La crudeltà che aleggia in Cime tempestose

 


Cime tempestose (Wuthering Heights, 1847) è l’unico romanzo di Emily Brontë, pubblicato con lo pseudonimo di Ellis Bell, nome che ricorda l’espressione hellish bells, campane infernali.

È un libro che racconta le vicende di due famiglie del West Yorkshire, gli Earnshaw e i Linton, ed è influenzato dal romanticismo e dalla narrativa gotica, per quanto l’Autrice reinventi quest’ultimo genere con un libro atipico.

In Cime tempestose c’è molta crudeltà gratuita, una sfida alla moralità vittoriana che rende il romanzo polarizzante: ho sentito spesso dire che questo sia un libro che o si adora o si ripudia. E il perché si potrebbe riassumere in questa citazione, in cui a parlare è il signor Hindley:

 

[…] Ma con l’aiuto di Satana ti caccerò giù per la gola il coltello da scalco, Nelly! Hai poco da ridere; ho appena piantato Kenneth a testa in giù nella palude di Blackhorse; uno o due, che differenza fa… Voglio ammazzare qualcuno di voi, non avrò pace finché non lo faccio! […] Non c’è legge in Inghilterra che vieti a un uomo di ripulire casa sua, e la mia è disgustosa! Apri la bocca!

 

Il tutto parte nel 1801. Il signor Lockwood, nuovo inquilino di Thrushcross Grange nello Yorkshire, fa visita al suo padrone di casa, Heathcliff, nella residenza denominata Wuthering Heights. Nei due edifici, Lockwood ascolta la storia familiare di quei luoghi.

La governante Ellen “Nelly” Dean fa un salto indietro di trent’anni, quando Earnshaw porta a casa un giovane orfano che chiama Heathcliff e che inizia a trattare come figlio prediletto. Con la morte del patrigno, questi diviene un servitore di Wuthering Heights, prima di autoesiliarsi a causa del suo amore combattuto con la sorellastra Catherine.

Heathcliff torna tre anni dopo da ricco gentiluomo e agisce in maniera spregiudicata per realizzare la propria vendetta. Occorrono alcune tragedie, poi una nuova generazione, guidata da Cathy e Linton, porta avanti le sorti di Thrushcross Grange e di Wuthering Heights, che Heathcliff cerca di manipolare. Alla fine di una serie di vicissitudini si ritorna a Lockwood, che per otto mesi si allontana dalla brughiera e, al suo ritorno, scopre le ultime novità familiari e ascolta il racconto di Nelly sui fantasmi di Catherine e di Heathcliff.

 

Catherine Earnshaw è un personaggio che sceglie di non vivere la passione, per seguire una vita borghese più canonica in compagnia di Edgar Linton, dotato di uno status sociale migliore di Heathcliff. La sua fine prematura la rende tuttavia un personaggio incompiuto.

La reazione istintiva di Heathcliff lo porta ad atteggiamenti feroci, egoistici, brutali. Egli è violento con gli animali, rovina il fratellastro Hindley, sposa e tortura la cognata di Catherine, Isabella, abusa del loro figlio e di quello di Hindley, costringe suo figlio a sposare la figlia di Catherine.

La domanda che sorge spontanea è: può il suo dolore, nato da un amore non vissuto, giustificare la cattiveria? La risposta spontanea è no, ma in fondo non si può rimanere del tutto estranei alla sua sofferenza. La stessa empatia, però, potrebbe farci dire: perché non ha chiesto aiuto? Ciascuno si dia una risposta, ma prima consideri le parole sadiche che Heathcliff, riferendosi a Isabella, rivolge alla governante:

 

Ora, ’sta cagna pietosa, ignobile e meschina non ha forse dato prova di un’assurdità abissale – di vera e propria cretineria – a sognarsi che io potessi amarla? Di’ al tuo padrone, Nelly, che mai in vita mia ho incontrato una creatura più abbietta… Disonora perfino il nome dei Linton; ed è stato solo per pura mancanza d’inventiva che a volte ho allentato i miei esperimenti per vedere quanto poteva sopportare, e nonostante tutto tornare a me strisciando vergognosamente!

