The Shining come romanzo-confessione di King

 

Copertina della prima edizione

Stephen King deve al suo terzo romanzo, The Shining (1977), il proprio consolidamento come scrittore, non solo horror. Il libro è noto per essere stato adattato da Stanley Kubrick in un film del 1980 e – fatto forse meno noto – in una trascurabile miniserie televisiva del 1997.

La trama riprende l’archetipo del luogo isolato nella natura, difficile da raggiungere, dove accadono cose indicibili. Jack Torrance è uno scrittore ed ex insegnante, che ottiene un posto come custode fuori stagione dell’Overlook Hotel, situato nelle Montagne Rocciose del Colorado. Jack sta tentando di liberarsi dalla dipendenza dall’alcool e di recuperare un buon rapporto con il figlio Danny e con la moglie Wendy.

I due lo accompagnano in questa avventura stagionale, in cui Jack rimane sempre più influenzato dalle forze soprannaturali che abitano l’hotel e che mirano a impossessarsi del figlio, dotato dello shining, l’aura, che si traduce in una serie di abilità psichiche. Il termine, che dà vita al titolo, è ispirato alla canzone Instant Karma! (1970) di John Lennon, al verso: «We all shine on.»

 

Le influenze

 

Illustrazione di Harry Clarke (1919)

Il romanzo non si basa su eventi reali, ma è influenzato da precedenti letterari e dal soggiorno dei coniugi King allo Stanley Hotel, alla vigilia di Halloween del 1974, in un momento in cui lo scrittore stava davvero lottando contro l’alcoolismo.

King aveva ambientato i due precedenti romanzi in piccole città del Maine ed era ora alla ricerca di un’ambientazione diversa. Prese un atlante e indicò un luogo a caso: Boulder, Colorado. Lo Stanley Hotel era situato nei pressi dell’Estes Park e i due erano gli unici ospiti dell’albergo, perché la struttura si stava preparando per la chiusura stagionale. Marito e moglie cenarono da soli nella grande sala da pranzo, ascoltando musica orchestrale registrata: tornato in camera, King aveva in mente tutto il libro. Di notte, si mise a girare per i corridoi vuoti e al bar fu servito dal signor Grady. Poi, nel sonno, sognò il figlio di tre anni inseguito da una manichetta antincendio. Tutti elementi poi rielaborati nel romanzo.

 

Riguardo ai riferimenti letterari, ci sono fonti disparate. Il racconto The Veldt (1950) di Ray Bradbury aveva dato a King lo spunto per una storia su una persona i cui sogni diventano realtà. Aveva abbozzato un romanzo sul tema, Darkshine, poi abbadonato. Il materiale venne ripreso per caratterizzare il personaggio di Danny.

Altri racconti, questa volta di Edgar Allan Poe, sono centrali: The Fall of the House of Usher (1839) e The Masque of the Red Death (1842), quest’ultimo citato apertamente nel testo. Ci sono poi due romanzi a cui King ha attinto: The Haunting of Hill House (1959) di Shirley Jackson e Burnt Offerings (1973) di Robert Marasco.

Vi è, infine, un racconto di Guy de Maupassant, L’auberge (Il rifugio), che non sembra essere una fonte d’ispirazione, ma mostra diverse analogie nella trama. La storia è ambientata in una locanda sperduta tra le montagne, custodita nei mesi freddi da un uomo che finisce per impazzire a causa di un fantasma.

 

Il rapporto padre-figlio e il protagonista

 

The Stanley Hotel

Chi è il protagonista del romanzo? Jack o Danny? La scrittura si concentra sulle capacità e sui pensieri del bambino, ma è nel rapporto col padre che ogni evento si plasma e assume il suo tono. In tal senso, il libro è un’esplorazione del rapporto genitori-figli.

Jack Torrance ha avuto un’infanzia difficile, a causa di un padre molto violento. Nelle parole di King, The Shining è come una confessione: «Nascondi sempre quello che stai confessando. Questo è uno dei motivi per cui inventi la storia.» Lo scrittore indaga un aspetto naturale, ma taciuto della natura genitoriale, ovvero la sensazione di rabbia verso i figli: «Sì, ci sono momenti in cui mi sono sentito molto arrabbiato con i miei figli e mi sono persino sentito come se potessi far loro del male.»

