Peter Cameron e la trama sottesa al quotidiano

 


Dodici racconti apparsi in precedenza su diverse riviste, tra cui Rolling Stone e The New Yorker. Pur nell’irrealtà di alcune trame – su tutte, quella de Il cane segreto – queste storie sono una descrizione al dettaglio delle nostre esistenze. C’è la parte realistica, ovvero i dialoghi quotidiani, che per la maggior parte non portano a nulla, e le scelte banali (meglio una Coca o una 7 Up?), che scandiscono le giornate. C’è però anche la parte nebulosa dell’esistenza, fatta di lutti, dolori soffocati, amori non corrisposti e insicurezze.

Che cosa fa la gente tutto il giorno? Ciò che ti immagini e vivi in prima persona: gli impegni, la visione di un film, le decisioni da cui non si torna più indietro, i progetti di vita che si avverano e, soprattutto, quelli che non si realizzano mai.

Incompiutezza e storture sono misura di ogni esistenza umana: «Ricordo di aver pensato che anche il mondo sarebbe finito così, con le persone che scomparivano in silenzio, una dopo l’altra, come se lasciassero una festa senza salutare, finché il padrone di casa si ritrovava solo nella casa vuota, con i bicchieri ancora mezzo pieni e le sigarette calpestate sul tappeto e la nauseante luce impiastricciata dell’alba che sale in cielo.»

 

Cameron ci narra il dramma umano senza mai nominarlo, senza inserirci una sola riflessione personale, nemmeno attraverso un personaggio. La sua scrittura è sufficiente a evocare in noi un sovvertimento interiore. Ci rendiamo conto che tra le righe di quelle storie raccontate così come sono avvenute, senza fronzoli, si annida una verità che conosciamo benissimo ma che non abbiamo strumenti per rendere esplicita. Ci rimane la scrittura (o la musica, l’arte) come mezzo per creare analogie e similitudini, per imitare la vita o, magari, darle più valore.

Il racconto d’apertura, Prova a rilassarti, è un frenetico susseguirsi di spostamenti e di dialoghi: sullo sfondo, il desiderio di trovare un proprio posto nel mondo, un punto che permetta di non perdere se stessi e di preservare un minimo di serenità. È un testo emblematico per la raccolta, ma tra tutti i racconti ho preferito Testa o piedi, perché è qui che l’ambiguità e il non detto sono più logoranti che mai.

 

Lo stile di Cameron è crepuscolare, non in senso letterario, ma come atmosfera: tanto calda e confortante quanto capace di creare la dolorosa malinconia della fine. A volte si ha l’impressione che i personaggi non facciano che tirare avanti, che ogni loro gesto sia vacuo e insignificante. Altre volte, una figura si erge dalla ripetitività del quotidiano e con scherno affronta la vecchiaia, la solitudine e l’incomunicabilità (torno con la mente al pensiero finale di Miss Alice Paul in Non si può nemmeno immaginare).

Questi racconti non ti lasciano con dei messaggi o delle idee sulle quali fermarsi a riflettere, eppure, a fine lettura, sei certo che lo scrittore ti abbia “iniettato” una consapevolezza che ti farà sentire meno estraneo a te stesso.

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