Monografie d'arte. Michelangelo Merisi da Caravaggio

 

Ottavio Leoni, Ritratto di Caravaggio (1621 ca)

 

Quali sono le origini di Caravaggio?


Michelangelo Merisi da Caravaggio – cittadina in provincia di Bergamo – nacque a Milano nel 1571. Apparteneva a una famiglia agiata della piccola nobiltà locale; il padre era architetto dei marchesi di Caravaggio.

Cominciò la propria formazione artistica a tredici anni, nella bottega milanese di Simone Peterzano, a contatto con la cultura lombarda di fine Cinquecento: Peterzano interpretava Tiziano con gusto manierista e attenzione naturalistica. Quest’ultimo aspetto era in linea con lo spirito tridentino, per cui anche la pittura si impegnava a rappresentare scene dense di realismo per creare coinvolgimento nel fedele. L’influenza di Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano tra il 1565 e il 1584, fu in tal senso centrale.

La formazione manierista legata all’eclettismo, invece, rifletteva i trattati di Giovan Paolo Lomazzo (Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, 1584) e di Giovan Battista Armenini (I veri precetti della pittura, 1586). Se nel XV e XVI secolo arte e natura vennero unificate, dalla seconda metà del XVI secolo la “bella maniera” fu contrapposta alla “imitazione della natura”: Caravaggio costituì un punto di incontro.

Nel periodo lombardo, Caravaggio assimilò anche l’elemento teatrale e comico, come si nota nel Ragazzo morso da un ramarro (1594-95), dipinto nei primi tempi romani, che trova un collegamento iconografico con un disegno della cremonese Sofonisba Anguissola (Fanciullo morso da un gambero, 1554 ca) e un riferimento letterario nella storiella Puer et scorpius (1563) di Gabriele Faerno, dedicata a Carlo Borromeo.

Un altro filone lombardo-veneto che influenzò la prima produzione romana di Caravaggio è il tema del concerto d’amore, con riferimenti a Lotto e Tiziano.

 

Sofonisba Anguissola, Fanciullo morso da un gambero (1554 ca)

Che cosa accadde nel periodo romano?


Caravaggio giunse a Roma forse già nel 1592. L’anno seguente si avvicinò alla bottega di Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino, anch’egli un tardomanierista. La connotazione comico-morale della sua pittura si trasformò in una dimensione tragica, segnalata da opere come la Cena in Emmaus.

Nel 1601, egli alloggiò presso il cardinale Girolamo Mattei; il fratello di questi, Ciriaco, era un grande collezionista. Un altro cardinale, Francesco Maria Bourbon Del Monte Santa Maria, gli fece ottenere l’incarico per dipingere il ciclo pittorico di San Matteo per la cappella Contarelli, nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. La cappella fu commissionata per celebrare la riconversione al cattolicesimo dell’ugonotto re Enrico IV di Francia, riconciliatosi con Clemente VIII. Poco dopo, il tesoriere di quest’ultimo, monsignor Tiberio Cerasi, lo incaricò di realizzare due tele per la cappella della chiesa romana di Santa Maria del Popolo: la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo.

Nella sua produzione ha rilevanza anche l’arte antica, a partire dalla scultura ellenistica e romana. Così, per esempio, il Galata morente del I secolo a.C., conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli, ha affinità con la posa del San Gerolamo scrivente (1608), realizzato nel periodo maltese.

Significativo anche il confronto con l’opera di Michelangelo Buonarroti, che ritorna in più tele. Michelangelo venne peraltro ritratto nel volto di Nicodemo, in abiti da lavoro, mentre sorregge le gambe di Cristo nella Deposizione nel sepolcro. Lo stesso Buonarroti si era autoritratto nei panni di Nicodemo nella Pietà Bandini.


Galata morente (I secolo a.C.)


Qual era la sua indole e che conseguenze ebbe nella sua vita?


Compì fin da giovane diversi atti stravaganti o aggressivi, fino all’uccisione di Ranuccio Tomassoni da Terni, a seguito di un litigio durante una partita di pallacorda (1606). Il discorso sul suo carattere violento dev’essere comunque considerato in un contesto storico segnato da una violenza diffusa.