 

La residenza Wuthering Heights è un cosiddetto nomen omen: la tempesta non indica solo una condizione atmosferica ricorrente, ma il tumulto emotivo dei personaggi. L’ambientazione naturalistica è fonte di ispirazione per la scrittrice, uno spazio a cui attinge per forgiare il carattere dei personaggi. In maniera speculare, la verdeggiante Thrushcross Grange è riparata nella valle sottostante a quelle cime; è un ambiente adatto ai quieti e remissivi Linton.

Per certi versi, le due residenze rappresentano visioni del mondo alternative: una attiva, irrequieta e ossessiva; l’altra passiva, incapace di porre una concreta resistenza.

 

Wuthering Heights è un romanzo anomalo perché si avvertono le influenze di Walter Scott (Rob Roy, 1817), di Lord Byron (scoperto sulle pagine del Blackwood’s Magazine dell’agosto 1825) e di Shakespeare (King Lear, Romeo and Juliet), ma è anche un’esplorazione femminile della trappola domestica e della sottomissione della donna, qualcosa che doveva risultare ancora più inedito nel 1847.

La teoria, promossa da Ellen Moers in Literary Women, secondo cui il romanzo rientrerebbe nell’alveo della narrativa gotica, potrebbe però risultare fuorviante. Wuthering Heights, come tanti altri classici, non ha bisogno di una codifica all’interno di un genere specifico: il fatto che ancora oggi risulti spiazzante è un segnale che la sua originalità non sia stata compromessa. E così andrebbe lasciata.

 

A renderlo sgradito a certi lettori della sua epoca, contribuisce anche il tema dell’immoralità. Brontë, libera dagli schematismi comportamentali dei romanzieri vittoriani, fa imprecare i personaggi e critica la religione.

La scrittrice proveniva da una famiglia religiosa; non aveva mai scritto un’aperta critica al cristianesimo, ma nel suo romanzo si avverte quantomeno la curiosità verso un mondo spirituale non soltanto cristiano. Il fatto di svincolarsi dalle dottrine per vivere un’esperienza spirituale non concettuale è un tratto tipico del romanticismo.

Heathcliff vive questa spiritualità in negativo: per lui l’esistenza terrena è un inferno quotidiano; forse è egli stesso una sorta di vampiro relazionale o un dongiovanni demoniaco, che sfrutta la figura dell’eroe byroniano che hanno ritagliato su di lui. Egli costruisce le condizioni della propria infelicità. Il circolo vizioso avrebbe inoltre origini sociali ben definite: orfano di Liverpool, brutalizzato dal fratellastro Hindley, trasformato in servitore e costretto a vedersi sfuggire Catherine.

 

In termini stilistici, Wuthering Heights non è una lettura semplice. L’Autrice impiega l’espediente del racconto nel racconto, per cui troviamo diversi narratori e ci vengono mostrate alcune lettere personali. I lunghi monologhi della governante, che costituiscono una larga parte del libro, sono narrati in terza persona: Nelly come novella Cesare, giustificata in questo da Lockwood, che si aspetta da lei quell’impersonalità. Eppure, quanto possiamo fidarci della sua parola parziale? Non c’è una risposta a ciò. Ne emerge tuttavia un testo denso di dialoghi e di discorsi diretti, perlopiù superflui o utile, al limite, a descrivere gli interessi di una medioborghesia di campagna.

Eppure, il romanzo si riscatta in alcuni brani dal forte impatto visivo. Il romanticismo della scrittrice si esalta nella rappresentazione dello scontro tra civiltà e forze naturali. Oggi diremmo che l’ambiente che ci circonda condizioni la nostra psiche. All’epoca di Brontë, non c’era bisogno di questo diaframma: i sussurri della brughiera, la muraglia delle colline, le stagioni inesorabili parlano per sé. Costituiscono una legge dell’eterno divenire a cui le due famiglie, con il loro carico di fantasmi, non possono sottrarsi.

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