La svastica tra arte, storia e simbologia

Spilla germanica, ritrovata a Varpelev, Zelanda, Paesi Bassi
 

Introduzione

 

La svastica è un simbolo noto soprattutto per il suo impiego millenario nella spiritualità orientale e da parte dei nazisti nel Novecento. La sua diffusione è però molto più vasta. Essa è in grado di evocare associazioni che generano un riconoscimento istantaneo, benché, per gli occidentali, il primo collegamento sia in genere negativo.

Il termine è di origine sanscrita (swastika) ed è composto da swasti (prosperità) e da ka. Il primo termine è a sua volta formato da su (bene) e da asti (voce del verbo “essere”), mentre il secondo è un suffisso con diversi significati, tra cui il riferimento a Prajāpati, la divinità che rappresenta il principio cosmogonico. Nel complesso, la parola svastica si può tradurre con “benessere”.

La svastica consiste in una croce a quattro braccia di uguale lunghezza, terminanti con uncini ad angolo retto volti tutti in senso orario (卐, soprattutto nell’Induismo) o antiorario (卍, nel Buddhismo). La prima, detta di destra, viene da alcuni intesa come simbolo solare; quella di sinistra, invece, rappresenta la notte e la dea Kālī: questa distinzione però non è universale e sembra trattarsi di una considerazione più recente.

 

Storia


Monile etrusco rinvenuto a Bolsena, Lazio, datato al VII secolo a.C.
 

L’utilizzo più antico del simbolo risale almeno all’ultimo periodo glaciale. Al Museo Nazionale di Storia dell’Ucraina, a Kyïv, è possibile vedere molti reperti preistorici, tra cui una statuina in avorio rappresentante un uccello, ricavata dalla zanna di un mammut. Ritrovata nel 1908, nell’insediamento paleolitico di Mezin, vicino al confine russo, è stata datata intorno ai 15.000 anni fa. Era accompagnata da altri oggetti fallici, sottolineandone probabilmente il significato connesso alla fertilità. Fu nell’età del bronzo, però, che le svastiche si diffusero in tutta Europa: uno degli esempi più famosi è la Ilkley Moor, nello Yorkshire. Per quanto riguarda la valle dell’Indo-Saraswati, invece, le prove archeologiche sono più recenti, risalenti almeno al 4.000 a.C.

A ogni modo, la presenza della svastica sembra non conoscere confini: dalla Grecia ai territori dei Celti, dall’Africa (p. es. nelle ceramiche della regione di Kush, nell’odierno Sudan) alla Cina (già prima del Buddhismo), fino al Nord America, quale espressione p. es. degli Hopi e dei Navajo.

La ritroviamo così sulle antiche monete mesopotamiche, in Scandinavia come segno sul martello del dio Thor (nella versione di sinistra, detta anche sauvastika), nell’arte paleocristiana e bizantina, etc.

 

In Europa, la svastica conobbe nuova fortuna a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Nel 1874, Heinrich Schliemann pubblicò Antichità troiane, dove esponeva i risultati delle ricerche del sito che aveva scoperto, l’antica Troia, situata nei pressi dell’odierna Hissarlik, sulla costa dell’Ellesponto. Furono portati alla luce numerosi reperti con svastiche, circa 1.800, utilizzate come sigilli o elementi decorativi sulle ceramiche: per la sua ricorrenza, lo studioso dedusse che si trattasse di un simbolo significativo per i “nostri” antenati.

L’orientalista Émile-Louis Burnouf non era d’accordo: studiando i Ṛgveda, trovò un collegamento tra la svastica e un popolo antico, gli ariani. Queste due teorie confluirono in una visione nazionalista tedesca, che vedeva negli ariani una razza bianca superiore. Il termine ārya significava però, semplicemente, “nobile” o “onorevole” e non indicava un gruppo etnico specifico.

