Terrorismo islamico e giustificazionismo occidentale. Parte II

 

La posizione della Striscia di Gaza, evidenziata in rosso


In queste settimane, ciascuno di noi vive un certo grado di sopraffazione rispetto agli eventi internazionali in atto. Per quanto mi riguarda, mi ha colpito la notizia della morte della sedicenne iraniana Armita Garawand, finita in coma dopo un pestaggio in metro per non aver indossato il velo.

Mi ha turbato leggere che nella serie di terremoti di ottobre in Afghanistan, siano morti tanti bambini e tante donne, perché erano perlopiù imprigionate in casa e, quelle che sono fuggite dagli edifici senza velo, sono state picchiate perché a volto scoperto e senza l’accompagnatore maschile.

Mi ha rattristato la continua deriva turca, a un secolo dalla sua nascita, da Stato laico a Paese sempre più islamizzato, con una leadership guidata da Recep Tayyip Erdoğan che appoggia Hamas, ritenendola una milizia che lotta per l’indipendenza, ma che al contempo, quando si tratta dei popoli armeno e curdo, li ritiene terroristi. Il presidente turco sta sfruttando la situazione per cercare di qualificare la Turchia, ancora una volta, quale perno delle dinamiche mediorientali e centrasiatiche, su un modello di ispirazione neo-ottomana, ovvero imperialista.

 

Mi ha fatto scuotere la testa la strategia confusa del presidente Benjamin Netanyahu perché, se l’obiettivo è far tornare a casa gli ostaggi del 7 ottobre e combattere Hamas, la soluzione non può essere il bombardamento di un lembo di terra sovrappopolato, in cui i terroristi impiegano la popolazione come scudo umano. Non può essere la soluzione perché ciò indebolisce la posizione internazionale di Israele, mette in serio pericolo il processo di normalizzazione in Medio Oriente e rende questa guerra un atto personalistico di un presidente che sa che non sopravvivrà a questa crisi politica e che quindi non ha niente da perdere.

Mi ha messo rabbia ascoltare il video del leader di Hamas, Isamil Haniyeh, che parla della necessità di far morire i bambini palestinesi. Mi ha schifato il video di un alto funzionario della stessa organizzazione terroristica, Mousa Abu Marzouk, che alla domanda sul perché abbiano costruito cinquecento chilometri di tunnel e non un solo bunker per i civili, ha risposto che ai civili deve pensarci l’Onu, perché i tunnel servono a loro per combattere.

 

In parallelo, gli altri conflitti globali, come quello in Ucraina, con la recente notizia dell’ennesimo sterminio di una famiglia ucraina da parte dell’esercito russo a Volnovakha, nel Donec’k. Un crimine commesso da quella Russia che, in queste giornate, ha accolto gli esponenti di Hamas a Mosca, riferendo che studieranno le loro tattiche del 7 ottobre nelle accademie e che ha parlato di «crimine disumano» per l’attacco all’ospedale di Gaza, la cui matrice resta, al momento, incerta e che non ha provocato le centinaia di morti di cui si parlava in un primo momento, citando fonti quantomeno inaffidabili (i rappresentanti di Hamas!).

Mi ha preoccupato vedere come sia semplice e pericoloso sparare a zero sul giornalismo da ogni direzione politica. Perché nel giornalismo odierno esiste un problema di metodo e di obiettività. Pensare però che il giornalismo in sé sia il problema, è miope. Non esiste democrazia senza di esso. Credere che “indipendenti” (si fa per dire, nel 90% dei casi) e militanti di ogni provenienza politica possano fornire maggiore verità o obiettività al dibattito è follia pura. Una contraddizione in termini.

 

Affinare il senso critico

 

La questione israelo-palestinese o arabo-israeliana è una delle diatribe storiche e geopolitiche più difficili da affrontare. Anche sul piano meramente documentario, è complicato trovare saggi che non diano un’interpretazione tendenziosa, a favore di una parte o dell’altra. In uno speciale di The Week sul sito de Gli scrittori della porta accanto, ho consigliato tre libri per introdursi al tema nella maniera più obiettiva possibile. Non sono gli unici, ma è un buon punto di partenza. Subito dopo, ho raccontato gli eventi seguiti alle azioni compiute da Hamas in Israele il 7 ottobre 2023.

Sto facendo fatica, in settimane come queste, a ignorare la tendenziosità di certi suggerimenti di lettura. Nei periodi in cui scoppiano conflitti, come quello in Ucraina, ci sono persone che si precipitano a condividere libri militanti a utenti che magari, in buona fede, pensano di trovare in quelle pagine qualche “verità oggettiva”.

In queste giornate, sul tema del conflitto arabo-israeliano, ho visto condividere moltissimi libri militanti, ovvero schierati con una precisa idea sulla questione. Titoli condivisi in malafede, ben sapendo che la maggior parte delle persone, ignorando i dettagli storici della regione, saranno propensi a prendere per buona la prima lettura che sembri essere convincente.

