Orwell. Terrore, controllo e memoria

 

Credit: Matryx


1984 (1949) di George Orwell è uno di quei romanzi di cui tutti hanno quantomeno sentito parlare e che ha condizionato l’immaginario collettivo e la cultura a tutti i livelli.

Fu scritto nel 1948 – da cui la tradizione fa derivare il titolo, a cifre invertite – e descrive una Terra divisa in tre grandi potenze in perenne conflitto: Oceania, Eurasia, Estasia. Il centro dell’azione è Londra – che già Conrad definiva la più grande città sulla Terra – ed essa è parte della provincia di Pista Uno, oltre che sede dei ministeri di Oceania: ministero della Pace (presiede la guerra), dell’Amore (la sicurezza), della Verità (la propaganda e il revisionismo storico), dell’Abbondanza (l’economia), etc.

La società è amministrata secondo i princìpi del Socing (IngSoc), cioè del partito socialista inglese, ed è governata da un partito unico guidato dal Grande Fratello (Big Brother), che ha le caratteristiche di Josif Stalin e di Adolf Hitler.

Il partito è diviso in Interno (leader, amministratori) ed Esterno (burocrati, impiegati, funzionari). Il controllo dei membri del partito si realizza con i teleschermi, obbligatori in ogni abitazione. Un ruolo centrale è riservato al Minamor (Miniluv), ovvero il Ministero dell’Amore, che controlla i membri e converte i dissidenti alla sua ideologia, servendosi della psicopolizia (Thought Police). Il capo dei dissidenti è un misterioso Emmanuel Goldstein, rappresentato con tratti ebraici.

I Prolet, infine, stanno al di sotto del partito: non hanno potere, svolgono lavori pesanti, sono controllati indirettamente, con la tecnica del panem et circenses.

 

La Lotteria, con le enormi cifre che corrispondeva settimanalmente, era il solo avvenimento pubblico per il quale i prolet nutrissero un serio interesse. In tutta probabilità, vi erano milioni di prolet per i quali la Lotteria costituiva la principale, se non unica, ragione di vita. Per loro era una delizia, una felice follia, un conforto, uno stimolante. Quando era in ballo la Lotteria, anche persone che sapevano a malapena leggere e scrivere dimostravano di riuscire a fare calcoli complicatissimi e di possedere una memoria stupefacente. Vi era poi tutta una cricca di persone che si guadagnavano da vivere vendendo amuleti, sistemi per vincere e pronostici. […] A essere pagate veramente erano soltanto somme esigue, mentre i grossi premi erano attribuiti a persone inesistenti; un trucco che, in assenza di comunicazioni autentiche fra una parte e l’altra dell’Oceania, non era difficile da mettere in atto.

 

Le discriminazioni tra classi sono molteplici: p. es., i membri del partito interno vivono in edifici moderni e confortevoli, mentre quelli del partito esterno in palazzi alveare della città nuova; i prolet, infine, vivono in tuguri della città vecchia.

Il controllo si estende anche alla comunicazione verbale. Il linguaggio artificiale che si sviluppa è definito neolingua (Newspeak), in cui i termini assumono una connotazione sempre più specifica e si semplificano i significati concessi, in modo tale che sia impossibile concepire un pensiero critico individuale. Così p. es. “democrazia” viene proibita come parola e sostituita dall’unico termine “psicoreato”. Uno dei personaggi, Syme, che lavora per aggiornare il dizionario della neolingua, afferma:

 

«Non capisci che lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d’azione del pensiero? Alla fine renderemo lo psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno parole con cui poterlo esprimere. Ogni concetto di cui si possa aver bisogno sarà espresso da una sola parola, il cui significato sarà stato rigidamente definito, priva di tutti i suoi significati ausiliari, che saranno stati cancellati e dimenticati.»

 

La cultura è piegata ad esprimere l’unica linea di pensiero; la storia è abolita, così come i fatti (p. es. i cambi di alleanza); la falsificazione della realtà coinvolge anche gli aspetti quotidiani (p. es. l’aumento dei prezzi fatto passare per una riduzione); la letteratura è meccanizzata tramite versificatori – che seguono schemi predefiniti – e parlascrivi.

Nemmeno la vita privata ha spazi per la libertà. Ad Oceania, il sesso è disincentivato, mentre si favorisce la delazione da parte dei figli ai danni dei genitori.

La propaganda è diffusa in maniera capillare, insieme a slogan come “la guerra è pace”, “la libertà è schiavitù”, “l’ignoranza è forza”.