Ciò nonostante, i membri del movimento tedesco Völkish, impegnato nella scoperta di un passato tedesco-ariano in gran parte mitico, adottarono il simbolo, poi ripreso da Adolf Hitler.

Nel 1910, il nazionalista viennese Guido von List suggerì di adottare il simbolo per tutte le organizzazioni antisemite. Egli ispirò la creazione dell’Armanen-Orden, società che si rifaceva a una delle tre caste tedesche pre-cristiane, gli armoni, condottieri-sacerdoti con doti di chiaroveggenza, che detenevano il sommo potere. List sosteneva di essere l’ultimo sopravvissuto di questa razza, manifestandolo attraverso stati di trance derivati dal contatto con oggetti del culto del dio Wotan, identificato come Odino. L’uomo impiegava inoltre un alfabeto runico composto da diciotto simboli, derivato da antichi alfabeti nordici. Le rune, già note almeno dai tempi di Tacito (che ne parlò nel 98 d.C.), avevano una funzione divinatoria. List scrisse Il segreto delle rune (1908), menzionando anche la svastica (detta Fyrfos), la diciassettesima runa, rappresentante il sole: per questo, essa indicava la chiave d’accesso ai segreti dell’antica scienza.

Tra i più ferventi discepoli di List vi fu Adolf Josef Lanz, fondatore, nel 1899, dell’Ordine dei Nuovi Templari, che consacrava la purezza razziale. Nel 1905, egli inaugurò il giornale antisemita Ostara, che discuteva di metafisica della razza e di sottomissione dei popoli ritenuti inferiori. Per Lanz, questi dovevano essere ridotti in schiavitù e la loro procreazione doveva realizzarsi in funzione dello sviluppo economico. Anche le donne ariane dovevano essere segregate, in modo che gli uomini “puri” potessero ingravidarle mantenendo forte la razza. L’influenza di Lanz su Hitler e sull’eugenetica promossa da Himmler è evidente.

 

Altri gruppi occulti, però, contribuirono ad aprire la strada al nazismo. Il Germanenorden operò tra il 1912 e il 1922: l’ordine, fondato da Theodor Fritch, Philipp Stauff, Heinrich Kragher e Herman Pohl, nacque con lo scopo di estromettere gli ebrei dalla comunità tedesca. Dopo la PGM, l’ordine si identificò nella mitica Ultima Thule, isola leggendaria, descritta dall’esploratore greco Pitea, ritenuta dai nazionalisti tedeschi la loro terra d’origine. Fu il barone Rudolf von Sebottendorf a promuovere questa linea: l’emblema di Thule era rappresentato da una croce sopra un disco solare a forma di svastica ricurva. Un altro simbolo fu l’aquila rossa, metafora dell’ariano che attraversa il fuoco, e l’adozione del saluto alla vittoria (Sieg Heil). Il gruppo attendeva l’incarnazione di un salvatore e non a caso Dietrich Eckart, uno dei membri più autorevoli dell’ordine, assegnò a Hitler tale titolo.

Questi non fu solo leader politico del partito nazionalsocialista, ma anche art director. In alcuni passi del Mein Kampf sosteneva l’assoluta necessità di un emblema che dovesse essere di grande effetto e capace di impaurire il nemico. L’ispirazione per la svastica nazista provenne forse da Friedrich Krohn, un dentista tedesco appassionato di simbologia, che ne creò una versione ricurva inserita in un disco bianco (la cosiddetta Hakenkreuz). Hitler la riprese cambiandone la direzione a destra e aggiungendo il rosso. I tre colori avevano questa funzione: la croce uncinata nera era il simbolo della lotta per la vittoria dell’uomo ariano; il bianco rappresentava l’ideale nazionalista; il rosso l’idea sociale del movimento.

Giunto al potere nel 1933, Joseph Goebbels promosse una legge a protezione dei simboli nazionali, proibendo l’uso commerciale senza autorizzazione di simboli come la svastica. Nel 1935, Hitler promulgò a Norimberga la legge che decretava la svastica bandiera nazionale tedesca.