Per l’omicidio, Caravaggio fu condannato a morte; da Roma fuggì nei feudi laziali dei Colonna, poi raggiunse Napoli e Malta. Incarcerato per aver partecipato a una rissa tra cavalieri, evase nel 1608 e fu espulso dall’Ordine per aver abbandonato l’isola senza il permesso scritto del Gran Maestro. Vagò per la Sicilia, poi nel 1609, presso l’osteria del Cerriglio a Napoli, fu sfregiato sul volto dai cavalieri melitensi.

Con la mediazione dei cardinali Scipione Borghese e Ferdinando Gonzaga, chiese il perdono papale, ma morì nel 1610 nei pressi di Port’Ercole, a causa del solleone o forse per le già precarie condizioni di salute. La grazia arrivò, troppo tardi.

Diversi studiosi e contemporanei lo definirono stravagante o folle, ma molto nei suoi atteggiamenti dipese certo dal pericolo mortale che correva. Giovan Pietro Bellori, pittore e biografo di artisti, scrisse una biografia postuma di Caravaggio, accusandolo di dipingere figure moralmente discutibili e riproponendo un modello di bellezza ideale. Dai primi del Novecento, grazie alla riscoperta di critici come Roberto Longhi, si cominciò a riconoscere la vera rivoluzione realista di Caravaggio.


Caravaggio, Bacchino malato (1593-94)


Caravaggio fu un artista precoce? Fu ateo? Omosessuale?


Si applicò da giovane all’arte, ma non fu più precoce di tanti altri artisti dell’epoca, per quanto la tradizione critica sostenne a lungo il contrario. Egli non fu un rivoluzionario, ma un innovatore: radicato nella tradizione artistica, ne rivivificò le regole.

Caravaggio si collocava tra gli esponenti di una Chiesa povera; era dunque fedele, non apprezzato da coloro che rifiutarono le sue opere ritenendole volgari, dimesse, prive di decoro. Egli si allontanò dall’iconografia ufficiale per una più fedele adesione al testo biblico.

Gli indizi sulla sua omosessualità sono deboli, quasi inconsistenti; esistono in parallelo tracce di almeno due relazioni con donne. Anche le opere con soggetti effeminati non possono valere come prova, risultando più una distorsione interpretativa dell’epoca corrente. D'altra parte, anche le cortigiane furono modelle dell'artista, senza che questo indichi di per sé un collegamento intimo.

 

Caravaggio, Bacco (1596-97 ca)


Chi furono i committenti dell’artista?


Arrivato a Roma, Caravaggio alloggiò prima da monsignor Pandolfo Pucci, poi da monsignor Fantin Petrignani. Fu infine accolto dal cardinale Del Monte, per il quale decorò anche il soffitto del laboratorio alchemico.

Fino all’inizio del XVII secolo, Caravaggio lavorò per i frati agostiniani, che reggevano la chiesa di Santa Maria del Popolo e di Sant’Agostino; per gli Oratoriani; per i preti di San Luigi, ovvero la chiesa della nazione francese.

Con l’avvento del pontefice Paolo V (1605), ostile alle correnti pauperiste, due opere furono respinte e finirono in collezioni private: la Madonna del serpente (o Madonna dei Palafrenieri) e la Morte della Vergine.

Fuggito da Roma, si nascose nel feudo di Colonna di Paliano; a Napoli, dipinse – forse per Luigi Carafa-Colonna, nipote della marchesa di Caravaggio – la Madonna del Rosario. Con il figlio della marchesa, il generale della flotta dell’Ordine di San Giovanni, Fabrizio Colonna, giunse nel 1607 a Malta. Dopo un anno, fu ammesso nell’Ordine come “cavaliere di grazia”, per meriti artistici e, forse, per aver partecipato ad azioni militari contro i turchi. Ritrasse così il Gran Maestro, Alof de Wignacourt.

