Come evitare il disastro climatico secondo Bill Gates



Primo appuntamento della rubrica Sistema e potere (RSEP), una selezione di saggi, biografie e studi incentrati sui temi della ricchezza e del potere. Si indaga come le società odierne li gestiscano nei propri sistemi e come ciò interagisca con la globalizzazione in senso positivo e negativo.

La rubrica propone ai lettori compendi e analisi di opere scritte su questi argomenti da parte di economisti, politici, miliardari, scienziati, sociologi e intellettuali in generale.

L’obiettivo è sensibilizzare le persone sui pericoli dei cambiamenti climatici, sul crescente divario tra ricchi e poveri, sulle disuguaglianze alimentate dalla grande finanza. Lo scopo, però, è anche mostrare alcune possibili soluzioni a questi e altri problemi.


Introduzione


Il presente post è una sorta di compendio del libro Clima. Come evitare un disastro: le soluzioni di oggi, le sfide di domani, scritto da Bill Gates e pubblicato in Italia da La nave di Teseo (2021, titolo originale: How to Avoid a Climate Disaster). Ho voluto scrivere pochi numeri e percentuali, riportando solo alcuni punti chiave racchiusi in queste centinaia di pagine. Mi sono concentrato spesso su alcuni aspetti curiosi e poco noti, ma ci sarebbe molto altro da sapere e da spiegare, per cui si rimanda alla lettura integrale dell’opera.

Bill Gates non è certo un climatologo, ma non veste nemmeno i panni del moralista, che dall’alto della sua posizione privilegiata ammonisce su chi, individuo o nazione, cerca una propria via al benessere. No, Gates si limita a mettere insieme dati scientifici, citando fonti autorevoli, e cercando anche di cogliere dove l’informazione sia lacunosa. Non è un climatologo, ma un imprenditore miliardario e quindi, sì, dovrebbe interessare a chiunque che cosa pensi sul clima una delle persone più potenti del mondo.

 

Azzerare le emissioni


Qualcuno potrebbe pensare che sia facile parlare della crisi ambientale quando si è miliardari: questa è una critica che trova scarso o nessun fondamento e denuncia al massimo un banale pregiudizio. Nel suo piccolo – che è molto in termini relativi – Gates riconosce l’impatto ambientale della Microsoft e delle altre società delle quali si occupa e descrive i meccanismi di compensazione o di azzeramento delle emissioni messe in atto. Di questo parla Gates: di azzeramento, non di semplice riduzione. Perché dedicandoci «al compito di ridurre le emissioni solo entro una certa misura prima del 2030, concentreremmo i nostri sforzi per arrivare a tale traguardo, anche se tali sforzi dovessero rendere più difficile, o impossibile, conseguire il fine ultimo di azzerare le emissioni» [p. 307].

Nel 2020, con la riduzione delle attività economiche planetarie a causa del Covid-19, le emissioni di anidride carbonica si sono ridotte a circa 48-49 miliardi di tonnellate, invece dei consueti 51 miliardi. La riduzione è di circa il 5% delle emissioni di gas serra e se si continuasse in questo modo l’azzeramento delle emissioni sarebbe fattibile entro il 2050, tuttavia per questo 5% la vita delle persone è stata stravolta non poco [p. 27].

 

Gates spiega anche come sia necessario fare chiarezza quando si parla di argomenti legati al clima, perché a parlare sono troppo spesso non esperti (e va benissimo, purché impieghino un linguaggio ponderato e che faccia riferimento a fonti valide).

P. es., possiamo prevedere per i prossimi decenni giornate più calde e un livello dei mari innalzato, ma non è possibile attribuire con certezza un particolare evento al cambiamento climatico: si può parlare di una probabile correlazione, tenendo sempre conto di come questi eventi si siano già svolti prima dell’epoca industriale, e che quindi i cambiamenti climatici peggiorino talvolta la situazione e non ne siano per forza l’origine primaria [p. 46].

Questo esempio è utile a comprendere la “metodologia” applicata a tutta l’opera, nel tentativo di mediare tra dati scientifici ed esigenze comunicative.

 

Certo l’adozione di nuove fonti di energia richiede molto tempo: «Tra il 1840 e il 1900, il carbone passò dal fornire il cinque per cento dell’energia mondiale a fornirne quasi il cinquanta per cento. Ma nei sessant’anni compresi tra il 1930 e il 1990, il gas naturale ha raggiunto appena il venti per cento». In passato, la scelta a favore del carbone fu dettata dalla convenienza sul mercato: per Stati e aziende si tratta di «una questione economica, non ecologica» [pp. 73-74].