 

Non si trattava solo di una formalità, ma di una concreta necessità. Prima dell’uso deleterio che ne fece il nazismo, infatti, la svastica aveva conosciuto una nuova diffusione in Occidente, non solo negli ambienti nazionalisti. Adottata per la sua valenza di portafortuna, era presente su prodotti commerciali quali la Coca-Cola; era impiegato dai boy scout e dalla 45° divisione di fanteria dell’esercito americano, negli anni Venti, nonché dalla Royal Air Force (RAF) fino al 1939; in Ontario, Canada, fu inoltre fondata nel 1908 una città chiamata Swastika.

Nella stessa Germania, la svastica era un motivo grafico rappresentato su edifici e beni di consumo, divenendo anche un marchio per aziende manifatturiere. Persino il Bauhaus, la nota scuola statale di arti grafiche, scelse la svastica come uno dei suoi primi logo.

 

Significato

 

Trono sacro di un tempio indù a Bali, Indonesia


Ma che cosa significa questo simbolo? Non si conosce il suo valore originario, per cui si possono solo fare supposizioni, ma nel tempo la svastica ha acquisito significati ben definiti. Simbolo di fertilità e di buon auspicio, la sua forma evoca anche l’infinita creazione. Nelle diverse religioni ha assunto specifichi significati, p. es. nel Buddhismo, in cui rappresenta le impronte del Buddha.

Per questi valori affini, la svastica è ancora oggi riportata su oggetti di uso quotidiano, sugli ingressi delle case e sugli edifici quali gli ashram indù.

La svastica fu utilizzata come un ricorrente motivo decorativo, per rendere più dinamico un vestito o per delimitare una pavimentazione a mosaico. 0Essa restituisce un oggettivo piacere estetico, dato dalla geometria e dalla facile riproduzione in sequenze collegate tra loro dalle braccia.

Questi significati si legano poi a un’interpretazione più elaborata, anche esoterica, del simbolo. La svastica è legata ai numeri, a partire dal quattro: essa richiama le stagioni, le direzioni, così come i testi sacri noti come Veda (Rig, Yajur, Sama, Atharva), le quattro epoche del mondo per gli indù (Satya, Treta, Dvapara, Kali) e gli obiettivi della vita, ovvero Dharma (azione giusta), Artha (prosperità mondana), Kama (godimento mondano) e Moksha (liberazione spirituale).

A un livello più esoterico, un’interpretazione suggestiva è quella di René Guénon: secondo l’orientalista, la svastica rappresenta la rotazione delle sette stelle dell’Orsa Minore (Piccolo Carro) e dell’Orsa Maggiore (Grande Carro) intorno al Polo Nord celeste. Simbolizza quindi il moto di rotazione intorno a un centro immobile (Axis Mundi) e sarebbe formata da quattro gamma greci [ Γ ], uniti a una base comune. In questa specifica interpretazione, la svastica è l’emblema dell’Essere Supremo, che ordina in modo geometrico l’universo, per cui Guénon lo collega all’attività del Grande Architetto dell’Universo della tradizione massonica, ma anche all’attività del Verbo “cristiano”, dell’Oṃ indù, del Taiyi (il Grande Uno) della tradizione cinese.

 

Arte

 

Mosaico della Villa romana del Casale, risalente al IV secolo, situata a Piazza Armerina, Sicilia


La svastica è un segno molto potente sia per la forza della tradizione che l’accompagna, sia per la sua composizione stilistica: la geometrica purezza ne consente l’intelligibilità in ogni formato, mentre le sue eliche suggeriscono l’idea di un movimento vorticoso.

