Neuromante di Gibson è ancora oltre la nostra condizione

Copertina dell'edizione inglese Ace
 

Si è soliti definire Neuromante (Neuromancer, 1984) di William Gibson il manifesto del filone cyberpunk, ma è una convenzione, che rischia di escludere altre colonne portanti del sottogenere come Bruce Sterling. Ci sono poi gli antesignani del filone, tra cui Aldous Huxley e George Orwell, e autori che hanno contribuito a definire questo immaginario come J. G. Ballard e Philip K. Dick.

Certo il pregio di Neuromancer è di aver raccolto e sviluppato le principali caratteristiche del filone, incontrando un pubblico che ne ha riconosciuto il valore e una critica che gli ha conferito i tre maggiori premi letterari dedicati alla science-fiction: i Premi Hugo, Nebula e Philip K. Dick.

Inoltre, il romanzo ha dato vita alla Trilogia dello Sprawl, completata da Giù nel ciberspazio (Count Zero, 1986) e Monna Lisa Cyberpunk (Mona Lisa Overdrive, 1988).

 

Una storia innovativa?

 


L’universo narrativo di Neuromancer era già stato introdotto dall’Autore in alcuni suoi racconti, poi riuniti ne La notte che bruciammo Chrome (1986).

Una delle ambientazioni è Chiba, in Giappone, ma il cuore della narrazione è lo Sprawl, un’area metropolitana che si estende da Boston ad Atlanta. Si tratta di posti violenti, in cui gli affari sono un «costante ronzio subliminale e la morte la punizione accettata per la pigrizia, la negligenza, la mancanza di grazia, l’incapacità di badare alle esigenze di un intricato protocollo.»

Nel corso del romanzo, i personaggi si spostano anche a Istanbul, città decadente e romantica, per poi decollare in direzione del satellite artificiale Freeside, una sorta di Las Vegas orbitale che porta il gruppo alla resa dei conti finale, a Villa Straylight.

Gli ambienti terrestri ed extraterrestri di Gibson sono iper-antropizzati e si contraddistinguono per le arcologie delle multinazionali, enormi edifici con un’ecologia interna e una densità abitativa molto alta, tale da ricordare il romanzo High-Rise (1975) di Ballard.

Qui la vita umana non ha più molto valore, in particolare a Night City, la cui descrizione suona come una metafora degli odierni social network:

 

Night City era come un esperimento deragliato di darwinismo sociale, concepito da un ricercatore annoiato che tenesse un pollice in permanenza sul pulsante dell’avanti-veloce. Se smetti un attimo di farti largo a spintoni, affondi senza lasciare traccia; muoviti un po’ troppo alla svelta e finirai per spezzare la fragile tensione di superficie della borsa nera; in entrambi i casi sparirai senza che di te rimanga traccia alcuna, salvo un vago ricordo nella mente di un’istituzione come Ratz, anche se il cuore, i polmoni o i reni potranno sopravvivere al servizio di qualche sconosciuto fornito di un sacco di nuovi yen per i serbatoi delle cliniche.

 

Un non-spazio, ma centrale per la storia, è il cyberspazio, o matrice, un ambiente elettronico il cui termine sembra sia stato coniato proprio dall’Autore, ottenendo molto successo ancora oggi. Il cyberspazio è un luogo in cui si conservano e si scambiano dati e informazioni, dunque il potere.

Esso è in gran parte territorio delle Zaibatsu, grandi corporazioni con un notevole potere economico-finanziario, che operano oltre i confini statali. D’altra parte, la sovranità statale è quasi assente e si manifesta solo nell’esercizio del controllo poliziesco e militare e nella gestione dei movimenti di oggetti e di persone.

Proprio per questa ragione, il cyberspazio diviene un’alternativa al controllo statale e al potere delle corporazioni, un far west in cui poter tentare un’azione in libertà, benché a rischio della propria vita.

