Apocalisse a base di ghiaccio-nove
Copertina della prima edizione, pubblicata da Holt, Rinehart & Winston |
Quando uscì nel 1963, Ghiaccio-nove
(Cat’s Cradle) di Kurt Vonnegut fu definito dallo scrittore Graham
Greene come «uno dei tre migliori romanzi dell’anno, scritto dal più bravo
scrittore vivente». L’opera contribuì a fargli ottenere una laurea honoris
causa in antropologia, presso l’Università di Chicago, e una nomina per il
prestigioso Hugo Award dedicato alla letteratura fantascientifica.
La sua diffusione capillare lo portò a
essere letto anche tra gli studenti, tanto che, nel 1972, il consiglio
scolastico di Strongsville, Ohio, vietò il romanzo senza dare una motivazione,
ma dal report dell’incontro emergono definizioni come «completamente malato» e «spazzatura».
Si stava ormai diffondendo un clima da “ritorno all’ordine”, dopo la
rivoluzione culturale del ’68, e il divieto venne revocato solo nel 1976. Non
fu un caso unico, come attestano le contestazioni al libro alla Merrimack High
School del New Hampshire, ormai nel 1982.
Il fatto è questo: Cat’s Cradle è
sfacciato, irriverente, amorale, se intendiamo la morale che viene parodiata
come una farsa a tutto tondo. Il romanzo fa da megafono alle inquietudini di
un’epoca che aveva appena vissuto la crisi dei missili di Cuba, con la
prospettiva di un’apocalisse globale a base di bombe atomiche.
Lavorando a Breakfast of Champions,
Vonnegut scrisse queste parole al suo editore: «Mi ci vuole così tanto tempo
per scoprire di cosa trattano i miei libri, allora posso scriverli.»
In effetti, il contenuto di Cat’s
Cradle rispecchia questa natura magmatica: Vonnegut vi inserisce questioni
scientifiche e tecnologiche, la sete di potere, l’impiego della religione come
strumento di distrazione di massa, il rapporto tra verità e menzogna, e come i
significati possano acquisire o meno valore nell’incertezza generale.
È un romanzo postmoderno, a tratti
frammentario, che cerca di seguire una linea logica, ma finisce per esplodere
in una miriade di sottotrame, dove in realtà si annida la storia vera, quella
autentica delle persone comuni. Per lo scrittore, i suoi libri «sono
essenzialmente mosaici composti da un intero mucchio di minuscole tessere… e
ogni tessera è uno scherzo.»
L’ironia, infatti, è il collante dell’opera.
Il narratore è uno scrittore che racconta la vicenda in prima persona e, fin
dalla prima pagina, chiede di essere chiamato Jonah, echeggiando l’invito del
narratore di Moby Dick nel celebre incipit: «Call me Ishmael».
Jonah racconta che stava scrivendo un
libro intitolato The Day the World Ended, basato sulle giornate che
vissero gli inventori della bomba atomica, quando questa fu sganciata su
Hiroshima. La ricerca porta il protagonista molto lontano, letteralmente verso
altri lidi, quelli dell’immaginaria isola di San Lorenzo, dove accadono cose
bizzarre e si è diffusa una fede chiamata bokononismo.
Vonnegut è spietato nel raccontare il
rapporto tra l’essere umano e la tecnologia, tra scienziati disinteressati alla
questione morale e i loro eredi troppo idioti per capire il pericolo. La
religione stessa non può pretendere di avere risposte migliori della scienza: il
bokononismo si incentra sull’accettazione di ciò che è inevitabile,
sull’incapacità umana di far ordine nel groviglio delle nostre trame di vita.
La società e il senso di
appartenenza
Una rivista invia il protagonista nella
Repubblica di San Lorenzo, per intervistare un personaggio in vista. L’isola
immaginaria è situata nel Mar dei Caraibi e possiede una sola città, la
capitale, che versa in condizioni di estrema povertà. È quello che tecnicamente
si definisce uno Stato fallito, o una repubblica delle banane. Vi si parla una
lingua creola basata sull’inglese. La cultura del territorio è stata influenzata
dal defunto caporale della marina statunitense Earl McCabe, che disertò per poi
capitare sull’isola. Lì fondò una compagnia di zucchero e proclamò la
repubblica insieme al socio Lionel Boyd Johnson di Tobago, nome pronunciato
come “Bokonon” nella lingua sanlorenziana.
All’arrivo del protagonista, l’isola è
governata dal dittatore Miguel “Papa” Monzano, che minaccia di impalare su un
gancio i bokononisti, che si sono raccolti in una setta. Il narratore finisce
in un intrigo inaspettato che lo porterà a innamorarsi della figlia adottiva
del dittatore e a dover gestire in prima persona il potere sull’isola.