Simbolo solare per eccellenza, la svastica affonda le sue radici nella preistoria. Thomas Wilson, dirigente del dipartimento di antropologia preistorica di Washington, pubblicò un saggio alla fine dell’Ottocento, dal titolo The Swastika, the Earliest Known Symbol, and Its Migration; With Observations on the Migration of Certain Industries in Prehistoric Times. Lo studioso sosteneva che essa fosse presente in tutto il globo in quanto rappresentasse un modo graficamente semplice per esprimere un tributo in onore al sole. La linea, la croce, il triangolo aperto, il cerchio: mezzi impiegati dagli uomini preistorici per dare sfogo alla propria creatività, come si può notare nelle molteplici variazioni sul tema.

Per una prima analisi di ordine generale, si può distinguere tra svastiche statiche e dinamiche. Le prime sono tipiche di molti mosaici, p. es. quello riportato sulla pavimentazione del II-III secolo d.C. del museo di Santa Giulia, a Brescia, ma le svastiche di questo tipo furono anche disegnate su vasi (greci e non solo) o incise su pietra. Le seconde, invece, si ritrovano principalmente in scodelle, ciotole, su roccia, ma anche dipinte su carta o tracciate sul terreno.

Non esistono comunque nette distinzioni tra svastiche statiche e dinamiche e la loro rappresentazione doveva essere spesso condizionata dalle capacità tecniche dell’artista-artigiano (o del fedele) e dalle possibilità offerte dal supporto.

Partendo dal presupposto che anche le varianti dinamiche fossero, per l’ovvia natura della rappresentazione, immobili, in molte aree del mondo esse furono molto diffuse nell’antichità, per cui si potrebbe dedurne che la versione propriamente statica non fosse che una sua stilizzazione ulteriore, destinata a maggiore fortuna. Così troviamo una serie di elementi decorativi rotatori su una ciotola mesopotamica, risalente al IV millennio a.C., propria della cultura di Samarra: qui gli elementi più geometrici si alternano alle linee morbide, che sembrano suggerire una fiamma viva.

Nei contesti cristiani (ortodossi e non solo), soprattutto quelli influenzati dalla civiltà celtica, la svastica è stata invece reinterpretata per avvicinarla iconograficamente alla croce, con cui pure condivide una parte della simbologia (legata p. es. al numero quattro). Troviamo così il volto di Cristo al centro di una svastica a eliche, i cui rebbi terminano in quattro cerchi, nel rosone della chiesa di Santa Maria a Bloxham, Inghilterra. L’iconografia cristiana (Cristo, ma anche i simboli dei quattro evangelisti e dei quattro arcangeli maggiori) si uniscono a un intreccio tra la roccia e il vetro, che suggerisce elementi naturalistici pre-cristiani.

Già dall’antichità, le rappresentazioni fantasiose ed elaborate furono comuni, come quelle presenti nell’Europa centro-orientale tra II e IV secolo d.C., con svastiche le cui braccia terminavano con teste di cavallo o di drago.

Una via mediana tra la versione statica e dinamica è rappresentata dalla variante con i rebbi “a rana”, ovvero le braccia curvate nel primo tratto e più lineari nel secondo: ne è un esempio la svastica in nefrite ritrovata in Bulgaria, a Kărdžali, risalente al VII-VI millennio a.C.

Un altro elemento per facilitare un’analisi riguarda la centralità del tema. La svastica può trovarsi al centro di una rappresentazione, costituire un elemento decorativo, quasi di cornice, e infine può affiancarsi ad altri simboli. Quest’ultimo caso è frequente nella cultura orientale: non è inusuale trovare quattro svastiche che attorniano il vajra (fulmine, diamante in senso figurato), simbolo del potere spirituale nel Buddhismo tibetano e arma suprema di Vishnu nell’Induismo.

