Membrana di Chi Ta-wei

 

Copertina realizzata da Lucrezia Viperina
per l'edizione Add del 2022

Non avrei mai pensato di leggere un romanzo fantascientifico di un autore taiwanese, con protagonista un’estetista.

Chi Ta-wei è nato nel 1972; ha frequentato l’Università Nazionale di Taiwan e l’Università della California, a Los Angeles. È un docente universitario di letteratura a Taipei, che nel corso degli anni ha pubblicato raccolte di racconti, saggi critici sulla letteratura queer e sci-fi, romanzi e traduzioni di opere straniere, tra cui quelle di Italo Calvino.

Membrana (, 1995) è un romanzo fantascientifico con elementi di analisi sociale e segmenti di critica letteraria e cinematografica.

È ambientato nel 2100, nella città sommersa di T. A causa dei cambiamenti climatici, l'umanità non è più in grado di vivere sulla terraferma senza tute protettive. Si parla di un’apertura nello strato di ozono – una tematica ricorrente nell’ambientalismo a cavallo tra anni Novanta e primo decennio dei Duemila – una prospettiva che a oggi è stata scongiurata.

Il narratore racconta poi come, nel XX secolo, la parola “riciclare” fosse di tendenza, mentre nella desolazione del XXI era diventata «l’unica strada rimasta» poiché, nonostante l’oceano fosse pieno di risorse, «sfruttarle era diventato ancora più complesso».

 

Nell’universo creato da Ta-wei, i raggi ultravioletti perforano la pelle e costituiscono il grande incubo delle persone che vivono nell’oceano. Il 99% della popolazione terrestre vive lì, mentre il restante 1% è impiegato sulla terraferma. Industria, commercio, allevamento e agricoltura sono stati trasferiti nell’oceano. In superficie rimangono soltanto i grandi monumenti e le varie nazioni si contendono un territorio deserto facendo combattere le macchine MM.

Ogni nazione ha ricevuto una parte di fondale non in proporzione alla popolazione o all’estensione territoriale, ma in base alla forza economica e militare. Così i tre quarti dell’oceano Pacifico sono stati occupati da Cina, Giappone e Usa. E non ci sono solo nazioni, ma anche colossi come Panasonic, Toyota e Nintendo, che si sono ritagliati la loro fetta. Alla Nuova Taiwan, invece, resta un territorio di modeste dimensioni, ma la sua posizione nel mare Cinese meridionale le garantisce lo status di centro finanziario.

 

La protagonista, Momo, è una famosa estetista della pelle. Non vede la madre da vent’anni e il ritorno della donna attiva in lei un’introspezione che la porta a ridiscutere la propria identità. Tratta i corpi come una pianista e le sue mani sono «in grado di far risuonare melodie che si credevano perdute».

Momo vive una vita simile a un hikikomori. Non parla mai del mondo esterno, se non rievocando un passato d’infanzia. Prende ancora gli appuntamenti con quell’obsoleto sistema delle e-mail. Eppure, il narratore ci dice che forse la trentenne non detesta davvero la vicinanza delle persone: «quello che non sopportava erano le inevitabili implicazioni emotive di queste relazioni. Aveva paura degli screzi, della delusione, della disillusione.»

Dunque, è per paura che Momo si rifiuta di aprirsi al mondo. La lettura del fenomeno potrebbe essere classica, quasi banale. Ma tra le righe, Ta-wei ci inculca dei dubbi: quanto di questa sua concezione di vita dipende da lei, dalle sue reali esperienze, e quanto è invece un condizionamento esterno? E, semmai, da parte di chi?

 

Momo è un personaggio che non ha scelta: l’Autore impiega il simbolo del canarino come metafora della cattività. Un simbolo contrapposto a quello della pesca, ripreso dal folklore: esiste infatti una leggenda giapponese che racconta di un ragazzo nato dal frutto. È un ulteriore indizio per comprendere le origini della protagonista. Nata libera e – si potrebbe dire – “indefinita”, si trova a vivere una realtà asfittica, e non solo perché sovrastata da tonnellate di acqua salata.

Il tema del voyeurismo e del controllo audiovisivo è centrale. Non si tratta di una “profezia”, come dicono alcuni recensori fino alla nausea (dove sono finiti i vari 1984)? No, Ta-wei non predice la società del controllo, ma racconta quanto ha vissuto sulla sua pelle in una Taiwan in cui il partito di Stato, fino al 1987, aveva tenuto la popolazione sotto la legge marziale. E che, dopo quarant’anni, cominciava ad aprirsi, a ridefinire la propria identità.