 

Non è un caso che il protagonista, Henry Case, venga definito un “cowboy del cyberspazio”: «Case aveva ventiquattro anni. A ventidue era un cowboy, un pirata del software, uno dei più bravi nello Sprawl. […] Aveva operato in un trip quasi permanente di adrenalina, un effetto collaterale della giovinezza e dell’efficienza, collegato a un deck da cyberspazio su misura che proiettava la sua coscienza disincarnata in un’allucinazione consensuale: la matrice.» Aveva però commesso l'errore di derubare i suoi datori di lavoro, che gli avevano avvelenato il sistema nervoso con una micotossina, rendendolo incapace di collegarsi alla matrice. Per lui, «era stata la cacciata dal paradiso».

Case è un solitario, chiamato all’azione controvoglia, come un eroe della mitologia, ed è in cerca di una cura in Giappone, dove incontra il misterioso Armitage. Questi lo recluta per una missione oscura in cambio della guarigione. Case viene affiancato da Molly, una samurai della strada dal corpo potenziato, con lame retrattili sotto le unghie e lenti multifunzione sugli occhi.

La missione consiste nel rubare il costrutto del defunto hacker Dixie Flatline, la cui personalità è stata registrata in una cartuccia ROM. Il tutto però è complicato da informazioni delle quali veniamo a conoscenza poco per volta: per esempio, la reale identità di Armitage, nome dietro al quale si cela Willis Corto, ex colonnello delle Forze Speciali dal passato travagliato.

 

Ci sono poi personaggi minori: il tecnico delle apparecchiature del team, Finn; l’illusionista olografico Peter Riviera; Lady 3Jane Marie-France Tessier-Ashpool, lungo nome che identifica l’ereditiera del clan Tessier-Ashpool (lo stesso che gestisce il costrutto Freeside) e che tenta di limitare l’espansione della capacità cognitiva dell’intelligenza artificiale.

Le I.A. rappresentano due veri e propri personaggi: Invernomuto, in teoria al servizio del clan Tessier-Ashpool, ma in realtà nascosto tra i personaggi coinvolti nella missione, e Neuromante, che vuole impedire che Invernomuto raggiunga il suo obiettivo.

Nell’intreccio dell’opera, i generi si confondono: su una base di fantascienza troviamo innestati elementi del romanzo poliziesco hard-boiled, del noir, del thriller, dell’azione e persino dell’epica. Il libro è stato influenzato da film come Escape from New York (1981) di John Carpenter, per l’uso dello slang nei discorsi. Mentre Blade Runner (1982) di Ridley Scott costituì una sfida per Gibson: l’Autore aveva scritto un terzo del romanzo quando il film uscì nelle sale e temette l’accusa di plagio. Questo, unito alle incertezze sulla trama, portò Gibson a riscrivere i primi due terzi del libro per dodici volte. Anche così Neuromancer è divenuto tanto vario al suo interno: a ciò si aggiunge una sconfinata immaginazione attenta al minimo particolare descrittivo, debitrice in parte delle letture giovanili delle opere di William Burroughs.

 

Linguaggio ed eredità. Gibson profeta?

 


È facile attribuire a Gibson la “qualifica” di profeta, se non altro per aver toccato alcune tematiche transumaniste, per il concetto di cyberspazio e per elementi sociali come il rapporto tra individuo e grandi agglomerati finanziari. Bisogna però andare cauti con le similitudini.

Parto dal linguaggio, che è uno degli elementi più innovativi del romanzo. Esso trae ispirazione dalla cultura pop, in un misto di termini gergali e di neologismi. L’insieme di queste parole si può riassumere in un glossario tutto gibsoniano: dall’I.C.E. (Intrusion Countermeasures Electronics, ovvero l’attuale concetto di firewall, benché il termine sia stato coniato dallo scrittore Tom Maddox) al costrutto R.O.M. (Read Only Memory, la registrazione inalterabile della personalità di un soggetto, inserita in una cartuccia), da microsoft (minuscoli chip) al simstim (sintesi di Simulated Stimulation, un’interfaccia che permette di condividere l’esperienza di un altro soggetto). E così via.

Questo linguaggio è già in sé parte dell’esperienza che il lettore può fare del libro, perché Gibson ci catapulta in serie interminabili di situazioni, in descrizioni che occupano intere pagine; ci impone la sua tecnologia e ci spiega fino a un certo punto o solo dopo che i fatti sono accaduti.