Nella sua vita, i più frequenti committenti furono oratori, compagnie, ordini mendicanti (agostiniani, carmelitani, francescani, cappuccini, domenicani); nel breve periodo siciliano, non mancarono le commissioni dei mercanti.

 

Ottavio Leoni, Ritratto del cardinale del Monte (1621 ca)

Fanciullo con canestra di frutta (1593-94) e altri dipinti dello stesso periodo


Opera conservata alla Galleria Borghese, Roma.

Tela giovanile, in cui la luce è ancora ben definita a livello volumetrico e pochi sono i contrasti. Numerose però le notazioni naturalistiche e la ricchezza dei frutti, che denota un’influenza dei fiamminghi, a partire da van Aachen. La sensualità evocata dal soggetto, segnata da dettagli come la posa e la bocca socchiusa, trascende la materia e assume un carattere sacro. Il personaggio potrebbe infatti essere lo Sposo del Cantico dei Cantici, ovvero un’allegoria di Cristo fanciullo, latore di amorosi frutti di Grazia.

Dello stesso periodo è Bacchino malato, un autoritratto. Come suggerisce Sgarbi, la malattia non è quella del malato che attende la guarigione del santo: è la malattia non simbolica, patita come condizione in essere.

Del 1596-97 ca è Bacco, conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze: anch’esso può essere interpretato come Cristo o lo Sposo del Cantico, ma anche Dioniso viene visto come anticipatore del Redentore, nella lettura neo-platonica di Marsilio Ficino o in Pico della Mirandola. L’edera sempreverde è un simbolo di vita eterna, sebbene in quest’opera e nel Bacchino compaiano anche foglie appassite, segno dell’interesse per la riproduzione del naturale.

Con il Ragazzo morso da un ramarro (1595-96), Caravaggio ritrae un’istantanea in cui non solo appare l’elemento realistico, ma viene meno anche la posa.

 

Caravaggio, Fanciullo con canestra di frutta (1593-94)


Narciso (1597-99)


Opera conservata a Palazzo Barberini, Roma.

Il tema mitologico è una costante nella produzione artistica medievale e rinascimentale, ed è inteso come luogo di riflessione sulla natura dell’uomo e interpretato in chiave morale. L’attribuzione della tela risale a Roberto Longhi, sebbene altri vi abbiano individuato artisti diversi come Orazio Gentileschi.

Secondo un’interpretazione di Mario Docci, la figura è rappresentata come un’immagine che guarda se stessa riflessa in uno specchio d’acqua. A sua volta, il riflesso mostra una cura particolare per il dettaglio, con le pieghe delle vesti speculari a quelle della figura che osserva.


Caravaggio, Narciso (1597-99)

Scudo con testa di Medusa (1598)


Opera conservata alla Galleria degli Uffizi, Firenze.

La testa viene dipinta su uno scudo di legno, con riferimenti letterari a Esiodo e Ovidio. Rappresenta la vittoria della ragione sui sensi: è quindi metafora della virtù. Si tratta della seconda versione di un tema già trattato da Caravaggio, commissionata dal cardinal Del Monte, allora ambasciatore a Roma del Granduca di Toscana, che la donò al granduca Ferdinando I de’ Medici, il quale stava allestendo la sua ricca collezione d’armi.

Caravaggio riesce ad annullare la convessità dello scudo. Il volto è fissato nel momento dell’urlo: i muscoli della fronte sono tesi; i denti fanno capolino e l’oscurità della gola è appena smorzata dalla luce improvvisa che colpisce la testa.

 

Caravaggio, Scudo con testa di Medusa (1598)

Canestra di frutta (1600 ca)


Opera conservata alla Pinacoteca Ambrosiana, Milano.

Forse eseguita per il cardinale Federico Borromeo. La canestra è un soggetto isolato rispetto alle opere precedenti in cui veniva raffigurata: acquisisce dunque una sua dignità. La luce sembra innaturale, come se provenisse da più fonti e questo contribuisce a rendere l’oggetto quasi tridimensionale, sia per le ombre che per il fatto di sporgere dal ripiano.

