Il satanismo benestante di Rosemary's Baby

 

Un vecchio adagio antisovietico recitava: «I comunisti mangiano i bambini». Ecco, per gli inquilini del palazzo in cui abita Rosemary Woodhouse si potrebbe dire qualcosa come: «La classe media trasforma i bambini nei figli del diavolo». Ma mettiamo da parte la politica, benché di politica in senso lato ce ne sia nel romanzo.

 

Rosemary’s Baby fu pubblicato nel 1967, una fase storica in cui negli Stati Uniti (e non solo) era difficile non restare influenzati dai cambiamenti in atto o dal loro rifiuto. L’autore, Ira Levin, era un ateo di origini ebraiche, che aveva già avuto un buon successo con A Kiss Before Dying (1953), opera che gli valse l’Edgar Allan Poe Award e l’adattamento in due film omonimi.

All’epoca in cui uscì Rosemary’s Baby, l’Autore era sposato con la sua prima moglie, con la quale ebbe tre figli, prima di divorziare nel 1968. Viene da chiedersi se nei dialoghi tra la protagonista e il marito Guy non ci sia un’eco di questa separazione, tale da renderli così spontanei.

 

Ascesa sociale e finta respectability

 


Il bestseller è una storia ambientata nell’Upper West Side di Manhattan. Rosemary e Guy Woodhouse si trasferiscono nel condominio Bramford, in stile revival gotico, dove sono avvenuti alcuni casi di cronaca nera intrecciati a trame occulte.

Guy è un modesto attore teatrale, che ha partecipato a diversi spot pubblicitari, e sta tentando di ottenere il successo. Rosemary invece si sente pronta a mettere su famiglia, scelta che il marito ha messo in secondo piano in nome della carriera.

Gli eccentrici vicini, Minnie e Roman Castevet, si rivelano persone invadenti, ma Guy, al contrario della moglie, inizia a frequentarli sempre più spesso. A un certo punto, la sua vita sembra cambiare: ottiene una parte in una rappresentazione teatrale, dopo che l’attore che era stato scelto per il ruolo rimane cieco; la critica lo elogia e, alla fine, finisce per ricevere un’offerta dalla Warner.

 

Guy si decide anche a fare un figlio. In un violento rapporto sessuale, in cui la donna è quasi del tutto incosciente, Rosemary rimane incinta.

La gravidanza è deleteria per la sua salute psicofisica, essendo manipolata dal marito e dai Castevets. Rosemary viene fatta seguire da un medico indicato dai vicini, che adotta metodi poco ortodossi, che peggiorano la sua condizione. L’unica persona davvero interessata a lei è l’amico Edward “Hutch” Hutchins: egli scopre che cosa si cela dietro al buonismo di Guy e dei condomini, ma viene fatto tacere. In un crescendo di situazioni ambigue, di non detti e di segreti, il cappio intorno al collo di Rosemary si stringe sempre più.

 

Eppure la scrittura di Levin era atipica per il genere horror. Nei primi capitoli, Guy e Rosemary si comportano in modo frivolo: sono una giovane famiglia che intende “sistemarsi”, in una casa arredata alla moda, in un ambiente borghese che dovrebbe confortare e far sentire i suoi abitanti “arrivati”.

L’Autore non si lascia andare a molte descrizioni e le principali sono concentrate nella prima metà del libro. Ma Levin lascia intuire molto del contesto sociale solo citando una rivista di gossip, oppure un particolare di design. Gli aggettivi sono funzionali all’idea di opulenza che i coniugi pensano di aver raggiunto: «C’era un fornello a gas a sei fuochi e due forni, un frigorifero mastodontico, un lavello immenso, dozzine di armadietti, una finestra che dava su Seventh Avenue, un soffitto altissimo e perfino (immaginandola senza il tavolo e le sedie in acciaio cromato della signora Gardenia e i pacchi di Fortune e Musical America legati con lo spago) il posto – ideale – per l’angolo tinello blue e avorio suggerito dall’House Beautiful del mese precedente.»

 

In questo ambiente metropolitano, moderno e materialista, Levin inserisce elementi naturalistici, collegati in modo sottile all’antico culto a cui si sono votati i Castevets. Il nome stesso di Rosemary fa parte di questo gioco, così come quello della precedente proprietaria del suo appartamento, la defunta signora Gardenia, che coltivava centinaia di piantine, soprattutto aromatiche, degne di essere ricordate nella ballata Scarborough Fair. E infine ci sono gli intrugli creati da Minnie e il ciondolo che contiene la famigerata radice di tannis, erba immaginaria che in realtà – scopre Hutch – è un fungo usato nei rituali pagani.