Ma qual è la percentuale di gas serra emessa dalle attività umane? Partiamo dal basso: il 7% proviene dal riscaldamento e dal condizionamento; il 16% dai trasporti; il 19% dall’agricoltura e dall’allevamento; il 27% dalla produzione di energia elettrica; il 31% dalla produzione industriale (in particolare cemento, acciaio, materie plastiche) [p. 89].

Qui possiamo già notare un particolare: forse molti hanno la tendenza a considerare le emissioni che hanno “a portata di mano” come le più incisive, per cui si pensa al riscaldamento domestico o al proprio veicolo. Certamente questi aspetti hanno un’incidenza, ma cercare di porre un argine ad essi ridurrebbe il problema complessivo di nemmeno un terzo. Sono azioni che vanno compiute, ma in concomitanza ad altre, che riguardano le abitudini alimentari, l’utilizzo ponderato della corrente a tutti i livelli, una scelta a favore di materiali meno dannosi per l’ambiente o comunque una pressione sociale affinché il settore produttivo si impegni a ridurre le emissioni.

 

Il problema è tuttavia ancora economico. «Quasi tutte le soluzioni a zero emissioni sono più costose dei loro corrispettivi basati sui combustibili fossili. Ciò dipende in parte dal fatto che i prezzi dei combustibili fossili non riflettono i danni ambientali che provocano e così sembrano più convenienti dell’alternativa». Questi costi aggiuntivi definiscono il Green Premium. In poche parole, il Green Premium indica quale sia la differenza tra produrre un qualcosa in un modo piuttosto che in un altro, p. es. produrre un carburante con metodi che rilasciano gas serra oppure con l’energia solare.

Ora, il Green Premium mostra come le energie cosiddette “alternative” siano molto più costose dei combustibili fossili. Quando invece il Green Premium ha un valore negativo, significa che il passaggio all’energia verde è più conveniente dei combustibili fossili.

Come fare a raggiungere quest’ultimo obiettivo? Con incentivi statali sull’energia verde, l’introduzione di una carbon tax, l’adozione di una serie di standard (dell’energia elettrica pulita, per i carburanti puliti, per i prodotti verdi), lo sviluppo di nuove tecnologie, da sostituire in modo rapido a quelle vecchie [pp. 322-26].

 

Tra i cambiamenti fattibili c’è anche l’abbattimento di alcuni muri mentali che spesso ergiamo più per sentito dire, o per partito preso, anziché considerando i vantaggi reali.

In due parole: fissione nucleare. «Ecco, in una sola frase, l’argomentazione in favore dell’energia atomica: è l’unica fonte di energia a zero emissioni in grado di fornire affidabilmente corrente giorno e notte, in qualunque stagione, praticamente ovunque sul pianeta, che abbia dimostrato di funzionare su vasta scala» [p. 133].

Certo, Gates non è uno sprovveduto né un cieco estremista pro-nucleare: nel libro sottolinea tutti i rischi, ma ritiene che la tecnologia si possa perfezionare, come sta facendo la società TerraPower, fondata da Gates nel 2008, che sta lavorando a un reattore nucleare di nuova generazione: se il progetto funzionasse, il reattore produrrebbe meno scorie delle centrali attuali, sarebbe totalmente automatizzato (verrebbe meno l’errore umano), sarebbe interrato, prevederebbe una serie di accorgimenti per controllare la reazione nucleare [pp. 135-37].

 

Un’altra questione rispetto alla quale si dovrebbe avere una mente più aperta al dialogo riguarda la plastica. Nella produzione di cemento e acciaio, rilasciamo anidride carbonica come sottoprodotto, ma producendo una materia plastica circa metà del carbonio resta al suo interno. Il problema risiede piuttosto nello smaltimento, con una notevole dispersione nell’ambiente che provoca danni fino a lungo termine [pp. 165-66].

Ancora una volta, Gates sostiene che non ci si possa limitare a dire “non produciamo più oggetti in plastica”, perché forse sì, è una bella idea, ma è irragionevole pensare che ciò diventi una scelta globale condivisa da oltre duecento Stati. Tanto più se si considera che le alternative o non ci sono o non sono estendibili a livello mondiale in tempi utili a raggiungere gli obiettivi del 2030 o del 2050.

