Dr. Bloodmoney. Il dopobomba secondo Dick

La copertina della prima edizione

Nominato al Premio Nebula come miglior romanzo nel 1965, Dr. Bloodmoney di Philip K. Dick aveva in origine altri titoli: In Earth’s Diurnal Course e A Terran Odyssey. Quest’ultima versione era un racconto del 1964, che raccoglieva elementi del futuro romanzo e che venne pubblicato più tardi nel quinto volume di The Collected Stories of Philip. K. Dick (1987).

Fu l’editore di Ace, Donald Wollheim, a suggerire il titolo definitivo del romanzo, col sottotitolo How We Got Along After the Bomb, in riferimento al film di Stanley Kubrick Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (1964).

 

La storia è ambientata in un futuro post-apocalittico. Tre date scandiscono la narrazione. Gli antefatti risalgono al 1972: il dottor Bruno Bluthgeld (tedesco per “Denaro insanguinato”) gestisce un progetto per testare armi nucleari come difesa contro la Cina e l’Urss. Avviene un incidente, che provoca problemi di salute nella popolazione.

Saltiamo così al 1981: il paranoico Bluthgeld è in psicoterapia col dottor Stockstill, a causa dei sensi di colpa per le conseguenze dell’esperimento fallito. In parallelo, conosciamo i dipendenti della Modern Tv Sales and Service di Berlekey, California: Stuart McConchie, Hoppy Harrington e Jim Fergesson. I tre discutono di cose quotidiane e guardano poi il lancio in orbita di Walt e Lydia Dangerfield, una coppia destinata a colonizzare Marte. Mentre tutto procede, si scatena la guerra atomica.

Veniamo catapultati nel 1988. Alcune comunità stanno cercando di ricostruire un ordine sociale. In California, il governo è formato dai consigli delle comunità locali. Le tecnologie prebelliche sono quasi tutte perdute. I terreni dei ranch sono stati convertiti in terreni agricoli. Ci si muove con i cavalli o alimentando motori a legna. Sono aumentati i mutanti umani e animali: ci sono più focomelici, simbionti congiunti (Edie e Bill Keller) e cani parlanti (Terry).

 

In orbita, Walt Dangerfield si trasforma nel disc jockey dell’umanità. Dopo il suicidio della moglie, è rimasto solo ed è diventato un ipocondriaco. È da notare, però, come i paranoici e gli ipocondriaci del romanzo non abbiano mai del tutto torto rispetto a ciò che percepiscono.

Dangerfield è un po’ il Major Tom cantato da David Bowie. Prima della fine, lo attendeva un grande futuro, quale primo colono di Marte insieme alla moglie. Poi, però, si reinventa dj: isolato in orbita, riesce a dare sollievo all’umanità sopravvissuta, rendendo forse un più grande servizio alla specie rispetto all’occupazione di un pianeta inospitale.

L’astronauta ha la funzione di alleggerire il carico d’ansia della popolazione; con la sua trasmissione, dà a ciascuno l’illusione che tutto continui a girare per il verso giusto, che, anzi, si sia tornati a uno stile di vita prebellico più genuino.

 

A incrinare la serenità della contea di Marin, c’è però Hoppy Harrington, che di “felice” non ha nulla. Affetto da talidomide, vive in una comunità autogovernata. Pur senza arti, è diventato un importante meccanico, grazie ai servomeccanismi elettronici e alle sue capacità crescenti di psicocinesi e di imitazione delle voci.

Harrington realizza una sorta di deepfake, imitando Dangerfield. Prima della guerra, Harrington era una persona discriminata per la sua condizione. Nella vita post-apocalittica, è in cerca di rispetto, di rivincita e, soprattutto, di vendetta. Prova in sé un rancore e una gelosia senza pari, che lo spingono a boicottare tutti coloro che sembrano avere più successo di lui. La comunità inizia a temere il suo potere, poiché Harrington si atteggia a divinità scontenta, in cerca di doni e di adorazione.

 

Infine, tra i numerosi personaggi del romanzo, vale la pena citare Bruno Bluthgeld e Stuart McConchie, che sono figure speculari.