Altri slogan elogiano l’unica forma di pensiero ammessa, il bipensiero (Doublethink), ispirato al materialismo dialettico leninista: “la menzogna diventa verità e passa alla storia”; “chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”.

 

La storia si è fermata. Non esiste altro che un eterno presente nel quale il Partito ha sempre ragione. Naturalmente, io so che il passato viene falsificato, ma provarlo mi sarebbe impossibile, perfino se fossi io stesso l’autore di tale mistificazione. Una volta portata a effetto, di questa azione non resta prova alcuna. La sola prova è nella mia mente, ma io non ho alcuna certezza che esistano altri esseri umani che abbiano i miei stessi ricordi.

 

Uno dei temi fondamentali di 1984, spesso totalmente ignorato da chi lo analizza o recensisce, è la concezione di memoria, individuale e collettiva (o storica). Orwell impiega una sorta di “ironia malvagia”, con la quale nega non solo la possibilità di una storia alternativa per la comunità che descrive, ma anche la memoria stessa del singolo. Il governo totalitario che crea entra nella vita quotidiana, nell’intimità delle persone e ne vuole controllare i pensieri stessi. Non esiste per il soggetto un rifugio della mente, nessuna fuga trascendentale, dato che le parole che potrebbero consentirla sono state abolite a poco a poco.

 

«Con noi tutte le confessioni sono autentiche. Noi le rendiamo tali. Soprattutto, noi non consentiamo che i morti risorgano per farci la guerra. Non devi neanche pensare, Winston, che i posteri ti renderanno giustizia. I posteri non sapranno mai nulla di te. Tu sarai cancellato totalmente dal corso della storia. Noi ti vaporizzeremo, disperdendoti nella stratosfera. Di te non resterà nulla, né il nome in un qualche archivio, né il ricordo nella mente di qualche essere vivente. Tu sarai annientato sia nel passato che nel futuro. Sarà come se tu non fossi mai esistito. […] So che cosa stai pensando» disse. «Dal momento che è nostra intenzione distruggerti completamente, in modo che nulla di quanto tu dica o faccia abbia la benché minima importanza, per quale motivo ci prendiamo la briga di interrogarti, prima? […] Tu sei un’imperfezione nel sistema, Winston, sei una macchia che va cancellata. Non ho forse appena finito di dire che noi siamo diversi dai persecutori del passato? Non ci accontentiamo dell’obbedienza negativa, e meno che mai di una sottomissione avvilente. Quando infine ti arrenderai a noi, ciò dovrà avvenire di tua spontanea volontà. Noi non distruggiamo l’eretico per il fatto che ci resiste. Anzi, finché ci resiste non lo distruggiamo. Noi lo convertiamo, penetriamo nei suoi recessi mentali più nascosti, lo modelliamo da cima a fondo. Estinguiamo in lui tutto il male e tutte le illusioni, lo portiamo dalla nostra parte, anima e corpo, in conseguenza di una scelta sincera, non di mera apparenza. Prima di ucciderlo, ne facciamo uno di noi.»

 

In questo scenario, il protagonista del romanzo è un impiegato del partito esterno, Winston Smith. Questi lavora presso il Ministero della Verità, revisionando libri e articoli, adattando la storia alle previsioni del partito e cancellando il ricordo dei dissidenti. Ma Winston è scontento dei condizionamenti del regime e un giorno, spinto da un impulso incontrollabile, comincia a scrivere un diario.

 

All’improvviso prese a scrivere, in preda al panico più puro, consapevole solo in parte di quello che stava buttando giù. La sua calligrafia piccola e infantile si muoveva in maniera disordinata per la pagina, dapprima trascurando le maiuscole, poi anche i punti fermi.

 

Il panico lo attraversa, perché scrivere di proprio pugno era un’esperienza contraria alle regole di un regime che aveva abolito ogni arte e cultura che non fosse meccanizzata e a favore del partito. Winston non ricorda più come si scriva, tantomeno a mano, e ignora i punti fermi, come se sulla carta avesse scelto di rinunciare alle più semplici recinzioni del pensiero.

Ma il passaggio è graduale. Egli si ritrova ad una manifestazione nota come i “due minuti d’odio”, in cui la popolazione è aizzata in modo animalesco contro gli avversari del regime. Emblema del dissidente politico e principale vittima di questo odio è Emmanuel Goldstein.