Ci sono alcuni strumenti per aiutare il proprio senso critico. Per esempio, quando un autore o una casa editrice regalano il loro libro di storia sull’argomento, non stanno facendo beneficenza o un servizio pubblico, ma propaganda, non diversa dal volantinaggio partitico degli anni Settanta. E, giusta o sbagliata che sia quella visione, sarebbe bene prenderne le distanze, quale sintomo di disonestà intellettuale.

 

Un altro esempio: se state leggendo un libro che mira a individuare una “colpa” in una delle due parti coinvolte, è bene storcere il naso. Un saggio storico o antropologico non dovrebbe attribuire colpe o meriti, ma limitarsi a esporre i documenti a disposizione, cercando di organizzarli in una teoria, che non è mai verità assoluta.

Inoltre, mentre è (dovrebbe essere) facile affermare che in Ucraina abbiamo assistito a un’invasione imperialista dal taglio ottocentesco, molto più complicato è mettere insieme i pezzi di quanto accade tra israeliani e palestinesi. Gli esperti che a vario titolo se ne occupano, da decenni, non riescono a trovarvi una soluzione. È quindi opportuno che ciascuno di noi mantenga una sana prudenza al riguardo e cerchi di trattenere la facile (e comprensibile) emotività.

Un ultimo esempio. Bisogna prestare estrema attenzione a chi suggerisce di leggere l’autore X, considerato “indipendente”, perché mai questo termine è stato l’equivalente di imparziale. Anzi, in genere è proprio l’indipendente a scrivere o a dire le peggiori fesserie, perché – fuori dal confronto critico accademico – esprime sentenze che non possono essere falsificate, in quanto l’autore si rifiuta di sottoporsi a o di riconoscere una critica proveniente dall’ambiente accademico, ritenuto tout court compromesso dal potere egemonico di turno.

 

Se non sapete che cosa pensare sul conflitto arabo-israeliano, prima di acquistare qualcosa, approfondite la carriera degli autori, ma non solo: cercate di assicurarvi che la loro prospettiva non sia resa meno obiettiva dall’attivismo politico, come nel caso di un antropologo molto valido, Edward Said, che continuo a veder condiviso, ma che non è la miglior fonte per avere una visione a trecentosessanta gradi su questo tema. Uno studioso che invece è riuscito a mantenersi equilibrato, pur essendo chiara la sua sensibilità verso i palestinesi, è Alain Gresh nel suo Israele, Palestina (Einaudi, Torino, 2015).

Il conflitto israelo-palestinese è uno di quei casi in cui ci sono davvero verità e ragioni, al plurale. Nessun riduzionismo ideologico di estrema destra e di estrema sinistra porterà a una soluzione. Non esiste un futuro di questa terra senza l’accettazione del dolore dell’Altro – come evidenzia Gresh – e senza la convivenza, in due Stati, tra questi popoli. Non esiste scenario in cui una delle due entità scomparirà. Partiamo da questo, se la pace vuol essere un valore e se il pacifismo non è solo sterile equidistanza.

 

Tra antioccidentalismo e antisemitismo

 

Vorrei parlare poi dell’antioccidentalismo. Invece che incolpare l’Occidente a ogni nuova notizia, inizierei a pormi domande sull’impatto dell’Islām radicale nel mondo, non solo mediorientale. Dare sempre la colpa all’Occidente è un modo diverso per dire che gli altri popoli non avrebbero responsabilità di nulla e che non sarebbero consapevoli delle azioni che compiono, condizionati dal potente di turno, come bambini incoscienti. Incolpare l’Occidente è una forma di razzismo non verso gli occidentali, ma verso il resto del mondo.

Sul piano esterno, l’espansione dell’Islām radicale nel mondo è una minaccia ai princìpi laici di uno Stato, ai diritti dell’individuo e delle minoranze, tutelati in Occidente a un livello che il resto del mondo si sogna. Con i terroristi islamici non esiste la diplomazia, perché il Jihad è cultura della morte e della guerra che non prevede alcun dialogo, ma solo sottomissione. Questo, e nient’altro, è il Corano letto da questi terroristi, come ci ricorda la sura al-Baqarah, al versetto 191. Ogni “ma” è giustificazionismo.

 

Ci sono dei cortocircuiti logici in questa faccenda. Per esempio, dire «Io mi schiero sempre con i più deboli» è una fesseria. Ci si dovrebbe schierare, se proprio è necessario, con la parte che opera nel giusto, qualora si possa davvero individuarne una. I terroristi islamici come Isis sono i più deboli, se confrontati alla potenza militare di certi Stati, ma non mi sognerei mai di schierarmi con loro soltanto perché parte sfavorita. Anche perché immagino che, se Hamas disponesse del potere militare israeliano, farebbe le medesime stragi, e forse qualcosa di peggio, in spregio al diritto internazionale.