Conosce anche personaggi minori, che lo
aiutano a inquadrare la situazione e a fare chiarezza in un universo confuso e
spiazzante che è il riflesso di quello reale post-atomico. La stessa San
Lorenzo è un’entità che ha caratteristiche in comune con la storia di Haiti o
di Cuba. La guerra fredda ricorre nel romanzo: il personaggio di Newton “Newt”
Hoenikker finisce per essere coinvolto nel furto di ghiaccio-nove da parte di
una spia sovietica, rappresentando quei casi storici in cui una tecnologia è
stata trasmessa all’avversario (si pensi al caso dei coniugi Rosenberg, legato
proprio alla bomba atomica).
Nel romanzo ci sono poi molte figure minori
che contribuiscono a definire l’universo letterario, parlando al contempo di
noi.
Per esempio, il personaggio di H. Lowe
Crosby, titolare di una fabbrica di biciclette a Chicago, è il tipico
statunitense che si lamenta che negli Usa non vengano più prodotti oggetti,
perché ci «occupiamo solo di relazioni umane adesso. Le teste d’uovo stanno lì
a scervellarsi per trovare nuovi modi di rendere felici tutti quanti. Non si
può licenziare nessuno, non c’è verso, e se qualcuno per caso fa una
bicicletta, il sindacato ci accusa di pratiche crudeli e disumane e il governo
confisca la bicicletta per gli arretrati sulle tasse e la regala a un cieco
nell’Afghanistan.»
A suo dire, a San Lorenzo le cose
andrebbero meglio, perché lì la gente è abbastanza povera, impaurita e
ignorante «da avere un po’ di buon senso».
Oggi potremmo definire H. Lowe Crosby un
tipico elettore trumpiano, o comunque uno di quei cittadini populisti che,
negando ogni vantaggio del progresso, si rifugiano in un mondo ideale – qui San
Lorenzo – dove le cose sono lungi dall’essere migliori, ma dove quel cittadino ritiene
di avere ancora il controllo.
Questo bisogno di sicurezza si ritrova
anche nel personaggio della moglie, Hazel Crosby, che crede in una fraternità
cosmica tra hoosier, termine che si riferisce a una persona originaria
dell’Indiana. Hazel percepisce con tanto orgoglio tale appartenenza, che chiede
a tutti gli hoosier di chiamarla “mamma”. Il narratore però non si
lascia incantare da questo attaccamento romantico alle proprie origini e
commenta come segue: «L’ossessione di Hazel per gli hoosier sparsi nel
mondo era il classico esempio di una falsa karass, di una squadra
fittizia che non ha niente a che vedere con le vie del Signore, con i mezzi a
cui Egli ricorre per portare a termine le cose, il classico esempio di ciò che
Bokonon chiama un granfalloon. Altri esempi di granfalloon sono
il Partito Comunista, le Figlie della Rivoluzione Americana, l’Azienda
Elettrica Statale, l’Ordine Internazionale degli Eccentrici – e qualsiasi
nazione, in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo.»
In un paio di frasi, Vonnegut demolisce tre
quarti di ciò che costituisce una società e che cementifica il senso di
appartenenza.
I Libri di Bokonon
Il bokononismo non richiede fede; in
fondo, il suo creatore è ancora vivo e si nasconde nella giungla. Quando
Bokonon e McCabe presero il controllo dell’isola, bandirono i preti. Iniziarono
a governare, ma si resero conto che nessuna riforma di buon governo avrebbe
migliorato le condizioni dei sanlorenziani, così fondarono una religione come
strumento di speranza: «La verità era nemica del
popolo, perché la verità era orribile, pertanto Bokonon si dedicò a fornire al
popolo bugie migliori.»
Scelse persino di rendere quella religione
fuorilegge, per renderla più appetibile in quanto proibita. I due in effetti
non accrebbero il tenore di vita della popolazione, ma da quel momento «la
gente non doveva più badare tanto all’orribile verità».
A un certo punto, il narratore ipotizza di
chiedere a Bokonon di entrare a far parte del governo, prospettando una nuova
età dell’oro per i sanlorenziani. Si rende però subito conto che sarebbe stata
un’ulteriore illusione e preferisce perpetuare una dialettica tra bene (la
giungla bokononista) e il male (il palazzo presidenziale).
Come ogni religione che si rispetti, non
mancano i rituali, assurdi come quello del boko-maru, ovvero il contatto
fisico prolungato tra le piante dei piedi nudi di due persone, con l’intento di
suscitare una connessione spirituale.
