Malpertuis. Divinità logorate dalla modernità

Copertina dell'edizione 2022 dell'Agenzia Alcatraz

Per cominciare, occorre porsi una domanda: chi era Jean Ray, autore definito il “Poe belga”?

Jean Ray è uno degli pseudonimi di Raymundus Joannes de Kremer, scrittore fiammingo vissuto dal 1887 al 1964. Originario di Gand, non completò gli studi universitari e cominciò a lavorare nell’amministrazione del comune. Negli anni Venti, entrò nella redazione del Journal de Gand. Il primo racconto pubblicato, Les Contes du Whisky, risale al 1925. L’anno successivo, fu condannato a sei anni di carcere con l’accusa di appropriazione indebita: scontò due anni. In quel periodo, scrisse i racconti lunghi The Shadowy Street e The Mainz Psalter.

Rilasciato nel 1929, lavorò senza sosta, anche per la nota rivista Weird Tales. Era poi appassionato dei testi di Arthur Conan Doyle, noto spiritista nella sua epoca, e venne così assunto da un editore belga per tradurre dall’olandese una serie di thriller polizieschi, che erano stati presentati come avventure apocrife di Sherlock Holmes. Il materiale era di scarsa qualità, perciò Ray lo rielaborò alla radice: il nome del protagonista fu cambiato in Harry Taxon e, nelle edizioni fiamminga e olandese, in Harry Dickson, considerato “lo Sherlock Holmes americano”.

 

Durante la seconda guerra mondiale, pubblicò in francese i suoi migliori lavori: Le Grand Nocturne (1942), La Cité de l’Indicible Peur, Malpertuis, Les Cercles de L’Epouvante (tutti del 1943), Les Derniers Contes de Canterbury (1944) e Le Livre des Fantômes (1947).

Nel dopoguerra, si dedicò ai fumetti. Furono Raymond Queneau e Roland Stragliati a far ristampare Malpertuis nel 1956.

Poco prima di morire, l'autore scrisse un finto epitaffio in una lettera all'amico Albert van Hageland: «Ci gît Jean Ray / homme sinistre / qui ne fut rien / pas même ministre.» («Qui giace Jean Ray, / un uomo sinistro, / che non era niente, / neppure un ministro.»).

Chiosa curiosa per un uomo che aveva raccontato avventure mirabolanti intorno alla sua biografia, dal contrabbando di liquori durante gli anni del proibizionismo alla fantomatica discendenza dai nativi americani per parte materna.


Lo scheletro nell’armadio di Malpertuis

 

 

Veniamo così a Malpertuis. Romanzo gotico moderno, il titolo fa riferimento a una casa fatiscente, il cui nome è tratto dal testo medievale Roman de Renart e indica la tana della volpe, figura legata alla demonologia – secondo l’abate Doucedame – dunque per estensione è «la casa del Maligno, o del Diavolo…».

Il testo è strutturato in quattro narrazioni: l’anonimo narratore del presente, che dice di aver rubato alcuni manoscritti (che compongono il romanzo) nel Convento dei Padri Bianchi; la storia di Doucedame il Vecchio, che cattura gli dèi olimpici; il diario di Jean-Jacques Grandsire; il racconto di Euchère, padre del convento, che rivela la sorte capitata a Grandsire e a Doucedame il Giovane.

Malpertuis recupera topoi del genere horror – la casa sinistra, le presenze sovrannaturali, le creature mitologiche – e li mescola a strumenti narrativi consolidati nel genere, come l’impiego di manoscritti (le lettere nel Dracula di Bram Stoker su tutti). Non mancano elementi tratti dal giallo, a partire dall’impronta “investigativa” data alle azioni di Grandsire.

 

Numerosi sono poi i personaggi. Tutto parte dal defunto Quentin Moretus Cassave, che nel testamento costringe i familiari a coabitare nella casa per poter ottenere l’eredità. Legge il notaio: «Alla dimora Malpertuis non sarà apportato alcun cambiamento e l’intera fortuna sarà devoluta all’ultimo sopravvissuto.»