Non si deve però pensare che la svastica fosse diffusa solo nei manufatti e nell’arte orientale, europea e cristiana. Ci sono testimonianze nell’arte africana, americana (pre-colombiana) e nei contesti religiosi ebraico e mussulmano. Nell’Ebraismo, la svastica non è certo un simbolo comune, tantomeno oggi, ma è stato trovato in associazione alla Stella di David e in alcuni studi cabalistici, quali l’opera Parashat Eliezer. Nel mondo islamico, invece, è presente come elemento decorativo in alcune moschee (p. es. a Yerevan, in Armenia). In entrambi i casi, comunque, sembra si possa parlare di un’adozione postuma del simbolo, per l’influenza della cultura mesopotamica e grazie ai commerci con l’Europa e con l’Oriente.

 

A ogni modo, a fronte di una vastissima diffusione nel mondo antico, l’impiego della svastica si ridusse in modo progressivo in ogni parte del mondo, a esclusione dell’Estremo Oriente e, forse, delle Americhe (dove la distruzione dei colonizzatori non permette chiare ricostruzioni storiche sul simbolo). Solo con l’interesse degli orientalisti del Sette-Ottocento e con le scoperte di Schliemann si tornò a considerare il significato e l’utilizzo del simbolo. Abbiamo già parlato della sua presenza a livello commerciale e in diverse unità militari, fino all’egemonia imposta dal nazismo. Qui la svastica fu impiegata con un’inclinazione, che doveva suggerirne la dinamicità, e inscritta in colori specifici. Ci furono però anche raffigurazioni “classiche” e statiche, con la base poggiante sul lato di un braccio (e non sulla punta), in particolare quando veniva inserita in una corona di alloro stretta negli artigli di un’aquila.

Fu solo dagli anni Cinquanta che la storia della svastica, in àmbito artistico, conobbe un nuovo impiego. Preso nella sua accezione di simbolo nazista per eccellenza, essa divenne un mezzo per provocare e scandalizzare. Non solo nell’arte, ma anche in altri fenomeni della cultura di massa: ne è un esempio il logo della band Kiss, che rivisitò lo stile gotico dell’insegna delle Schutzastaffel (SS). Il nome stilizzato del gruppo, KIϟϟ, riprendeva i caratteri runici già adottati dai nazisti.

Nel secondo Novecento, il legame tra arte, musica e spettacolo si infittì. La maglietta con la croce uncinata, indossata da Sid Vicious, prima membro dei Sex Pistols e poi solista, era al contempo una provocazione, una ridicolizzazione dell’abuso dei simboli e quasi un happening inconsapevole.

Più macabra l’incisione di una svastica sulla fronte da parte del criminale (e artista fallito) Charles Manson, per il quale il simbolo diventava solo uno dei tanti modi per suscitare clamore. Intercambiabile con una X o una croce (le due versioni precedenti dell’incisione), la svastica si svuotava ormai di significato, tra vacue pretese mistiche e una sciupata e compiaciuta allusione al male.

 

Negli anni Ottanta e Novanta, invece, la riflessione sul simbolo si lega al concetto di memoria e alla critica post-coloniale. Nel 1985, l’artista polacco Krzysztof Wodiczko proiettò una svastica nazista sul frontone della Sputh Africa House, a Trafalgar Square, Londra. Qui la provocazione si univa all’interesse per una riconsiderazione della memoria storica: attraverso il détournement, una pratica che mira a liberare il soggetto dall’ambiente che lo domina, trasformandone l’estetica e il significato, Wodiczko raccontava la storia ormai taciuta delle architetture, passate dall’essere l’espressione del potere imperialista a quello democratico.

È però nel saluto nazista (Sieg Heil) che vi è forse una massima rappresentazione di questa riflessione sui simboli. Al contrario della svastica, il saluto non poteva vantare una tradizione così radicata nella storia, aspetto che lo legava in modo indissolubile al nazismo. L’artista tedesco Anselm Kiefer si fece fotografare di fronte a luoghi significativi della Germania Ovest e della Germania Est, mentre effettuava il Sieg Heil. Accusato di essere un neonazista, il vero intento di Kiefer era di risvegliare le coscienze sul dramma nazista, sopite da un trentennio di guerra fredda, per ammonire sui danni del Terzo Reich e sul pericolo annidato al di sotto delle democrazie.