 

A sua volta, il linguaggio diventa veicolo per parlare d’altro. Il simstim si traduce in una forma di droga, qualcosa che crea dipendenza; per questo chi è escluso dalla rete ne soffre, perché viene meno quell’esperienza immersiva che è la realizzazione della fantasia libidinosa del voyeur.

E poi ci sono gli innesti bionici, che aumentano le potenzialità del soggetto e, data la loro intercambiabilità, possono tradursi in una moda. La facilità con cui è possibile modificare il proprio status naturale assottiglia le differenze individuali fino a farle scomparire, perché il soggetto è in continua trasformazione. Leggendo il romanzo viene da chiedersi: fino a che punto può essere modificato un corpo umano prima che la coscienza che lo abita diventi qualcosa di diverso? Cambi identità, se non essenza?

Chi invece è alla ricerca di un’identità è l’intelligenza artificiale: la lotta tra Invernomuto e Neuromante può preludere a uno scontro futuro tra I.A., in cui l’essere umano svolgerà il ruolo di comprimario o di mero strumento. Il negromante manipola ma è anche manipolato dalle forze oscure, che non controlla mai del tutto: così avviene per il Neuromante con la rete.

L’universo del romanzo è solo in parte avverato nel mondo odierno: è semmai una possibilità di ciò che potrebbe essere. Per questo le similitudini andrebbero ben ponderate: l’impressione è che Neuromancer stia raccontando una storia che è ancora oltre la nostra attuale condizione, forse preludendo a un tempo in cui l’umanità avrà fatto un salto di specie attraverso la tecnologia. Proprio l'essere umano, così come lo conosciamo, è cosa vecchia nel mondo del romanzo. D’altra parte, vivendo nel cyberspazio, Case è conscio che quello sia il suo paradiso, per quanto “drogato”, e avverte che, con il danneggiamento del sistema nervoso, «era precipitato nella prigione della propria carne».

 

Oggi la lettura dell’opera di Gibson ha perso parte del suo fascino innovativo, non tanto perché sia stata emulata dalla realtà, quanto per l’eredità che ha prodotto il suo immaginario.

Non è un caso che non ci siano ancora stati adattamenti cinematografici: il romanzo vive già in libri, videogiochi e film derivati, tra cui The Matrix (1999). Neuromancer uscì nel 1984, quando Microsoft diventava la più grande software house e Apple distribuiva i suoi Macintosh in tutto il mondo. Venne pubblicato nell’anno che dà il titolo alla distopia di George Orwell. A volte la realtà fa sorridere.

In 1984 (1948) domina la dittatura; in Neuromancer la tecnologia. Per questo l’opera di Gibson è più vicina a Brave New World (1932) di Aldous Huxley, sebbene in quest’ultimo la tecnologia aprisse a una possibilità meno cupa del mondo degradato al neon di Gibson. Huxley accresce il benessere a scapito della libertà individuale, sempre meno riconosciuta, in coscienza, dal soggetto. Neuromancer potrebbe semmai essere una fase critica tra il mondo di oggi e il mondo nuovo di Huxley, il momento in cui l’umanità tenta di venire a patti con la tecnologia. O potrebbe essere il momento successivo a Huxley, quando lo sforzo è fallito.

In Neuromancer si annida il nichilismo, conseguenza di un sistema di vita pervaso dalla disperazione e dalla lotta selvaggia per ottenere un istante di fama o, in maniera più prosaica, la prossima dose di una droga informatica.

 

Bibliografia e consigli di lettura

 

° De Sio R., Neuromante. William Gibson e il futuro, Il Cartello, 8 giugno 2017

° Di Marco Emiliano, Il Neu-Romance(R) di William Gibson, Nothing Is True, Nothing Is Untrue, 29 maggio 2012

° Folk-Williams J., Neuromancer By William Gibson, SciFi Mind

° Gibson W., Neuromancer, Ace, New York, 2000

° Id., Trilogia dello Sprawl, Mondadori, Milano, 2017

° Jonas G., Science Fiction, New York Times, 24 novembre 1985

° Mullan J., John Mullan on William Gibson’s Neuromancer, The Guardian, 7 novembre 2014

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