Appartiene al primo periodo romano: l’artista accoglie la tradizione antica romana degli affreschi e dei mosaici, a partire dalle grottesche con fiori e frutta, ma anche la scultura sul tema. Si ritrovano poi le nature morte fiamminghe, a lui coeve, così come il valore simbolico della frutta di derivazione medievale. Sgarbi, commentando l’opera, richiama De Chirico: la Canestra di frutta non è tanto una natura morta, ma vita silente.


Caravaggio, Canestra di frutta (1600 ca)

Vocazione di San Matteo (1599-1600)


Opera conservata alla Chiesa di San Luigi de’ Francesi, Roma.

Situata nella cappella Contarelli, fu accusata di poco decoro dagli ambienti ecclesiastici. Costituì per l’artista una sorta di conversione, come per il pubblicano Matteo. La luce è simbolo della Grazia: non tutti rispondono alla sua chiamata; la scelta è libera.

La solenne calma dell’opera si contrappone all’agitazione del Martirio di San Matteo, dello stesso ciclo. In essa, le radiografie mostrano tre versioni differenti, sempre più drammatiche e movimentate, segno che Caravaggio non eseguì un disegno preparatorio, ma ideò dipingendo. Caravaggio attinse alla Creazione di Adamo di Michelangelo, nella Cappella Sistina, in particolari come la mano di Cristo, che riproduce quella di Adamo.

Il ciclo di san Matteo è costituito da tre tele, tra cui San Matteo e l’angelo e il Martirio di san Matteo. Nella prima, il riferimento a Michelangelo risiede nella linea curva delle ali e delle vesti, che riprendono la linea curva del volo dei cherubini che attorniano Dio nella volta sistina. Nella seconda, l’Adamo michelangiolesco è messo in piedi e diviene il carnefice del santo.

 

Caravaggio, Vocazione di San Matteo (1599-1600)

Cena in Emmaus (1600 ca)


Opera conservata alla National Gallery, Londra, nella sua prima versione. La seconda è conservata a Brera, Milano, ed è del 1606 ca.

I discepoli riconoscono Cristo risorto, mentre benedice il pane: una figura androgina, che non rispecchia i lineamenti di un uomo maturo. Questa scelta si accorda alle raccomandazioni del cardinale Federico Borromeo, ma anche del monaco e filosofo altomedievale Giovanni Scoto Eriùgena: «Gesù raccolse in se stesso a unità la divisione della natura, cioè quella di maschio e femmina; infatti risorse dai morti non in sesso corporeo, ma soltanto nell’uomo; in lui infatti non c’è maschio, né femmina.»

La profondità prospettica è resa attraverso le ombre e i diversi oggetti, che saggiano lo spazio: la canestra di frutta, l’apostolo sullo scranno, le braccia aperte dell’altro apostolo, la mano destra di Cristo.

 

Caravaggio, Cena in Emmaus (1600 ca)

Conversione di San Paolo (1601)


Opera conservata alla chiesa di Santa Maria del Popolo, Roma.

Si tratta di una parte della decorazione della cappella Cerasi, realizzata in contemporanea ai lavori per San Luigi dei Francesi. Ne esiste una prima versione, oggi nella Collezione Odescalchi Balbi (Roma), che mostra l’Eterno che si scaglia contro il futuro apostolo. Nella versione successiva, questi scompare e al clamore subentra la compostezza.

La luce è emanata da una fonte invisibile; il cavallo fa come da schermo ed è rappresentato in una posa inconsueta, esaltata dall’ondata di luce. La figura di san Paolo è mutuata dal modello michelangiolesco. Forse vi è anche l’influenza della Caduta e conversione di San Paolo di Moretto da Brescia, che il giovane Caravaggio doveva aver visto nella chiesa di Santa Maria presso San Celso e in cui il cavallo risulta più importante del santo. La centralità del quadrupede si riflette, a livello interpretativo, nel fatto che la conversione dell’uomo avviene quando egli perde il dominio sul cavallo, simbolo del potere.