In tutto il romanzo, sussiste questo confronto continuo tra la scienza medica moderna e gli antichi rimedi. Si tratta di un modo per evidenziare il conflitto tra modernità e tradizione.

 

Ora, Rosemary ci viene descritta come una ragazza cresciuta in campagna, istruita secondo i tipici valori cristiani, che però la donna abbandona una volta giunta a New York. Poco dopo aver acquistato l’appartamento, Rosemary è incuriosita dalla storica visita del papa di Roma in città, ma finisce per non partecipare all’evento, in un atto mancato più che significativo. Proprio il pontefice è una figura destinata a tornare – in forma dissacrante e irriverente – nelle pagine più ispirate del romanzo, quelle dell’amplesso che porta alla gravidanza della donna:

 

Entrò il papa, con una valigia in una mano e un cappotto appoggiato sul braccio. «Jackie mi ha detto che hai sbattuto il muso nel cioccolato», disse.

«Sì», rispose Rosemary. «È per questo che non sono venuta a vederla». Parlò con voce triste, in modo che lui non sospettasse che aveva appena avuto un orgasmo.

«Va tutto bene», disse il papa. «Non vogliamo che tu metta a repentaglio la tua salute.»

«Sono perdonata, Padre?», chiese lei.

«Certamente», disse lui. Allungò la mano perché lei gli baciasse l’anello. Incastonata all’anello, c’era una sferetta in filigrana d’argento di due o tre centimetri di diametro; all’interno, una minuscola Anna Maria Alberghetti era seduta in attesa.

Rosemary baciò l’anello e il papa scappò via per non perdere l’aereo.

 

La donna ha perso la fede e, incoraggiata dai Castevets durante una cena, ammette che in fondo non vi sia nulla di male.

Un giorno, Hutch ragiona sui crimini commessi al Bramford: forse la notorietà di un criminale attira personalità affini nello stesso luogo; un piccolo topos dell’orrore, a cui è stata dedicata per esempio la quinta stagione di American Horror Story: Hotel (ma al di fuori dell’àmbito horror, è quanto accade nella realtà a luoghi come il Chelsea Hotel).

Hutch propone poi un’alternativa meno dimostrabile: forse ci sono di mezzo «campi magnetici o elettroni o cose del genere…» (qui siamo più dalle parti di The Shining). Ma Rosemary non ha tempo per queste speculazioni spiritiche; razionalizza e adotta un pensiero positivo: a suo dire, la cronaca nera farebbe tanta notizia, ma nei grattacieli la gente si sposa, ha figli e vive di continuo momenti felici che sembrano non interessare a nessuno. Gli eventi si preparano a smentirla.

 

Venire a patti col diavolo

 


In tal senso, nel romanzo il diavolo è un simbolo rappresentativo dell’irreligiosità modernista a cui Rosemary si abbandona ben prima dell’effettivo contatto con il demonio.

Sul piano del genere letterario, il libro è stato l’horror più venduto degli anni Sessanta, contribuendo ad allargare questa platea di lettori e a incuriosire molte persone sul tema del satanismo. Già nel 1968, poi, il romanzo divenne un film di Roman Polanski, interpretato – tra gli altri – da Mia Farrow, John Cassavetes e Ruth Gordon (qui vincitrice dell’Oscar come migliore attrice non protagonista). Un destino beffardo avrebbe portato la moglie di Polanski, Sharon Tate, a essere assassinata, con il bambino che aveva in grembo, dai seguaci di Charles Manson, una setta che aveva molto da spartire con quel gusto “luciferino” in voga tra gli anni Sessanta e Settanta.

 

Altrettanto curiose sono le parole di Ira Levin in un’intervista del 2002: «Mi sento in colpa per il fatto che Rosemary’s Baby abbia portato a The Exorcist e a The Omen. Un’intera generazione è stata esposta, ha più fede in Satana. Io non credo in Satana. E sento che il forte fondamentalismo che abbiamo non sarebbe altrettanto forte se non ci fossero stati così tanti libri come questo. […] Naturalmente, non ho restituito nessuno degli assegni dei diritti d’autore.»

Non solo: trent’anni dopo, nel 1997, l’Autore pubblicò il sequel del romanzo, intitolato Son of Rosemary, dedicato a Mia Farrow, che aveva consacrato il personaggio di Rosemary nell’immaginario collettivo.

Ironie a parte, questo ci aiuta a comprendere la vera natura di Levin: in Rosemary’s Baby si toccano note horror esplicite, ma in generale il raccapricciante è tra le righe, sottinteso o evidente, benché incomprensibile alle vittime, fino all’ultimo. Non è un caso che Stephen King abbia definito lo scrittore l’«orologiaio svizzero» dei romanzi di suspense: la meraviglia di Levin è tutta giocata su una trama quasi banale, mediocre come l’esistenza dei piccoli borghesi che ci presenta e che credono, invece, di essere importanti, tanto da poter concepire il “bambino speciale” che cambierà il mondo. Altro che il dannunziano Claudio Cantelmo, che si accontentava di dare vita al futuro condottiero del popolo italiano.