A questo soggiorno con delitto preannunciato, prendono parte i giovani fratelli Jean-Jacques e Nancy Grandsire, che scoprono il primo orrore: «Il primo fantasma che mi apparve fu quello di tutte le vite rinchiuse: la noia.» Vi sono poi il goloso dottor Sambucque, il tassidermista Philarete, le ricamatrici signorine Cormelon (Rosalie, Eleonore, Alice), la famiglia Dideloo (con l’avido copista Charles, la moglie Sylvie, la figlia Euryale) e il bizzarro Lampernisse, che vende vernici e si lamenta perché qualcuno spegne sempre le lampade, lasciandolo al buio.

Non manca la servitù: la buona Elodie, governante dei due fratelli; i coniugi Griboin, vecchi inerti; l’enorme servitore senza nome, chiamato Ciek, che è l’unico suono che emette.

Infine, la misteriosa figura di Eisengott non vive nella casa, ma è attratto da essa.

 

Il romanzo presenta diversi intrighi amorosi, segnati da punte di erotismo: Euryale che avanza proposte matrimoniali oscure a Jean-Jacques, la seduzione di Alice nei riguardi di quest’ultimo, il ricatto sessuale subìto da Alice da parte dello zio Dideloo. In particolare, Euryale ha un ruolo da femme fatale: lo sguardo dai verdi occhi pietrifica e la sua seduttività è segnata da poche e brevi frasi e da un silenzio in cui la sua presenza non passa mai inosservata.

Ad amore si affianca morte e a Malpertuis avvengono omicidi misteriosi e cruenti, tra strane creature che abitano la soffitta e esseri alati che rapiscono e uccidono. Eventi di un certo peso che, però, non scatenato reazioni negli abitanti della casa. I residenti non parlano mai degli scomparsi, in quella che può essere definita una satira del perbenismo borghese che tende a nascondere i problemi sotto al tappeto: «La riunione nel salone giallo fu come me l’aspettavo: un ritrovo di sagome nere e indistinte.»

 

La tradizione e un mondo che cambia

 

William-Adolphe Bouguereau, Oreste inseguito dalle Erinni
o Il rimorso di Oreste (1862)
 

Il romanzo è denso di riferimenti letterari ed esoterici, che arricchiscono la trama e le danno un potere suggestionante. Al centro, il concetto per cui gli antichi dèi vivano e traggano forza dai loro fedeli. Al capitolo decimo, viene citata una frase di Voltaire – «Gli dèi sono nati dalla fede degli uomini…» – accompagnata dal “teorema di Cassave”: «gli uomini non sono nati per capriccio o per volontà degli dèi; al contrario, gli dèi devono la loro esistenza alla fede degli uomini. E questa fede si può spegnere, e gli dèi possono morire.» Non a caso, in epoca moderna stanno morendo, sebbene alcuni resistano grazie all’interesse di poche persone.

Il cristianesimo ha poi un ruolo preponderante nel muovere i fili della trama: Cassave si rivela un mago rosacroce in grado di imprigionare gli dèi olimpici in corpi umani, confezionati dal tassidermista Philarete. Solo Zeus segue questo destino di propria volontà, e Gorgona, rimasta bella e potente in uno dei personaggi femminili. Gli dèi, dunque, sopravvivono, ma sono l’ombra di ciò che furono, fantasmi essi stessi.

 

Oltre che a Poe – citato esplicitamente al capitolo undicesimo – si è soliti accostare la scrittura di Ray a quella di H. P. Lovecraft, ma, a parte alcuni temi condivisi, i due scrittori sono abbastanza diversi. Il ruolo stesso attribuito da Ray al cristianesimo e il ridimensionamento delle antiche divinità non si accorda certo alla potenza delle analoghe creature lovecraftiane.

In quest’ultimo universo, governato dal caos strisciante, l’essere umano è piccolo e inutile rispetto agli esseri che si celano nel cosmo; nel romanzo di Ray, invece, il destino ha una funzione regolatrice, benché in chiave tragica, e l’essere umano è comunque artefice delle proprie divinità. Tanto da poterle sostituire con una nuova fede che, in maniera circolare, apre e conclude l’opera: il convento dei Padri Bianchi è l’antitesi della vecchia dimora infestata.