 

Questo ci serve però a definire un tema. Nell’identificare il vero protagonista dobbiamo allargare di molto lo sguardo, fino a contemplare nel suo insieme l’Overlook Hotel. Qualcosa di analogo al ruolo della cattedrale di Notre-Dame nel celebre romanzo di Victor Hugo. Lungi dall’essere un edificio inanimato, nell’hotel vagano ricordi e fantasmi.

Jack vede nell’isolamento della struttura l’occasione per riavvicinarsi alla famiglia e per ritrovare la motivazione utile a concludere uno scritto teatrale. È questa la sua volontà, in buona fede. Ma è l’hotel stesso a mettersi contro il progetto: incapace di impossessarsi di Danny, entra nella psiche del padre per manipolarlo. Gli fa scoprire una serie di ritagli sulla storia decennale del luogo, che affascinano Jack; lo rifornisce di liquori immaginari, che però hanno un effetto reale nella sua mente. L’hotel lo fa dubitare prima di se stesso, poi della sua famiglia. Lo fa sentire solo.

 

L’Overlook agisce come una mente alveare e, non a caso, le vespe sono al centro di uno degli incidenti iniziali. Il loro miele è più simile a una droga, ed è l’aura emanata da Danny. Questo potere gli consente di leggere nella mente, di avere premonizioni e di essere chiaroveggente. Prima di andarsene dall’hotel, lo chef Dick Hallorann, in possesso di abilità simili, aveva detto al bambino di non aver mai visto un’aura tanto potente. A nulla valgono i suoi avvertimenti: le vespe impazziscono e danno la caccia al bambino.

L’Overlook spinge Jack a sabotare tutte le vie di fuga. Una tempesta micidiale pone il sigillo su ogni possibilità di fuga. Messo all’angolo dal padre, Danny grida alla sua figura: comprende che in quel corpo sia in atto una guerra per il controllo. In uno slancio di lucidità, Jack mostra la sua vera natura e intima al figlio di fuggire. È un momento fondamentale. Poco dopo, l’hotel riprende il controllo e Jack scompare per sempre. Rimane solo la “cosa”, come la definisce Danny, una creatura polimorfa che è l’insieme di tutte le anime dannate dell’hotel, di tutto il male concentrato.

 

Un macigno: il rapporto con il film

 

Una scena del film di Kubrick
 

Quando si parla di The Shining è inevitabile pensare al capolavoro di Kubrick. Per molti, è stato il primo e forse unico approccio al soggetto.

In questo caso, film e romanzo sono come lo sviluppo in parallelo di due trame alternative basate sulla stessa storia. Nella moda odierna, diremmo due varianti di un multiverso.

King aveva messo mano a una prima sceneggiatura, respinta da Kubrick, che in seguito la elaborò insieme a Diane Johnson. È comprensibile che lo scrittore abbia criticato la pellicola, ma non per questo retroscena. Ci sono motivi per cui si potrebbe dire che il film sia migliore del romanzo, o viceversa, e ciò dipende dal punto di vista adottato.

Il romanzo non terrifica quanto il film: entrambi, però, costruiscono un ambiente claustrofobico. Kubrick con le sue riprese ambientali da una prospettiva ribassata o con la ripresa di ampi scorci paesaggistici che accrescono la percezione di essere fuori dal mondo. King, invece, lo fa trasformando ogni oggetto o stanza in un elemento che contribuisce a edificare la prigione dell’Overlook. Le cui sbarre sono invisibili, fino a quando non ti avvicini a esse con la volontà di andartene: l’hotel reagisce rendendo sempre più vivide le sue illusioni.

 

Certo, a livello visivo Kubrick è irraggiungibile. King non scrive molte pagine descrittive e l’ambientazione è più simile a un’evocazione, fatta di piccoli elementi che alludono a qualcos’altro senza mai davvero definire. A differenza di alcune sue opere successive, e nonostante la mole di pagine di The Shining, King non divaga e la narrazione ha un ritmo sostenuto.