 

Caravaggio, Conversione di San Paolo (1601 ca)

Amor Vincit Omnia (1602-03)


Opera conservata alla Gemäldegalerie, Berlino.

Commissione del marchese Vincenzo Giustiniani, il quadro rappresenta la vittoria dell’amore sulle arti, simboleggiate dalla partitura, dai libri e dagli strumenti musicali. Altri oggetti rimandano alla figura del committente: lo scettro indicherebbe la sovranità Giustiniani sull’isola di Chio, persa con l’assedio turco del 1566; il globo suggerisce forse l’interesse del marchese per l’astronomia. Riferimenti al committente e allegorie delle arti si possono infine fondere, a indicare il rifiuto dei piaceri terreni, come nelle corone d’allora a terra.

Il modello è il garzone romano Francesco “Cecco” Boneri, ripreso dal naturale, che all’epoca divideva una stanza con Caravaggio: da qui alcuni studiosi, come Richard Symons, hanno avanzato la tesi sull’omosessualità dell’artista.

 

Caravaggio, Amor Vincit Omnia (1602-03)

Giuditta e Oloferne (1602)


Opera conservata a Palazzo Barberini, Roma.

Il dipinto fu commissionato dal banchiere Ottavio Costa e rappresenta l’episodio biblico della decapitazione del condottiero assiro Oloferne per mano dell’ebrea Giuditta, intenzionata a salvare il proprio popolo.

Domina l’elemento tragico-teatrale della rappresentazione: secondo Papa, è una meditazione sulla drammaticità della storia dell’uomo, non in chiave nichilista, ma come porta d’accesso alla comprensione di una dimensione trascendente. L’istante scelto è il culmine dell’atto. L’uso modulato delle ombre, che sottolineano le espressioni, contribuisce a rendere l’atmosfera drammatica.

La giovane Giuditta mostra riluttanza e la vecchia serva, che è complice, sembra sottolineare la brutalità dell’atto. Ritorna anche il motivo dell’urlo, collegato anche qui a una decapitazione.

 

Caravaggio, Giuditta e Oloferne (1602)

Morte della Vergine (1606)


Opera conservata al Musée du Louvre, Parigi.

Fu dipinta per la chiesa di Santa Maria della Scala, appartenente ai Carmelitani Scalzi, nella cappella funeraria del giurista Laerte Cherubini da Norcia, amico del cardinale Del Monte. Prima collocata e poi rimossa, la tela finì nelle collezioni del duca di Mantova e in seguito al Louvre. La rimozione è forse dovuta all’omicidio compiuto da Caravaggio in quel periodo, oppure alla notevole cifra proposta dal duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, per l’acquisto.

Il drappo rosso dona un respiro teatrale alla scena. Le ombre sono forti; l’ambiente umile e dimesso. La Vergine è ritratta giovane, con il ventre gonfio che allude all’espressione “piena di Grazia”: promana luce sugli apostoli, che si dispongono su un’ideale croce trasversale. Quel ventre gravido fu interpretato come oltraggioso e si disse che il modello fosse costituito da una prostituta annegata nel Tevere.


Caravaggio, Morte della Vergine (1606)

Decollazione di San Giovanni Battista (1608)


Opera conservata all’Oratorio della Cattedrale di San Giovanni, La Valletta.

Caravaggio si firmò “f(rà) Michel Angelo” e la firma è ricavata nel colore rosso della pozza di sangue. Visione che lascia in un silenzio attonito, con l’ultimo palpito di vita del martire e Salomè che porge il piatto impaziente. La vecchia ha un moto di folle orrore, diverso dal cattivo impeto della serva di Giuditta e Oloferne.

Seguendo le istruzioni di Federico Borromeo, contenute nel De pictura sacra (1624), che raccomandava di mostrare il tetro carcere, il supplizio è ambientato nel cortile di una prigione e due reclusi spiano la scena dalle grate della loro cella. Il vuoto è ampio e il colore rende più cupa la scena; i corpi hanno perso la loro plasticità; la luce rompe in accensioni tremanti, come sono i raggi del sole all’alba.