 

Da un lato, Malpertuis è un romanzo gotico ben inscritto nella tradizione del macabro, dall’altro è una sorta di testo postmoderno ante-litteram, come notò Raymond Queneau. La seconda lettura, infatti, può essere dedicata soltanto alla decifrazione della trama ulteriore, a quell’analisi intertestuale tra le vicende della casa e le numerose citazioni, esplicite e implicite.

Più difficile è stabilire quale sia stata l’eredità della scrittura di Ray nella letteratura successiva. È facile trovare storie analoghe, ma più per la condivisione di alcuni stilemi del genere che per un’effettiva derivazione dallo scrittore. Nel cinema, forse, ha avuto più seguaci diretti. Penso non soltanto a film come Malpertuis (1971, regia di Harry Kümel), con Orson Welles nei panni di Cassave, ma anche alla serie tv American Gods di Neil Gaiman, preceduta dall’omonimo romanzo dello stesso regista, di cui Ray anticipa le intuizioni.

 

La scrittura di Jean Ray è evocativa, con descrizioni soppesate, mai eccessive, e con un gusto compiaciuto per la stranezza e l’ironia (mi ha fatto sorridere quel «Lampernisse, blatta delle tenebre… che vieni a fare qui?», pronunciato dal dottor Sambucque).

Lo scrittore ha costruito una tragedia greca moderna, talvolta riducendola a dramma borghese, in altri casi attingendo a elementi decadenti e al simbolismo. In questo ambiente, in cui «il tempo e le forze sono sottomesse a strani voleri che di volta in volta impongono l’oblio o il ricordo», le sorti di umani e di divinità sono nelle mani del Destino. In un passaggio, si dice che gli abitanti della casa abbiano dei barlumi di coscienza, presto spazzati via dalla paura dell’ignoto, come se un «fatalismo indolente» gli impedisse di comprendere la verità fino al compimento del loro cammino.

 

Le tenebre assorbono la luce – ed è un motivo ricorrente – come le entità che in The Shining desiderano l’aura di Danny: «La luce» esclama l’abate Doucedame «è perfetta e assoluta solo se prossima a Dio; nel nostro triste mondo, le tenebre vi si attaccano come ventose infernali.» In maniera ancora più subdola di luoghi come l’Overlook Hotel, la «formidabile volontà di Malpertuis si era manifestata ai suoi prigionieri che, sottomessi, piegavano la testa.»

Il “carico” depositato nella casa da Cassave e da Doucedame il Vecchio ha segnato per sempre le loro vite e quelle degli eredi. Quel gesto di hybris si è tradotto in una maledizione e Malpertuis è rimasta impregnata del potere oscuro dei suoi abitanti, fino a diventare essa stessa una creatura malefica: «La casa del prozio Cassave si innalzava nella notte, enorme e nera come una montagna. Le sue imposte erano chiuse come le palpebre di un morto e il portico aveva la cupa profondità di un abisso.»

La casa è dispotica, come il suo defunto proprietario, e non accetta cambiamenti che non siano decisi dal fato.

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Bibliografia e consigli di lettura

 

° Balsàno R., Un capolavoro dimenticato: Malpertuis, I colori del giallo

° Bilmes L., More Than the Belgian Poe. The Overdue Return of Jean Ray’s “Whiskey Tales”, Los Angeles Review of Books, 02.03.2019

° Buttaboni C., Malpertuis, Horror Magazine, 18.03.2022

° Cordasco R., Malpertuis by Jean Ray, Speculative Fiction in Translation, 07.07.2022

° Davidson R., A Fold in Space: Jean Ray’s Malpertuis, The Quietus, 30.10.2021

° Michaels T., Malpertuis by Jean Ray, Books, Yo.

° Monteiro A., Ghosts, Fear, and Parallel Worlds. The Supernatural Fiction of Jean Ray, Weird Fiction Review, 21.11.2011

° Orthofer M. A., Malpertuis by Jean Ray, The Complete Review, 04.10.2021

° The Editors of Encyclopedia Britannica, Jean Ray, Britannica, 14.03.2002

° Tramontin D., Jean Ray. Il fantastico ritrovato, Pulp Magazine, 20.05.2022

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