 

In qualche momento era perfino possibile dirigere il proprio odio da una parte all’altra, assecondando un atto libero della volontà. All’improvviso, col medesimo sforzo con cui si solleva la testa dal cuscino quando si vuole uscire da un incubo, Winston riusciva a trasferire il suo odio dal volto sullo schermo alla ragazza dai capelli neri seduta dietro di lui. Allucinazioni vivide, splendide, gli attraversavano la mente: la bastonava a morte con un manganello di caucciù, la legava nuda a un palo e la trapassava con un nugolo di frecce, come san Sebastiano, la violentava, sgozzandola al momento dell'orgasmo. In casi del genere capiva anche perché la odiava. La odiava perché era giovane, bella e frigida, perché voleva andare a letto con lei e questo non sarebbe mai stato possibile, perché attorno alla sua vita morbida e flessuosa, che sembrava chiedere di essere abbracciata, girava quella odiosa fascia scarlatta, simbolo di un’aggressiva castità.

 

A quella manifestazione, Winston incontra Julia. Egli la crede una spia del regime, finché questa gli scrive un biglietto con le parole “Ti amo”. Tra i due comincia così una relazione segreta e trovano rifugio in una stanza nei quartieri dei prolet.

Winston e Julia iniziano poi a collaborare con l’organizzazione clandestina detta “Confraternita” (Brotherhood), a cui dice di appartenere un importante funzionario del partito interno, O’Brien. Ricevono così un testo che è il manifesto dell’organizzazione, dal titolo Teoria e prassi del collettivismo oligarchico.

I due vengono però catturati dalla psicopolizia e portati al Ministero dell’Amore: qui O’Brien, che era in realtà un ufficiale della psicopolizia, li sottopone a tortura.

La forzata conversione di Winston al bipensiero avviene in tre fasi: apprendimento, comprensione, accettazione. Winston resiste alle prime due fasi, pur rimanendo segnato nel corpo e nella mente e sotto la minaccia di una condanna a morte per fucilazione. Nella terza fase, viene condotto nella Stanza 101, in cui i detenuti sono sottoposti alla loro più grande fobia: una gabbia con due topi viene fissata sulla testa di Winston, il quale a quel punto tradisce Julia e rinnega i suoi sentimenti anti-governativi.

 

«Ma come posso fare a meno...» piagnucolò «come posso fare a meno di vedere quello che ho davanti agli occhi? Due più due fa quattro.» «A volte, Winston. A volte fa cinque, a volte tre. A volte fa cinque, quattro e tre contemporaneamente. Devi sforzarti di più. Non è facile diventare sani di mente.»

 

L’uomo subisce un lavaggio del cervello: nel 1985, scarcerato, incontra Julia in un parco e i due ammettono di essersi traditi a vicenda. In seguito, ad una caffetteria, Winston ascolta la notizia della vittoria militare dell’Oceania sugli eserciti eurasiatici in Africa. Il romanzo si chiude con il protagonista che guarda con ammirazione un manifesto del Grande Fratello.

Avviandomi alle conclusioni, ritengo valga la pena citare il film Brazil (1985), diretto da Terry Gilliam, che, pur non essendo un diretto adattamento del romanzo, ne rappresenta la migliore trasposizione cinematografica. La forza di Orwell, che gli ha permesso di essere così universale, risiede nell’aver descritto uno scenario plausibile, e non in un futuro remoto, bensì in un avvenire drammaticamente vicino:

 

«Le antiche civiltà sostenevano di essere fondate sull’amore o sulla giustizia, la nostra è fondata sull’odio. Le sole emozioni destinate a esistere nel nostro mondo saranno la paura, la collera, l’esaltazione e l’umiliazione. Tutto il resto lo distruggeremo. Tutto. […] Oggi nessuno più ha il coraggio di fidarsi di una moglie, di un bambino o di un amico, ma in futuro non ci saranno più né mogli né amici. I bambini saranno tolti alle madri all’atto della nascita, così come si tolgono le uova a una gallina. L’istinto sessuale verrà sradicato. […] Aboliremo l’orgasmo. […] Non ci sarà forma alcuna di amore, a eccezione dell’amore per il Grande Fratello. Non ci sarà forma alcuna di riso, a eccezione della risata di trionfo sul nemico sconfitto. Non ci sarà forma alcuna di arte, di letteratura, di scienza. Quando avremo raggiunto l’onnipotenza, non avremo più bisogno della scienza. Non ci sarà differenza fra il bello e il brutto. Non ci sarà curiosità, né la gioia del processo vitale. […] Ma ci sarà sempre, sempre — e tu non lo dimenticare, Winston — l’ebbrezza del potere, che diventerà sempre più forte e raffinata. Ci sarà sempre, in ogni momento, il fremito della vittoria, la sensazione di calpestare un nemico inerme. Se vuoi un’immagine del futuro, pensa a uno stivale che calpesti un volto umano in eterno.»