Ma se le cose stanno così, metto le mani avanti: quando la Cina invaderà Taiwan, chi si schiererà con i deboli taiwanesi e scenderà in piazza per sostenere il loro diritto all’autodeterminazione? Credo di sapere già la risposta e la posizione che adotterà quell’estrema sinistra per cui l’ideologia antistatunitense e antioccidentale ha più valore della coerenza e della vita dei civili.

Come ha evidenziato con ironia Paolo Mieli, quegli “analisti” italiani che criticavano il presidente ucraino Zelens’kyj per non essersi ritirato di fronte allo strapotere russo, salvando i civili, oggi non stanno chiedendo a Hamas di fare un passo indietro, riprendendo le stesse ragioni.

 

Avessi sentito anche solo la metà dell’indignazione per i milioni di profughi ucraini, i bambini rapiti o uccisi dai russi e le città rase al suolo, e avessi visto in questi anni anche solo la metà delle bandiere ucraine o del sostegno a popoli perseguitati come i curdi, il mondo sarebbe forse meno ideologizzato dall’estrema sinistra e dall’estrema destra e sarebbe, forse, per davvero un posto migliore.

Invece ci lasciamo trascinare da quelle propagande dei due estremismi, credendo di schierarci per la “buona battaglia” o per la giustizia. Delle decine di migliaia di vite spezzate dai regimi russo, iraniano, talebano e cinese (vi ricordate gli uiguri o i tibetani? Non credo), delle migliaia di morti e sfollati del terrorismo jihadista dal Sahel africano all’Asia centrale non frega niente a nessuno. Perché, quando questi regimi fanno rete contro gli Stati Uniti e l’Occidente, molti indignati di oggi chiudono gli occhi, giustificano i danni collaterali, si dimenticano di difendere i diritti umani delle minoranze e fanno prevalere la loro ideologia sulla vita umana e la giustizia.

 

Chiedetevi perché vi state indignando (giustamente) per i morti civili palestinesi e perché non avete mostrato altrettanta indignazione per il trattamento disumano riservato a ucraini, siriani (mezzo milione di morti riconducibile al regime di Assad!), civili afghani, uiguri, curdi, civili yemeniti, sudanesi... e la lista potrebbe proseguire. Io la risposta la conosco. O siete vittime inconsapevoli (ma conniventi) della propaganda, oppure siete parte del problema.

Alcuni potrebbero essere tentati di dire che questo sia benaltrismo, ma è un’accusa ironica da parte di chi o ha ignorato del tutto quelle situazioni o, in funzione filorussa, ha alimentato con il benaltrismo la polarizzazione nel conflitto in Ucraina. Per parte mia, nel mio piccolo, posso dire di aver sempre trattato diverse situazioni di crisi globale nel mio spazio d’attualità sul sito de Gli scrittori della porta accanto.

 

Un punto fondamentale sul quale bisognerebbe concentrarsi è che, se il tuo retropensiero suggerisce che se lo siano “meritato” (o i palestinesi, o gli israeliani), sei parte del problema. Un esempio su tutti è il volo che da Tel Aviv era atterrato nel Daghestan, uno degli Stati della Federazione russa. Centinaia di persone hanno preso d’assalto l’aeroporto per andare a caccia di ebrei, come nel più classico dei pogrom russi dell’Ottocento, dimostrando la mancanza di controllo delle autorità russe sul proprio territorio o, forse, un aperto sostegno antisemita. Un caso curioso per un Paese che parlava di denazificare l’Ucraina.

Ma il punto non è nemmeno questo. Sembra che nel volo proveniente da Tel Aviv non ci fossero ebrei, perché si trattava di una missione umanitaria, con bambini musulmani tra i passeggeri, che erano in cura in Israele. Questo esempio serve a ribadire che entrambe le parti in causa, in questo conflitto, hanno le loro responsabilità. Al momento, però, dovremmo concentrarci su una de-escalation dell’odio tra le parti e non andare alla ricerca di una dichiarazione specifica per stilare una classifica dei buoni e dei cattivi.

 

La prima parte di questo approfondimento d'attualità si trova qui.


Consigli video

 

1. Parabellum, Guerra in Israele – Offensiva su Gaza? Con Mauro Indelicato & generale Paolo Capitini

2. LiberiOltre, Hamas – Israele: andiamo verso la catastrofe?

3. Traveling Israel, The Hostility of the Left and the Arab World Toward Israel (and Why You Should Care)

4. Michele Boldrin, Israele & Palestina: gli anni dal 1936 al 1956 (I)

5. Ivan Grieco, “Israele sbaglia a distruggere Gaza”, analisi con Michele Boldrin

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