I libri di Bokonon costituiscono il
testo sacro: è un’opera incompiuta, almeno fino alla fine del romanzo, che
contiene una miriade di neologismi, spiegati dal narratore con la chiarezza con
cui si precisa un termine filosofico in un saggio.
Una delle parole chiave di questa
religione è karass, un legame spirituale cosmico tra persone, mentre –
come detto in precedenza – il granfalloon è la pretesa di una
connessione che non esiste, che ha ragioni meramente materiali, come
l’appartenenza a un partito.
Ogni karass ha poi uno scopo
definito wampeter, che si suddivide in una parte crescente e in una calante.
Eppure, capire il senso del proprio agire è molto difficile, per cui i
bokononisti – di fronte al meccanismo imprevedibile della vita – sono soliti
sussurrare le parole laborioso, laborioso, laborioso.
Nel momento in cui si tirano le somme
dell’intreccio, che mostra uno scenario potenzialmente autodistruttivo per
l’umanità, il protagonista si chiede quale speranza vi sia per la nostra
specie. Gli viene in soccorso il Quattordicesimo libro di Bokonon, che alla
domanda risponde con un laconico: «Nessuna».
Nel testo sacro vengono citati il dio
solare Borasisi e la dea lunare Pabu, ma il racconto mitologico posticcio è
l’ennesimo specchietto per le allodole, con cui Bokonon vuole far risaltare l’assurdità
dell’esistenza. Il bokononismo si riduce quindi al godimento della vita,
scegliendo di credere nelle foma, le bugie innocue che tutti sanno
essere tali.
Il narratore domanda a uno dei personaggi
che cosa ci sia allora di sacro per i bokononisti e ottiene due risposte. La
prima è: «Nemmeno Dio, per quello che ne so». La seconda: «Nient’altro che
l’uomo». Il bokononismo è una religione umanista, come ricordato nelle prime
pagine dei Libri: «L’uomo sbatté gli occhi. “Qual è lo scopo di tutto
questo?” chiese educatamente. “Perché, tutto deve avere uno scopo?” chiese Dio.
“Certamente” rispose l’uomo. “Allora lascio a te il compito di trovarne uno per
tutto questo” disse Dio. E se ne andò.»
Demolita la società, Vonnegut cancella
anche ogni conforto spirituale.
La scienza a tutti i costi
Nei primi capitoli di Cat’s Cradle,
il narratore viene accompagnato dal dottor Asa Breed, ex supervisore di Felix
Hoenikker, il defunto scienziato che contribuì alla creazione della bomba
atomica. Breed lo porta in giro per Ilium e alla General Forge and Foundry
Company, dove aveva lavorato Hoenikker.
C’è dell’autobiografia in questa parte.
Dopo la seconda guerra mondiale, Vonnegut aveva lavorato per il Dipartimento di
pubbliche relazioni della General Electric. GE aveva assunto scienziati per
fare ricerca pura; Vonnegut li intervistava.
Esiste un ulteriore retroscena. Negli anni
Trenta, H. G. Wells visitò quei laboratori: il chimico premio Nobel Irving
Langmuir gli suggerì l’idea di una storia su una forma di ghiaccio stabile a
temperatura ambiente. Wells non la sfruttò, ma il fratello maggiore di Vonnegut,
Bernard, era un collega di Langmuir e raccontò la vicenda a Kurt. Morti sia
Wells che Langmuir, Vonnegut riprese la storia.
Nel romanzo, il protagonista scopre
dell’esistenza del ghiaccio-nove, una struttura chimica alternativa dell’acqua,
un ghiaccio che congela all’istante l’acqua liquida trasformandola in
ghiaccio-nove. La sostanza è stata scoperta da Felix Hoenikker poco prima di
morire.
Il narratore conosce il figlio minore
dello scienziato, Newt, che racconta che il padre, il giorno in cui fu
sganciata la bomba su Hiroshima, stava giocando con dei lacci intrecciati alle
dita per formare delle figure, come la “culla del gatto” del titolo originale.
È quello che viene chiamato in italiano il gioco della matassa, una forma di
ripiglino.
Il passatempo assume un significato
metaforico, a indicare il fragile groviglio delle relazioni umane, pronto a spezzarsi
a ogni tensione. Le forme create con lo spago sono inoltre un inganno, come le
istituzioni che l’umanità ha creato con le proprie mani: la religione, la
politica, la scienza stessa.
Conscio di questa complessità, Felix Hoenikker
rappresenta lo scienziato irresponsabile che non si pone questioni morali e
continua la sua ricerca con ostinazione, costi quel che costi. Il personaggio è
ispirato proprio al chimico Langmuir, secondo le parole di Vonnegut: «Langmuir
era assolutamente indifferente agli usi che potevano essere fatti delle verità
che aveva scavato nella roccia e distribuito a chiunque fosse in giro, ma ogni
verità che trovava era bella di per sé, e non gliene fregava nulla di chi l’avrebbe
presa dopo.»