Momo, come una taiwanese degli anni Novanta, riscopre le influenze del proprio passato storico ed esplora il mondo circostante. Vengono così citati Calvino, Murakami e Shakespeare, per non parlare di Lacan e, a livello cinematografico, i film di Almodóvar, Visconti e Bergman. Ci sono poi riferimenti a Pasolini, di cui l’Autore scoprì i film in gioventù, e al Mahābhārata, uno dei testi più significativi della cultura indù.

Insomma, la natura di Membrana è eclettica, cosmopolita; ammicca al cyberpunk, ma più sul piano simbolico, come punto d’incontro di culture eterogenee, che trovano un loro senso.

 

Il libro, poi, introduce alcune tecnologie, importanti nel definire la trama. Nel suo lavoro di estetista, Momo impiega la M-Skin, una maschera corporea super resistente, che solo la protagonista è in grado di rimuovere con una lozione: «Per chi la portava era come non averla, essendo completamente inodore era persino più impercettibile di un profumo, tanto che la maggior parte dei clienti se ne dimenticava completamente.»

Ed è un bene così, per Momo. Perché la M-Skin risulta essere la componente fondamentale di uno scanner speciale in suo possesso, che le permette di rivivere gli stimoli sensoriali vissuti dai clienti. Momo vive attraverso la vita degli altri, ma ciò, alla lunga, non sembra più esserle sufficiente: il suo crescente malcontento è diventata una metafora involontaria della passività con cui oggi si tende a fare “esperienza indiretta” sui social.

 

Momo scruta, certo, ma (come chi si iscrive ai social) non percepisce in modo completo quanto sia, a sua volta, osservata.

A questo punto della storia, lo scrittore torna ad allargare il campo narrativo e dà maggiore spazio agli Andy, gli androidi che svolgono il lavoro degli umani sia in superficie che nelle città sommerse. Sulla terraferma sono controllori, guardie carcerarie, operai addetti ai trasporti tra terra e mare. Sui fondali svolgono attività pesanti, ma non hanno i diritti e i doveri degli umani: sono considerati macchinari a cui attingere anche per sostituire i propri organi.

La storia degli Andy, trattata solo in modo indiretto e funzionale al rapporto con Momo, ricorda l’epopea dei robot di R.U.R. (1920) di Karel Čapek. Il riferimento a questa opera seminale è abbastanza comune nel genere, ma Ta-wei va oltre il banale citazionismo e ne ricostruisce le atmosfere: la sensazione di un’umanità al collasso, il confine labile tra coscienza e automazione, l’idea che gli androidi possano essere migliori dell’essere umano, in quanto il loro agire e costruire si arricchisce di senso. Ciò è evidente, per esempio, nel “dialogo dell’altalena” tra Momo e l’androide Andy, appartenente al giardiniere Pier Paolo.

 

Inoltre, non manca una tensione politica e speculativa sull’attualità, come avviene in un’altra grande opera di Čapek, La guerra delle salamandre (1936): in quel romanzo, una civiltà sottomarina costituita da salamandre – divenute intelligenti per un intervento umano – prende il sopravvento sull’umanità.

I robot di R.U.R., per quanto sembrino aver preso coscienza di sé, seguono le orme di un’umanità che li porta su una cattiva strada. Ne La guerra delle salamandre, invece, Čapek mette al centro il tema dell’organismo biologico che sostituisce l’essere umano e che riesce a farlo con successo.

Ta-wei sembra riecheggiare entrambe le prospettive. Da un lato abbiamo gli Andy – via di mezzo tra umani e robot – e gli MM, entità a metà tra androidi e robot, dotati di intelligenza artificiale. È la parte ipertecnologica che potrebbe minacciare la nostra esistenza.

Dall’altro lato, l’Autore introduce l’azienda ISM, sorta di R.U.R. potenziata che non si limita a creare macchine, ma a elaborare ibridi artificiali e biologici, operando su una linea sottile che potrebbe far nascere una nuova specie, creata però da un’intelligenza esterna e certificata, che dunque potrebbe condizionarne la coscienza.

A quel punto, in un tale ibrido, quanto sarebbe frutto della genetica e quanto dell’ingegneria? E soprattutto: in che misura il desiderio di libertà potrebbe renderlo autonomo dalla natura e dal suo creatore?

 

Bibliografia e consigli di lettura

 

° Barberis L., Incontro con Chi Ta-wei, l’autore dello sci-fi queer “Membrana”, innamorato di Pasolini, illibraio.it, 10.12.2022

° Giusto Zanon M., Membrana, fluidità futurista in fondo al mare, Harper’s Bazar, 08.11.2022 

° Lamperti L., Perché leggere Membrana, cult della sci-fi queer asiatica, Wired, 28.10.2022

° Spatola G., Membrana. Intervista all’autore Chi Ta-wei, Filosofemme, 19.12.2022

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