 

Orwell scrisse un’opera originale e ormai imprescindibile per chiunque voglia approcciarsi al genere e alle sue tematiche. A questo filone distopico si legano anche altri romanzi di quel periodo, come Fahrenheit 451 (1953) di Ray Bradbury, al quale Orwell è spesso associato insieme a Philip K. Dick.

Orwell attinse comunque a diverse fonti; si potrebbe parlare de La città del Sole di Tommaso Campanella e de L’Utopia di Thomas More, così come di scrittori più recenti quali Arthur Koestler,  Yevgeny Zamyatin e H. G. Wells. Una tale analisi evidenzierebbe non pochi collegamenti, anche considerando l’opera di recensore e critico letterario di Orwell.

Ma una fonte d’ispirazione diretta è certamente quella di Aldous Huxley, che fu insegnante di Orwell e autore di opere come Il mondo nuovo (1932). Un aneddoto racconta che Huxley gli scrisse una lettera nel 1949, in cui sosteneva che per i governanti sarebbe stato più efficiente mantenere il potere concedendo piaceri ai cittadini più che controllarli con la forza bruta. Egli affermò che fosse dubbio che la politica dello stivale sul volto potesse durare indefinitamente: «Credo che entro la prossima generazione i padroni del mondo scopriranno che il condizionamento infantile e la narco-ipnosi sono più efficienti come strumenti di governo rispetto a club e prigioni e che la loro brama di potere potrà essere completamente soddisfatta suggestionando le persone ad amare la loro schiavitù, invece di fustigarle e ridurle all’obbedienza».

 

Quando si parla di 1984 si cerca di solito di identificare tutte le “profezie” che si sono avverate ai giorni nostri. Il modello di Orwell appare particolarmente adatto a descrivere i regimi totalitari (p. es. la Corea del Nord) e, d’altra parte, è di essi che parla nella sua opera. Invece, appare curioso ritrovare certe analogie con il presente in un contesto democratico, anche se questo non possa sorprendere in modo eccessivo: poiché Orwell – come Huxley – parla del suo presente e lo porta alle estreme conseguenze. Egli non è un profeta, ma un analista attento e meticoloso.

Da un punto di vista politico, Orwell era stato prima anarchico e poi socialista; aveva combattuto nella guerra civile spagnola ma, a causa del tradimento sovietico, cominciò a combattere ogni forma di totalitarismo (si veda Omaggio alla Catalogna). Nel saggio Why I Write (1946) descrisse se stesso come socialista democratico. Sostenitore del laburismo britannico, denunciava però le perversioni realizzate tanto dal nazi-fascismo quanto dal comunismo.

Una prima critica ai totalitarismi si trovava già ne La fattoria degli animali (1945), in cui – oltre alle fonti di ispirazione già citate – si ispirò in particolare al romanzo distopico russo Noi (1924) di Evgenij Ivanovič Zamjatin, un primo esempio di accusa alla Russia sovietica leninista, e al romanzo realistico Buio a mezzogiorno (1940) di Arthur Koestler, ex iscritto al partito comunista tedesco, che denunciava i metodi di plagio e di tortura del comunismo sovietico e dei partiti ispirati ad esso.

 

Le opere di Huxley e di Orwell risultano quindi inseparabili dalla politica, dalla filosofia e dall’attualità. Il primo si apre però anche ad una prospettiva metafisica, e qui – per rimanere al tema specifico – si ricollega alla percezione del male e del bene assoluto (si veda qui), aspetto che lo avvicina a scrittori come Conrad (si veda qui). Il secondo, invece, indaga il male messo in pratica e portato alle estreme conseguenze. Nel mondo che crea, l’odio si auto-alimenta e regna sovrano; l’amore e la libera coscienza sono sottoposti a una persecuzione mirata.

Huxley ha le sue ragioni nel definire questo stato di cose difficile da sostenere per un lungo periodo, ma quando è il linguaggio stesso ad essere plasmato per esprimere un non-significato di fatto, allora viene da chiedersi quanto la coscienza, con le sue sole forze, possa alimentare la speranza e illuminare l’individuo sulle diverse possibilità dell’esistere.

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