Il film, comunque, risulta più iconico: Jack Torrance armato d’ascia, la cui testa si fa strada in una porta; le due terrificanti gemelle; la cascata di sangue dell’ascensore. Sono solo alcuni elementi non presenti nel romanzo, ma che fanno la differenza.

Lo stesso finale diverge non poco: da un lato, abbiamo l’esplosione della caldaia dell’hotel (metafora del raptus omicida di Jack), per poi concludere in anticlimax; dall’altro, un finale quasi poetico, al culmine della tensione, con le note di Midnight, with the Stars and You in sottofondo e una punta di ironia nell’espressione ebete di Jack.

 

Rispetto allo sviluppo dei personaggi, però, il libro recupera punti. Nella pellicola, lo chef Hallorann è poco più di una macchietta, che ritorna inutilmente nel finale, e in maniera inverosimile. Nel libro, King gli dedica interi capitoli e il personaggio, oltre ad aiutare Danny e Wendy, è funzionale a mostrare il razzismo a cui erano (e sono ancora in parte) sottoposti gli afroamericani. Hallorann è una figura positiva, verso la quale non si può non provare empatia, un hobo che gira gli Stati Uniti facendo lavori stagionali e godendosi la vita da scapolo.

Discorsi analoghi si possono fare per la coppia di genitori. Nel film, non si comprende bene perché Jack impazzisca e quindi siamo propensi ad attribuirlo alla sua natura (ma, allora, perché moglie e figlio lo seguono in un luogo sperduto?). Nel romanzo, vengono impiegati numerosi flashback, che rimandano all’infanzia difficile dell’uomo e a episodi violenti della sua vita da adulto. Inoltre – ed è centrale – a voler uccidere Danny non è la coscienza del padre, ma la creatura multiforme che ha preso possesso del suo corpo. Non a caso, King ha rimproverato a Kubrick il fatto di aver trasformato il soggetto in «una tragedia domestica con sfumature solo vagamente soprannaturali.» In effetti, il regista ci lascia con diversi interrogativi sulla natura dell’aura (per esempio, il ruolo di Tony) e dell’Overlook Hotel, dubbi che in quantità minore aveva lasciato lo stesso King, prima della pubblicazione del seguito del romanzo, Doctor Sleep (2013).

Che dire, poi, di Wendy? Nel film, è un personaggio succube sotto tutti i punti di vista, che fa scelte discutibili e non può fare nient’altro che la vittima. Nel libro, invece, è una donna in grado di prendere le distanze dal marito violento e alcoolista; tiene duro di fronte alle avversità ed è pronta a tutto per difendere se stessa e il figlio.

 

In definitiva, il confronto tra film e romanzo aiuta a definire i punti deboli e di forza delle due opere, tuttavia non esiste, in termini assoluti, un metro per decidere quale sia la resa migliore. Rimane, a ogni modo, il soggetto pensato e sviluppato da King, una creatura che vive di vita propria nonostante l’aura leggendaria che illumina la pellicola.

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Bibliografia e consigli di lettura

 

° Bracken H., The Shining, Britannica, 08.11.2019

° Dark, The Shining by Stephen King, Fantasy Book Review

° Efraim D. B., The Shining by Stephen King. The Horror Genre Redefined, Bookwormex – Book Reviews for Avid Readers, 11.09.2021

° King S., Shining, Bompiani, Milano, 2014

° Id., The Shining. The Deluxe Special Edition, Cemetery Dance Publications, Forest Hill (Maryland), 2017

° Inverarity, Book Review: The Shining, by Stephen King, Inverarity is not a Scottish Village, 17.05.2012

° Redazione, The Shining Review, Book Analysis

° Rogers W. C., Stephen King “The Shining” Review, Horror Novel Reviews, 31.01.2013

° Smythe J., Rereading Stephen King: Week Three – The Shining, The Guardian, 22.06.2012

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