La foresta trabocca di Ayase Maru
Copertina realizzata da Lucrezia Viperina per l'edizione Add del 2023 |
Da
anni sento parlare di studi sulla silvoterapia, ovvero quella pratica secondo
cui la vicinanza con gli alberi, e in generale le piante, favorirebbe il
benessere del nostro organismo. Non so se Ayase Maru si sia ispirata a essa per
La foresta trabocca (Add, 2023), ma il concetto è certo tra le righe.
Protagonista
di questo romanzo breve è Rui (Lacrima), una donna che, dopo aver mangiato una
ciotola di semi, vede germogliare il proprio corpo come una foresta. Lei e il
marito, Nowatari Tetsuya, sono noti nel mondo dell’editoria per il modo in cui
l’uomo ne aveva scritto in Lacrima, libro che aveva portato al successo
lo scrittore e in cui la moglie è letteralmente messa a nudo, senza alcun
filtro.
Ciò
si ripercuote sulla percezione che gli altri hanno di lei. Per esempio,
l’editor Sekiguchi ammette di faticare a guardarla negli occhi, provando un
certo disagio per la figura eccitante che emerge dal libro. E Takao, il marito
dell’editor Shirosaki, emette un giudizio sprezzante al pensiero che Rui non
sia in grado di opporsi al marito: «Se è debole la colpa è sua.»
Il
tema del sacrificio necessario in una relazione di coppia è un motivo portante
della storia: l’Autrice, però, indaga la sproporzione nel rapporto tra Rui e
Nowatari, in cui quest’ultimo sembra varcare il confine della manipolazione,
pretendendo che l’arte giustifichi ciò.
La
loro relazione mi ha ricordato quella madre americana che, non molto tempo fa,
è stata arrestata per aver sfruttato i figli, fino al maltrattamento, con
l’obiettivo di ottenere popolarità sui social. In diversi punti dell’opera,
sembra di intravedere anche questa critica alla società dell’immagine,
esemplificata dal rapporto tossico della coppia.
Peraltro,
Nowatari non è del tutto ignaro del problema e si interroga con Sekiguchi sulla
discommunication, alla ricerca di una chiave di lettura che possa
definire il messaggio del suo nuovo libro. Eppure questa consapevolezza non si
trasforma in coscienza, né in autocritica, e diviene l’ennesimo meccanismo per
sfornare una storia vendibile.
Un
personaggio minore, Nasuno, è molto abile a smascherarlo: «Ci sono storie a cui
tutti vogliono credere. E in questo il maestro Nowatari è abilissimo.» Nasuno
ritiene che sia un complimento, perché «significa vendere. Però penso che sia
doveroso chiedersi se questo tipo di romanzo faccia bene al suo lettore.»
Posso
solo commentare: quanti più lettori lucidi come Nasuno ci vorrebbero di fronte
ai best-seller e agli acquisti libreschi dettati dalla moda.
Nowatari
non è sempre stata una figura manipolatoria. Da giovanissimo, conoscendo Rui,
si era dimostrato molto dolce e protettivo. Quel senso di protezione è però
mutato negli anni, fino a tradursi in coercizione. E, in una delle pagine più
concitate, si dimostra violento: «Fremeva dalla voglia di picchiarla,
dominarla, tenerla sotto controllo. Quell’occhio gigante e infuriato sprigionava
la volontà pura e limpida di farle del male.»
A
pesare su Nowatari c’è anche la famiglia o, meglio, le aspettative prodotte da
una società autocontrollata come quella giapponese. In alcuni rari momenti di
onestà interiore, lo scrittore dice: «Eppure, se i miei mi vedessero ora, mi
prenderebbero in giro e mi accuserebbero di essere un ozioso incapace di badare
a se stesso.»
Nowatari
è convinto che nelle coppie delle vecchie generazioni il marito fosse il
ventriloquo di una moglie-pupazzo: «Le parole che uscivano dalla bocca delle
donne erano le opinioni dei loro uomini, diluite ed edulcorate per salvare le
apparenze. Le mogli non avevano opinioni proprie, ma era compito loro
convincere gli altri al posto dei mariti, e se qualcuno le contestava, assumevano
l’aria sperduta degli animali del circo quando sbagliavano il loro numero.
Potevano reagire rimanendo interdette e inquiete o attaccando con ostinazione,
ma non badavano tanto alla reazione del mondo esterno, quanto a quella
dell’uomo che avevano alle spalle.»
Particolari
descrittivi che l’Autrice dosa con sapienza e con un’ottima capacità di
produrre immagini efficaci.
In
numerosi paragrafi, Ayase Maru adotta uno stile quasi didascalico, per dire con
voce chiara quali siano le discrasie della società nipponica. Una di queste è
la convinzione che i problemi nati in famiglia debbano restare in famiglia e
che i colleghi debbano continuare a lavorare «comportandosi come membri maturi
della società, stando attenti a non recare disturbo agli altri.»
Con
questa spiegazione, la scrittrice spiega al lettore perplesso come sia
possibile che Sekiguchi, vedendo Rui trasformarsi in pianta, non coinvolga
medici e polizia.
Altre
peculiarità della società giapponese vengono discusse in quel macrotema che è
la repressione della femminilità. Kinari, un altro personaggio minore, è
cresciuta con l’insegnamento del padre secondo cui dovesse trasformarsi in una
donna da amare, ovvero una persona ignara del mondo e degli uomini, conscia
soltanto delle proprie debolezze, da mettere – quelle sì – in mostra.
Kinari
aveva conosciuto suo marito nell’azienda in cui era stata assunta sùbito dopo
la laurea: era il suo superiore, questo almeno fino alla gravidanza, che
l’aveva portata alle dimissioni. Era stata la sua prima storia d’amore, ma non
l’ultima, poiché Kinari è un personaggio che scopre la propria libertà nella
sfera sessuale extraconiugale.
E
a chi volesse criticarla, potrebbe rispondere Nasuno: «Come mai dappertutto ci
sono personaggi maschili che vogliono avere relazioni con più donne, mentre un
personaggio femminile con istinti simili ha bisogno di un background
drammatico, di modo che il protagonista possa salvarla?»
Tradimento,
manipolazione, incomunicabilità: dall’analisi della società nel suo complesso,
la scrittrice torna al particolare. Rui fa un ulteriore passo avanti: si rende
conto che c’è qualcosa di più grave dietro alla scelta di lavorare o meno, di
avere o non avere figli, un problema di fondo che Nowatari non coglie.
Nella
seconda metà del libro, i coniugi dialogano per trovare un punto di incontro.
Uno dei loro confronti riguarda il tema della discriminazione, che Rui ritiene
nasca dal «porre un limite a rappresentazioni che ci sono sgradite.» Nowatari
le risponde che apprezzerebbe leggere più libri in cui «il genere non influenzi
ruoli e azioni dei personaggi», storie senza «divisioni nette tra target
maschile e target femminile, storie di cui si possa discutere liberamente. Poi,
partendo da lì, ci potrebbero essere delle sfumature, a seconda dei gusti, di
cosa è più maschile e cosa è più femminile.»
Insomma, dal confronto con la donna, Nowatari smentisce Rui e sembra volgersi a nuove prospettive. La foresta trabocca si era aperto con Rui che germogliava, emancipandosi dal ruolo che il marito e la società avevano ritagliato per lei; compiuto il suo cammino di maturazione, è infine la foresta del marito a imitarla, in una metafora del delicato equilibrio tra la crescita della coppia e degli individui che la compongono.
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