Proprio la riflessione sulla memoria storica, con l’intento di svelare quanto si tendeva a celare per opportunismo politico, liberò in parte il simbolo dalle sue catene naziste e permise un’ulteriore analisi sulla sua origine.

Se in parte il significato negativo della svastica è stato svuotato dalla musica e dall’arte del secondo Novecento, ciò non significa dimenticarne l’uso storico, né fare un torto alla memoria. Al contrario, la conoscenza del valore originario del simbolo e la sua applicazione, anche odierna, nei culti orientali, sono un esempio significativo della riappropriazione di un simbolo oltraggiato dal nazismo. Quando nel 2007 la Germania propose di rendere illegale, a livello europeo, la rappresentazione della svastica, gli indù si opposero con forza e alla fine ebbero ragione. L’anno seguente, il Gran Rabbinato d’Israele e l’Hindu Dharma Acharya Sabha (il massimo organo dell’Induismo, costituito nel 2003) siglarono una dichiarazione a Gerusalemme, in cui, al punto sette, si riconosceva l’antichità della svastica e il suo legame con l’Induismo; un simbolo utilizzato in modo improprio dal nazismo. Sulla stessa linea, gli organizzatori delle Olimpiadi di Tokyo 2020 decisero di mantenere l’icona della svastica per indicare i templi buddhisti nelle mappe e nelle guide turistiche.

Queste e altre iniziative sono di fatto un mezzo per invalidare le pretese dei neonazisti e privarli di un loro simbolo centrale, attribuendogli l’originale e millenaria valenza positiva. Il significato di un simbolo risiede nelle mani di coloro che, conoscendo la Via tradizionale, sono in grado di riportarne alla luce il reale potere.

 

Letture consigliate

 

Copertina Adelphi dell'opera di René Guénon


Per informazioni storiche concentrate sull’antichità, si rimanda al citato

1. Thomas Wilson, The Swastika, the Earliest Known Symbol, and Its Migration; With Observations on the Migration of Certain Industries in Prehistoric Times, Washington D. C., 1896.

Il testo è reperibile in versione digitale, in lingua originale, a questo link.

 

Riguardo all’impiego del simbolo a partire dal XIX secolo e per le parti relative alla grafica, si veda il saggio di

2. Steven Heller, Storia universale della svastica. Come un simbolo millenario è diventato emblema del male assoluto, UTET, Milano, 2020.

 

Per un’interpretazione esoterica, si consigliano le parti relative al simbolo in esame contenute in

3. René Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 1990.

Il testo è reperibile in versione digitale a questo link.

 

Per concludere, proponiamo due romanzi, che non hanno a che fare tanto con il simbolo, quanto con il nazismo, e che rappresentano due buoni consigli di lettura:

4. Katherine Burdekin, La notte della svastica (Swastika Night, 1937), Sellerio, Palermo, 2020.

5. Philip K. Dick, La svastica sul sole (The Man in the High Castle, 1962), Fanucci, Roma, 2005.

Quest’ultimo testo è reperibile in versione digitale, in lingua originale, a questo link.

 

Video consigliati

 

Dal punto di vista storico:

 

1. Canale QATNIP, History of Swastika

2. Canale Ukraine Ancient, What Is the Origin of Swastika

3. Canale United States Holocaust Memorial Museum, The History of the Swastika

 

Ai giorni nostri, i primi interessati affinché la svastica non venga associata al nazismo sono le comunità indù, per cui rimandiamo almeno a questi due video, utili ad approfondire il significato del simbolo in tale cultura:

 

1. Canale Stoic Sadhu English, What Is the Significance of Swastika in Hinduism

2. Canale Artha, Importance of Swastika in Hinduism

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