 

C’è un momento in cui Roman Castevet grida «Dio è morto e Satana vive! Questo è l’anno Primo, Dio è finito.» Il satanismo di Rosemary’s Baby è molto moderno, anzi contemporaneo, perché, in un contesto materialista, il dio che non si fa carne – qui e ora – non può che essere morto, o inesistente. Così l’erede di Satana prende il controllo di un mondo che l’essere umano ha predisposto a sua immagine e somiglianza.

Il pregio della scrittura di Levin non risiede soltanto nella progressiva costruzione della tensione, ma anche nell’ordinarietà con cui il male – omicidi, raggiri, menzogne – si innesta nel quotidiano. In Rosemary’s Baby il diavolo seduce, non terrorizza. Come dice in traduzione quella famosa canzone dei Rolling Stones: «Per favore, permettetemi di presentarmi, / sono una persona facoltosa e di classe. […] Piacere di conoscervi, / spero che indovinerete il mio nome, / ma quello che vi sta lasciando interdetti / è la natura del mio gioco.» Il diavolo dissimula.

 

Per finire, c’è il tema della manipolazione, forse l’argomento più attuale del romanzo. Guy è un giovane ambizioso, pronto a tutto per raggiungere il successo, persino concedendo sua moglie a Satana.

Per una lettrice odierna, può essere complicato identificarsi in Rosemary, una donna provinciale che, giunta in città, mostra una certa passività ed è tutta votata alla casa e alla famiglia. Per piacere al marito, e aderire all’ideale medio-borghese dell’epoca, la donna trascura le sue amicizie, persino quella quasi familiare con Hutch.

Quello che però dovrebbe fare ogni lettore è immedesimarsi in un contesto storico che precede la rivoluzione sessuale, accorgendosi che gli atteggiamenti di Rosemary aderiscono perfettamente all’immagine della donna di provincia di allora, proprio quella che venne scossa dal Sessantotto.

 

Più semplice, forse, empatizzare con lei sotto il profilo della personalità manipolata. Per esempio, in questo passaggio:

 

«Tu non cambi dottore», disse Guy. «Dovremo pagare Sapirstein e Hill insieme: nemmeno per sogno».

«Non voglio cambiare dottore», replicò Rosemary, «voglio solo farmi visitare da Hill e sentire il suo parere».

«Nossignore», fece Guy. «Non è… leale nei confronti di Sapirstein».

«Non è… Ma di cosa stai parlando? E la lealtà nei miei confronti, quella non conta?»

 

Guy è ossessionato dal rispetto per la parola data e dalla voce che gli ripete “Che cosa penserà di noi la gente se…?”. È anche un personaggio pieno di sé, che non accetta di essere contraddetto e che, con il pretesto di agire per il bene di Rosemary, finisce invece per piegarla ai propri fini.

La protagonista intuisce che qualcosa non vada bene; tenta persino di reagire, ma alla prima esitazione Guy riprende il controllo e adotta un vecchio espediente per screditarla: la fa passare per isterica.

Umiliata e ridotta a un’incubatrice vivente, Rosemary guadagna infine un apparente margine d’azione, rivendicando la maternità su quell’essere diabolico e imponendo le sue regole per il bambino. Proprio in questo modo, però, finisce per cedere alla condizione che le hanno imposto. In chi si ossessiona con un’idea di possesso o di status, ciò che conta è il guadagno presente, non la prospettiva: la paura di perdere il “bottino sociale” raccolto in nove mesi di gravidanza le fa escludere ogni soluzione alternativa che la liberi dalla costrizione. La sua reazione finale è grottesca, tragicomica, ed è un segnale che ci suggerisce come Rosemary, dopo mesi di inganni e di sostanze stupefacenti, abbia assorbito tutto il cinismo e la malvagità dei suoi carnefici.

 

Bibliografia e consigli di lettura

 

° Fox M., Ira Levin, of “Rosemary’s Baby”, Dies at 78, The New York Times, 14.11.2007

° Galbiati A., Il demonio piccolo borghese. “Rosemary’s Baby” di Ira Levin, Rapporto confidenziale, 07.12.2021

° Leopold T., Babies, Wives and Hitlers, Cnn, 10.06.2004

° Levin I., Rosemary’s Baby, Corsair, Londra, 2011

° Id., Rosemary’s Baby, Sur, Roma, 2015

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