Stando alle parole del dottor Breed, Hoenikker
riteneva che il problema del mondo fosse che la gente era troppo superstiziosa
e poco scientifica. Il narratore non è del tutto convinto di questa spiegazione
e nasce un diverbio con Breed. Questi ritiene che la conoscenza sia il bene più
prezioso della terra e che i ricercatori siano pagati solo a questo scopo:
l’applicazione del metodo scientifico è fondamentale; lo scopo è la scoperta. La
tipologia di scienziato che il narratore critica è proprio questa: quella che
non si pone domande sulle conseguenze dei propri studi.
La verità nell’essere sinceri
Foto di Kurt Vonnegut nel 1972, tratta da un'apparizione televisiva su WNET-TV |
Nel corso degli anni Sessanta, le opere di
Vonnegut furono accolte a braccia aperte dalla controcultura sessantottina e
questo portò alla censura in molti altri ambienti. Per esempio, Mattatoio n.
5 (Slaughterhouse-Five, 1969), venne bruciato nel 1973 alla Drake
High School nel North Dakota. Lo scrittore scrisse al capo del consiglio scolastico:
«Se ti prendessi la briga di leggere i miei libri, di comportarti come
farebbero le persone istruite, impareresti che non sono sexy e non
argomenteresti sulla natura selvaggia di alcun genere. Chiedono che le persone
siano più gentili e responsabili di quanto spesso non siano. È vero che alcuni
dei personaggi parlano in modo grossolano […]. Queste parole in realtà non
danneggiano molto i bambini. Non ci hanno danneggiato quando eravamo giovani.
Sono state le cattive azioni e la menzogna a ferirci.»
In Cat’s Cradle, nei Libri di
Bokonon è scritto: «Tutte le verità che sto per dirvi sono spudorate
menzogne.» La differenza tra le due tipologie di bugia consiste nella
trasparenza e nell’essere espliciti o meno sulla natura di un’affermazione.
In un bel dialogo, un personaggio fa
capire al narratore che alla fine anche gli scrittori siano “venditori di
farmaci”. Lo stesso personaggio gli chiede se abbia scritto un libro per la
gente moribonda o addolorata, ma il protagonista dice di no, e l’interlocutore
gli suggerisce di tener conto di quella dritta, perché scrivendo cose del
genere si fanno soldi. Ecco, il narratore (e Vonnegut stesso) respinge l’idea
di scrivere un’opera gurista, un placebo che giochi sulle paure e le
sofferenze degli altri.
Parlando con il giovane Philip Castle, autore
di una storia di San Lorenzo, il narratore dichiara che, come scrittore, abbia
delle responsabilità: «No, non credo che la mia coscienza mi permetterebbe di
aderire a uno sciopero del genere. Quando un uomo diventa scrittore, credo si
assuma il sacro impegno di produrre bellezza e lumi e conforto al massimo della
velocità.» E quando al padre di Philip, il multimilionario Julian, viene
chiesto come morirebbe una persona privata della consolazione della
letteratura, questi risponde: «per pietrificazione del cuore o per atrofia del
sistema nervoso».
Forse può risultare tautologico per uno
scrittore, ma l’unico meccanismo che sembra funzionare ancora in questo mondo è
proprio la narrazione di storie. In coscienza, ovvero consapevoli della natura
fittizia e imperfetta delle parole.
In un vero e proprio “discorso della
montagna”, è di questo che si occupa Bokonon nel finale: come poter concludere
una volta per tutte il suo libro? Come non dare soddisfazione a «Tu Sai Chi?».
Cat’s Cradle è un’opera bizzarra
e risoluta, in cui a contare sono la spontaneità della prosa, la sincera vocazione
alla bontà, l’ironia corrosiva e, soprattutto, la capacità di porre le domande
giuste.
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Bibliografia e consigli di lettura
° Castellacci C., Biografie epistolari. Kurt Vonnegut, Doppiozero, 14 dicembre 2021
° Redazione, Cat’s Cradle, The New York Times, 3 giugno 1963
° Self J., If masterpiece means anything, it means Cat’s Cradle. The Kurt Vonnegut novels everyone should read, The Guardian, 11 novembre 2022
° Vonnegut K., Cat’s Cradle, Penguin, London, 2008
° Id., Ghiaccio-nove, Feltrinelli,
Milano, 2003
° Weehner B., Bokononism, Bernd Weehner’s Blog
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