 

Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista (1608)

Seppellimento di Santa Lucia (1608)


Opera conservata alla chiesa di Santa Lucia, Siracusa.

Lo sfondo, costituito da un grande muro, è rarefatto; un arco lo solca e il vuoto riempie più di metà del dipinto. Regna un gravoso silenzio monocromo. I personaggi vengono in parte cancellati dai tragici guizzi della luce, a cui si aggiunge anche un cattivo stato di conservazione. L’ambientazione sembra sotterranea e il dipinto in effetti fu eseguito per la chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, che conserva i resti della martire.

La ferita al collo della santa è rimarcata nel dettaglio – e in un primo tempo fu dipinta del tutto recisa – segno probabile di una partecipazione emotiva e personale del Caravaggio, sempre più forte. Più che la gloria del martirio, domina la cruda realtà di un’esecuzione.


Caravaggio, Seppellimento di Santa Lucia (1608)

David con la testa di Golia (1610)


Opera conservata alla Galleria Borghese, Roma.

Caravaggio è stato definito il drammaturgo del pennello, in particolare per la densità con cui viene trattata l’ombra. L’artista inviò la tela a Roma, al cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V, probabilmente per chiedere insieme a essa la grazia. Questo emergerebbe dalle lettere incise sulla lama: H-AS OS, sigla del motto agostiniani ano Humilitas Occidit Superbiam (l’umiltà uccise la superbia).

David è figura del Cristo, da cui l’espressione di cristiana pietà con cui guarda al “peccatore”, che sulla fronte ha ancora la traccia della violenta sassata subita. La testa decapitata è un autoritratto, ma secondo l’interpretazione di Sergio Rossi, anche David costituirebbe un autoritratto – giovanile – dell’artista, figurando così l’uccisione della parte peccatrice di sé.

 

Caravaggio, David con la testa di Golia (1610)

Che cos’è il caravaggismo e quali sono i suoi principali esponenti?


A Napoli il caravaggismo fu una forza vitale della pittura italiana. A Roma, già dopo la partenza forzata dell’artista, si sviluppò la prima ondata di imitatori: Orazio Gentileschi, Orazio Borgianni, Bartolomeo Manfredi, Carlo Saraceni. A loro seguirono altri, tra cui Gerrit van Honthorst, Giovan Battista Caracciolo detto il Battistello, Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto.

Caravaggio non riuscì a fondare una scuola, a causa della sua vita turbolenta, e si rivelava ostile anche verso chi cercava di imitarlo: questo fu il motivo per cui, dopo una prima corsa all’imitazione, la sua figura finì in secondo piano, oscurata dalla ricchezza coloristica dello stile decorativo barocco.

Dello stile di Caravaggio si imitavano in genere solo i tratti più evidenti, ovvero la manipolazione delle luci e delle ombre e l’impiego di modelli dei ceti più umili. In poco tempo, i dipinti di scuola caravaggesca si fecero sempre più aneddotici e pittoreschi.


Tra i caravaggisti francesi, Valentin de Boulogne riprese il naturalismo più che la violenza, con colori lividi che rappresentano figure immobili, dalla sognante malinconia.

Simon Vouet fece composizioni dal carattere spesso teatrale, con personaggi robusti, messi in rilievo da una luce violenta.

Nicolas Régnier rappresentò scene da taverna, con figure a mezzo busto, alla “maniera scura” di Manfredi.

Claude Vignon, nel suo soggiorno romano (1617-23), ebbe un interludio caravaggesco che lasciò tracce indelebili nel suo stile, sebbene, ritornato a Parigi, riprese un manierismo pieno di brio e di spirito.

Il più grande caravaggista francese fu però Georges de La Tour, che ottenne il titolo di pittore ufficiale del re.

Anche i tre fratelli Le Nain (Antoine, Louis, Mathieu), pur non recandosi in Italia, condivisero lo spirito caravaggesco nella scelta dei soggetti. In Francia, una vena caravaggesca si trova anche in Jacques-Louis David, Géricault e Courbet.