 

E riguardo invece all’anidride carbonica già rilasciata nell’atmosfera e destinata a rimanerci per i decenni a venire? Gates parla della DAC, una tecnologia in grado di catturare l’anidride carbonica direttamente dall’aria, un’esigenza non trascurabile, che si stima intorno ai dieci miliardi di tonnellate da catturare entro il 2050 [p. 150]. In questo caso, però, tale tecnologia necessita di investimenti per poter migliorare la propria efficienza, a partire dall’elevata energia che richiede per la sua attivazione.

In definitiva, il metodo tracciato da Gates per azzerare le emissioni, almeno nell’attività industriale, prevede di elettrificare tutti i procedimenti possibili; ricavare tale energia elettrica da una rete decarbonizzata; utilizzare la DAC; impiegare materiali più efficienti [p. 175]. Tutto ciò non può prescindere dalle innovazioni tecnologiche, dunque dagli investimenti e dalla volontà di fare ricerca in questo settore.


Agricoltura, allevamento, trasporti

 

Bill Gates riporta alcuni dati a cui siamo spesso abituati, che ci ricordano quante materie prime siano necessarie per alimentare un singolo animale e che quindi si debba o fare una scelta vegetariana o pensare ad alternative. Tra queste ultime, Gates cita la carne in laboratorio, che non è carne “finta”, ma composta sempre da grassi, muscoli e tendini, che tuttavia presenta un costo ancora elevato e una forte contrarietà da parte dei consumatori, il più delle volte per una errata comunicazione.

«Gli scienziati partono da qualche cellula estratta da un animale vivo, lasciano che queste cellule si moltiplichino e poi le inducono a formare tutti i tessuti che siamo abituati a mangiare. Tutto ciò può essere fatto senza quasi emissioni di gas serra, a parte l’energia necessaria ad alimentare i laboratori in cui viene realizzato il procedimento» [p. 189].

Gates passa a parlare più avanti del CGIAR, il più grande gruppo di ricerca sull’agricoltura a livello mondiale, che contribuisce a migliorare geneticamente piante e animali. Secondo l’Autore, dovrebbero aumentare i fondi a disposizione del CGIAR, in modo tale da aiutare i proprietari terrieri ad accrescere la resa dei campi e aiutare i contadini a far fronte ai rischi di un andamento climatico meno prevedibile, concentrandosi sulle fasce più vulnerabili. Un esempio di innovazione in questo settore è la creazione del riso “sub”, in grado di resistere a un’alluvione per due settimane di seguito [pp. 261-63].

 

Riguardo invece al tema della riforestazione, Gates  rileva, dai dati a cui attinge, che un albero possa assorbire circa quattro tonnellate di anidride carbonica in quarant’anni, ma che se andasse a fuoco l’intera quantità immagazzinata finirebbe nell’atmosfera. Inoltre, bisogna considerare dove convenga piantare alberi, in quanto «nelle zone nevose provocano più riscaldamento che raffreddamento, perché sono più scuri della neve e del ghiaccio sotto di essi, e gli oggetti scuri assorbono più calore di quelli chiari» [p. 202]: il contrario di quanto accade nelle foreste tropicali.

Gates afferma che per assorbire le emissioni prodotte dalla popolazione degli Stati Uniti nel corso della vita media di un cittadino, occorrerebbe un numero tale di alberi da ricoprire quasi la metà delle terre emerse mondiali. E questo senza contare le altre nazioni. La riforestazione è dunque utile e necessaria, ma non è la soluzione a tutti i problemi: «La strategia più efficace contro il cambiamento climatico legata agli alberi consiste nello smettere di abbattere una parte così consistente di quelli che già abbiamo» [p. 203].

 

Come tagliare invece le emissioni nei trasporti? Innanzitutto limitandoli, favorendo il più possibile il camminare, la bicicletta e le automobili in comune. Si dovrebbe inoltre ridurre l’impiego di materiali per la produzione dei veicoli che generano molta anidride carbonica. E, ancora, utilizzare carburanti più efficienti, o acquistare veicoli elettrici o con carburanti alternativi [pp. 227-28]. Gates passa poi in rassegna tutte queste possibilità, valutando il differente Green Premium.

In merito al riscaldamento e al raffreddamento degli ambienti, i passi da compiere per decarbonizzare gli impianti sono: elettrificare il più possibile (p. es. con l’impiego di pompe di calore elettriche, dove possibile); decarbonizzare la rete elettrica con fonti di energia pulita e investire nelle innovazioni per la creazione, l’immagazzinamento e il trasporto dell’energia elettrica; utilizzare l’energia in modo efficiente [p. 245].