Bluthgeld è quasi estraneo alla linea principale della narrazione, ma sono le sue azioni precedenti all’apocalisse a determinare molte delle vite dei sopravvissuti. Bluthgeld dimostra di avere un potere immenso e finisce per provocare un disastro.

Al contrario, McConchie è un semplice venditore afroamericano, che passa dalla vendita di televisori, prima della guerra, alla vendita di trappole automatizzate per uccidere animali mutanti, dopo il fallout. È una persona che si reinventa, ottimista, che non può essere piegata dai Bluthgeld di questo mondo.

 

Uno degli aspetti curiosi del romanzo è che, nelle prime pagine, non sembra trattarsi di un testo di fantascienza. Solo progredendo nella lettura, cogliamo prima alcuni termini inusuali, legati a qualche tecnologia inedita, e poi ci ritroviamo circondati da un cane che parla in modo inquietante, da un essere senziente che abita il corpo della sorella e da un personaggio dotato di poteri psichici. Sembra che David Lynch derivi da opere del genere le sue atmosfere bizzarre.

Come assumendo una droga psichedelica, non ci si accorge sùbito del mondo trasformato. Tutto è lento, meditato, preparatorio: poi, a un tratto, l’evento più allucinante, quello che dovrebbe farti storcere il naso, ti risulta accettabile, anzi, forse persino inevitabile.

I capitoli non si differenziano per un particolare slancio o per una caratteristica specifica. Il romanzo è come una grande, unica narrazione cronachistica, in cui però non ci sono dettagli cronologici che creano un ordine. È un unico lungo sguardo in presa diretta. A un certo punto la pellicola finisce e si rimane come in sospeso: per fortuna, Dick esaurisce la principale linea narrativa. Per il resto, dobbiamo affidarci a un cronachista del futuro, non ancora rinvenuto, che potrebbe aver raccontato qualcosa di più delle sorti della comunità.

C’è da aggiungere che Dick, mentre scriveva il romanzo, aveva abitato nella zona di West Marin County. Molte descrizioni sono prese dal vero. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, era un luogo isolato dal resto della California, uno spazio adatto a raccontare «un microcosmo sociale postbellico».

 

In una postfazione alla sua opera del 1980, l’Autore riconosce di aver sbagliato la profezia sulla fine del mondo, ma conclude anche con un «non volevo fare il profeta». Il mondo non è finito nei giorni della crisi dei missili di Cuba, anche se all’epoca c’era più di una “sensazione” al riguardo. Una fase di tensione che poteva spingere qualche statunitense a domandarsi: com’è che siamo usciti così male dai magnifici anni Cinquanta? E che ne è stato dei bei vecchi tempi?

In un certo senso, il mondo post terza guerra mondiale pensato da Dick è capovolto: ha potere e valore non tanto chi può acquistare nuovi oggetti, ma chi riesce ad aggiustarli o a crearli. La civiltà di Marin è sì più rurale, ma – come specifica Dick – è diversa da qualsiasi esperienza vissuta dagli esseri umani fino a oggi. La guerra nucleare non c’è stata. La contea di Marin, una volta liberata da un aspirante dio, è molto vicina a un’utopia.

Lo scrittore ci racconta infatti di un’umanità che non è regredita: le persone sopravvivono «come autentici esseri umani che fanno cose autenticamente umane». Dick non ha voluto mostrare superuomini, ma solo persone comuni, con la loro forza e vitalità, e persone schiacciate invece dal troppo potere. Nella postfazione, Dick scrive: «Non è tanto Hoppy a essere cattivo, ma il suo potere.» Egli compensa un handicap fisico con la volontà di divorare il mondo a livello psichico.

Si potrebbe dedurne che lo stesso discorso valga per Bluthgeld; invece, Dick afferma di provare odio per lui e per ciò che rappresenta. Bluthgeld gli è alieno: non ne capisce le ragioni e ritiene che gran parte dei mali dell’umanità provengano da persone come lui.

L’Autore si identifica infine con McConchie. Come lui, ha venduto televisori in un negozio di Shattuck Avenue, a Berkeley, e ha scopato il marciapiede davanti all’attività. Come lui, ha trascorso la vita a reinventarsi e a non dare mai nulla per scontato.

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