall’incarcerazione o dall’assuefazione a certi prodotti, mentre le istituzioni  conviviali propongono servizi entro regole che ci lasciano liberi.

 

Le burocrazie nel mondo sostengono le istituzioni manipolatrici, fabbricando regole rituali, verità ufficiali e un’ideologia o autorità che stabilisca il valore corrente da attribuire al loro prodotto.

Illich cita Aristotele, che distingueva tra il fabbricare e l’agire: la fabbricazione ha un fine altro da sé, mentre l’azione no; la perfezione nel fabbricare (poesis) è considerata un’arte e nell’agire (praxis) una virtù. Illich sostiene che la modernità garantisca più tempo libero alle persone, le quali richiedono un maggior consumo di merci e la fabbricazione di servizi, che tramutano le azioni virtuose in prodotti spendibili (così per esempio la scuola è identificata con l’educazione e l’assistenza medica con la salute).

C’è però un’altra via per uscire da questo meccanismo: pretendere la produzione di beni più durevoli e il libero accesso ad istituzioni che favoriscano le possibilità di interazione umana e l’autonomia individuale. L’obiettivo di Illich è il passaggio da una burocrazia post-industriale ad una convivialità post-industriale.

 

Il quinto capitolo parla di come la burocrazia produca una sorta di coerenza nell’irrazionale: il concetto rievoca la burocrazia kafkiana, in cui gli individui sono complici involontari dello sfruttamento degli altri, sia per convenienza sia per il desiderio di mantenere l’ordine.

Ritornando alla scuola, Illich aggiunge che essa sia auto-referenziale, perché l’istruzione è utile solo ai produttori e agli insegnanti. Al contrario, ci sarebbe bisogno di strutture relazionali che permettano ad ognuno di conoscere se stesso, contribuendo al contempo all’apprendimento degli altri.

Il sesto capitolo riprende quest’ultimo pensiero. Illich elenca le caratteristiche delle nuove istituzioni didattiche: libero accesso alle risorse disponibili per l’apprendimento; accesso possibile a qualunque fase della vita; possibilità di comunicare conoscenze da parte di chiunque desideri farlo.

Per realizzare ciò, ci dovrebbero essere garanzie costituzionali che non prevedano obblighi di frequentazione e discriminazioni in base al titolo.

 

A questo si devono aggiungere le nuove reti, o trame. L’Autore individua quattro modalità per il raggiungimento degli obiettivi di uno studente: l’accesso ai servizi per la consultazione di oggetti didattici (in biblioteche, laboratori, musei), la creazione di “centrali delle capacità” (per esporre le proprie conoscenze a chi è interessato ad ascoltarle), l’assortimento degli eguali (una rete di comunicazione per trovare compagni di ricerca) e i servizi per la consultazione di educatori, da scegliere sulla base delle recensioni ricevute dai precedenti clienti.

Illich critica proprio il fatto che la scuola sottragga gli strumenti (carte geografiche, enciclopedie, microscopi) all’utilizzo quotidiano, etichettandoli come sussidi didattici, e che attraverso tornei e giochi incentivi la competizione. Le persone che possiedono una conoscenza tendono infatti a preservarla, per mantenere il loro controllo: descolarizzare significa anche ridistribuire equamente il potere e far valere il prestigio di una persona sulla base del riconoscimento pubblico e non limitato ai professionisti di un determinato settore.

Illich descrive infine tre nuove figure nel contesto didattico descolarizzato: il funzionario didattico, che crea e fa funzionare le reti educative; il consulente pedagogico, che guida all’utilizzo delle reti; il mediatore, che agisce come primus inter pares nell’affrontare complessi temi intellettuali.

 

Il settimo e ultimo capitolo tratta della cosiddetta “rinascita dell’uomo epimeteico”. Illich distingue tra speranza e aspettativa. Analizza la vita nella Grecia dell’età classica, quando i greci di allora riconobbero come veri cittadini solo coloro che si lasciavano plasmare dall’educazione (paideia) ai dettami delle istituzioni create dai loro avi. L’iniziazione primitiva alla vita del mito, che avveniva nel rispetto della Madre Terra (Gaia), si trasformò nell’educazione del cittadino alla vita pubblica del foro.

Ad oggi, l’uomo contemporaneo non riesce ad immaginare niente che non possa essergli fornito da un’istituzione, proprio perché si è allontanato dalla vita naturale e dai suoi limiti fisiologici. Circondato da strumenti onnipotenti, egli è ridotto ad essere schiavo dei propri strumenti, dai quali pretende sempre di più, in modo illogico.

 

La scuola è vista come il processo programmato che attrezza l’uomo per un mondo programmato; essa è il principale strumento per chiudere l’essere umano nella sua stessa trappola.

Secondo Illich, l’umanità dovrebbe riavvicinarsi alla Terra. Egli racconta il mito della speranza: nella mitologia greca, il figlio di Prometeo, Deucalione, fu il timoniere dell’arca durante il grande diluvio e fu capostipite di una nuova umanità, sposando Pirra, che era la figlia di Epimeteo e di Pandora. Quest’ultima era stata colei che aveva aperto il famoso vaso: una prima volta, quando liberò i mali e i vizi degli uomini per la sua curiosità, ma anche una seconda volta, quando da quello stesso vaso liberò proprio la speranza, che era rimasta intrappolata. Si trattava di una seconda possibilità per l’intero genere umano.

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