 

Azioni collettive e individuali


Gates prende anche in considerazione il fatto che l’emergenza climatica possa aggravarsi senza che si siano prese significative contromisure. Valuta dunque alcune possibilità offerte o prospettate dalla geoingegneria, come l’impiego di nuvole riflettenti: sarebbe sufficiente utilizzare un getto salino vaporizzato per permettere alle nuvole di riflettere più luce solare, dispersa normalmente dalla parte superiore delle nubi [p. 276].

«L’idea fondamentale è di operare cambiamenti temporanei negli oceani o nell’atmosfera al fine di abbassare la temperatura del pianeta. Questi cambiamenti non si propongono di sollevarci dalla responsabilità di ridurre le emissioni; ci darebbero solo un po’ di tempo in più per raccogliere le idee in vista di una reazione adeguata» [p. 275].

Si tratterebbe comunque di uno scenario alquanto deprimente per il genere umano. Senza contare che ci vorrebbero maggiori studi per comprendere l’impatto della geoingegneria a livello locale, così come per mettere d’accordo allo stesso tempo la maggior parte degli Stati [p. 277].

 

Come evitare questo scenario? È fondamentale fare interagire tecnologia, politica e mercato, per «incoraggiare l’innovazione, stimolare la creazione di nuove società e portare rapidamente i nuovi prodotti sul mercato» [p. 302].

Per ottenere le tecnologie necessarie ad affrontare questa sfida (tutte descritte nel libro), i governi dovrebbero compiere i seguenti passi: quintuplicare la ricerca e lo sviluppo nel campo dell’energia pulita e del clima nel corso del prossimo decennio; scommettere di più su progetti di ricerca e sviluppo ad alto rischio e ad alto ritorno; indirizzare la ricerca e lo sviluppo verso le nostre esigenze prioritarie; collaborare con l’industria [pp. 312-16].

 

Con questa opera, l’intento di Bill Gates è portare il dibattito sul cambiamento climatico alle persone a noi più vicine, partendo dai dati di fatto.

«Nessuno ha monopolizzato il mercato con soluzioni efficaci per il cambiamento climatico. Che siate fautori del settore privato, dell’intervento governativo, dell’attivismo o di una qualche combinazione di questi elementi, ci sarà qualche progetto concreto che siete disposti ad appoggiare. Quanto alle idee su cui non siete d’accordo, forse sentite l’esigenza di pronunciarvi apertamente contro di esse, ed è comprensibile. Spero però che dedichiate più tempo ed energie a sostenere ciò a cui siete favorevoli che a opporvi a ciò a cui siete contrari» [p. 354].

Le persone affermano spesso di fare la propria parte per il clima, con piccole azioni quotidiane. Per il resto, affermano che sia colpa dei potenti e degli interessi di parte se non si riesce a fare di più. Questo è vero solo in parte. La parte restante è un modo per auto-giustificarsi. Le piccole azioni quotidiane possono forse incidere poco a livello globale sulla risoluzione del problema, ma agiscono in modo decisivo in termini di cultura, cultura ambientale. Modificare un comportamento richiede tempo, ma è anche uno dei fattori che garantisce la sopravvivenza di qualsiasi specie, nel momento in cui le condizioni ambientali si modificano. E dunque è giusto agire per piccole azioni, ma ci vorrebbe un’ulteriore spinta rispetto alle grandi azioni, quelle che – tra le altre cose – hanno un costo.

Ecco allora che i nostri rappresentanti politici, trovandoci in una democrazia, sono chiamati a rappresentare le nostre volontà. Quando non fanno ciò – e noi lo accettiamo passivamente scegliendo di non votare o votando il candidato opposto senza tuttavia aver spinto affinché esso non faccia solo una politica diversa, ma faccia la politica di cui abbiamo bisogno – allora falliamo e la responsabilità è nostra, dei cittadini elettori e persino non (ancora) tali.

Il libro di Bill Gates è uno di quegli scritti che non ti rivoluzionano la mente, che forse non ti dicono nulla che davvero non sapessi, ma che sono fondamentali per fare il punto della situazione e per guardare con ragionevole ottimismo al futuro.


Nota: per il successivo episodio della rubrica, si veda qui. Si tratta di un approfondimento sul pensiero di un altro miliardario dei nostri tempi, Jeff Bezos.

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