Nei Paesi Bassi, alcune opere di Caravaggio furono portate dall’Italia da Louis Finson, che ne fece anche diverse copie. Fu così che artisti come Jan Vermeer vennero a contatto con Caravaggio. Tra i pittori nordeuropei, Pieter Paul Rubens comprese al meglio lo spirito caravaggesco (curò per esempio l’acquisto della Morte della Vergine per conto del duca Vincenzo Gonzaga, nel 1607), ma artisti come Gérard Seghers e Theodoor Rombouts diedero vita al “genere alla Manfredi”.

Finson fu pittore internazionale, eclettico, formato nell’àmbito del manierismo tardofiammingo. Forse conobbe lo stesso Merisi. Egli fu anche mercante d’arte e fece conoscere il nuovo stile in Francia.

Nel contesto olandese, il nome di Caravaggio giunse presto alla notorietà, favorito anche dalla citazione di Carel van Mander nello Schilderboek. Nelle province settentrionali, il caravaggismo si identifica in gran parte con la scuola di Utrecht. Il più grande esponente di questa scuola fu Gerrit van Honthorst, soprannominato Gherardo delle Notti. Altri artisti influenzati da Caravaggio furono Dirck van Baburen, vicino allo stile di Manfredi e di de Boulogne; Jan van Bijlert, con una predilezione per le scene pastorali; Matthias Stomer, attivo nel Meridione d’Italia, specializzato in notturni dai toni caldi e forti.


Nella pittura spagnola del XVII secolo, si riscontrano influssi caravaggeschi nell’intenso naturalismo e nel violento chiaroscuro. Il caravaggismo spagnolo è però più complicato di quello romano, olandese, etc., poiché erano pochi gli artisti che avevano soggiornato in Italia e gli originali erano pochi e conservati nelle collezioni reali e nobiliari.

Il primo naturalismo spagnolo non si rifaceva tanto al genio di Caravaggio quanto a Bassano, a Luca Cambiaso e al “manierismo riformato” degli artisti medicei. Dunque i pittori spagnoli videro in Caravaggio più un invito a copiare direttamente la natura che le opere del maestro. Mancando un ceto borghese, quindi una committenza laica, si diffusero poco le scene di genere raffiguranti taverne, bordelli, musicanti, e quelle poche furono criticate.

Francisco Pacheco, suocero e maestro di Velázquez, fece riferimento alle copie della Crocifissione di san Pietro di Caravaggio, sottolineando la necessità di tenere a mente la natura al fine di copiarla fedelmente. E il giovane Velázquez, nella fase sivigliana, mostrò di conoscere lo stile di Merisi.

Il caravaggismo di Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, influenzò alcune composizioni di Zurbarán, negli anni tra il 1630 e il 1640. Questi restò fedele per tutta la carriera agli intensi effetti luminosi che isolano le figure ascetiche, piene di misticismo e di appassionata vita interiore.

 

Battistello Caracciolo, Liberazione di San Pietro (1615)

Bibliografia essenziale

 

° AA.VV., Caravaggisti, Giunti, Firenze, 1996

° Calvesi M., Caravaggio, Giunti, Firenze, 1986

° Cappelletti F., Caravaggio e i caravaggeschi, E-ducation.it, Firenze, 2007

° Graham-Dixon A., Caravaggio. Vita sacra e profana, Mondadori, Milano, 2011

° Longhi R., Studi caravaggeschi, Abscondita, Milano, 2017

° Papa R., Caravaggio. Gli anni giovanili, Giunti, Firenze – Milano, 2005

° Id., Caravaggio. Gli ultimi anni, Giunti, Firenze-Milano, 2004

° Id., Caravaggio. Le origini, i modelli, Giunti, Firenze-Milano, 2010

° Sgarbi V., Il punto di vista del cavallo, Caravaggio, Bompiani, Milano 2014

 

Sitografia

 

Longhi e Caravaggio, artista moderno e popolare, su raiscuola.rai.it (qui)

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