Disordine mondiale. Memorie del Coronavirus. Parte II
Arnold Böcklin, La peste (1898) |
I numeri della sanità
Il ritratto
della 'CNN' aveva però un altro significato velato. Giorno dopo giorno, il
Coronavirus stava danneggiando l'economia italiana, in particolar modo il
"marchio" di "Made in Italy", noto nel mondo per diverse
eccellenze.
Quale
occasione più propizia per mettere la Penisola fuori dai giochi? Gli Stati
Uniti della presidenza Trump si erano già avventurati nella guerra commerciale
alla Cina; inoltre, il progressivo distacco tra USA e Stati europei poteva
essere in linea con una politica aggressiva in àmbito commerciale.
Un
fatto curioso. Un conto è essere messi in cattiva luce da un amico, con il
quale si può poi recidere i rapporti; un conto è essere attaccati da quelli che
dovrebbero essere i nostri fratelli, o cugini. Mi riferisco alla Francia e allo
spot che stava girando in quei primi giorni di marzo, che ritraeva un pizzaiolo
italiano che rilasciava sulla pizza il proprio muco verdastro e nominava così
il prodotto "Pizza Corona".
Ne
nacque un caso diplomatico. L'ambasciatore francese a Roma fu praticamente
costretto ad andare a mangiare una pizza con il ministro degli Esteri e il
video fu poi ritirato dalla tv francese. Nella nota dell'ambasciatore, più che
scuse ci furono spiegazioni: si trattava di satira. E sappiamo che i francesi
hanno una satira piuttosto pungente e legata allo black
humor, che al confronto gli inglesi impallidiscono.
Il
caso in questione in effetti fu ambivalente: da un lato, è possibile e anzi
doveroso ridere di qualunque – e sottolineo qualunque – cosa, poiché sappiamo
che cosa questo significhi in termini di libertà di espressione e che cosa
rappresenti la risata in una società che rischia di prendersi troppo sul serio.
In fondo, alla satira si può rispondere con la satira, no?
Dall'altro,
il tentativo silenzioso – da parte di Stati come Francia e Germania – di
approfittarsene della situazione non sembra del tutto da escludere, anche alla
luce di quello che sarebbe accaduto poco dopo, con il sostanziale rifiuto di
aiuti all'Italia e con l'assenza di una pur minima solidarietà europea.
E di
problemi ne avevamo già dagli ultimi giorni di febbraio, se solo calcoliamo che
la Lombardia, quale eccellenza della sanità italiana, annunciava di essere allo
stremo delle proprie capacità.
Sempre
a futura memoria, riporterò una serie di dati mostrati il 5 nel corso della
trasmissione 'Piazza pulita', su 'La 7', in modo da avere chiara la situazione
con cui l'Italia affrontò l'emergenza del Coronavirus in queste settimane.
La
prima fonte è 'CERGAS Bocconi'; i dati sono aggiornati al 2018. La domanda:
quanto spende l'Italia ogni anno per la sanità pubblica? 119 miliardi (6,8% del
PIL), mentre in Francia e in Gran Bretagna corrisponde al 7,5-9% del PIL.
La
seconda fonte è il 'Ministero della Salute' e ancora 'CERGAS Bocconi'. La
domanda: quanti sono i posti letto in Italia? 3,2 posti ogni mille abitanti,
mentre in Francia il rapporto è di 6 ogni mille e in Germania di 8 ogni mille.
Inoltre – si specifica – dal 2010 al 2018, sono stati cancellati 34.000 posti
letto.
La
terza fonte è il sindacato medico italiano 'Anaoo Assomed'. La domanda: quanti
medici mancano in Italia? Ne servirebbero circa 16.700; in particolare: 4.000
in medicina d'emergenza; 1.500 in anestesia, rianimazione e terapia intensiva.
Con
questi numeri e queste mancanze, dunque, ci avventurammo nell'emergenza.
I venti di guerra
Nel
frattempo che cosa stava avvenendo nel mondo ai primi di marzo? Perché l'emergenza
del Coronavirus aveva ormai occupato ogni spazio dell'informazione italiana e
tutto il resto era stato rilegato a nota a margine. Eppure non tutto si poteva
considerare una semplice nota.
Il 5, Giuseppe Didonna titolava sull''AGI': Erdogan e Putin trovano l'accordo per il cessate
il fuoco a Idlib. L'intesa serviva a porre fine alle ostilità scoppiate
nella provincia siriana e che aveva portato al conflitto l'esercito turco e
quello guidato da Assad. Raggiunto il cessate-il-fuoco, Vladimir Putin estese inoltre
l'influenza russa sull'autostrada M4, snodo strategico nel collegamento tra
Latakia e Aleppo.
Facciamo il punto. Sul presidente russo possono essere mosse
diverse critiche, in merito alla politica interna, alla corruzione, alla
questione dei diritti e via discorrendo. Ma – a voler essere onesti – in
termini di geopolitica Putin è forse il più importante statista degli ultimi
vent'anni. Per quanto – bisogna sottolinearlo – la concorrenza sia stata molto
misera.
Oltretutto, dovremmo dirci la verità: senza unità politica e
senza un unico esercito, quanto dovrebbe ringraziarlo l'Europa, ovvero tutti
noi?
Un altro punto fondamentale dello scenario internazionale
riguardava la questione migranti. Facendo pressioni sulla Turchia, i profughi
siriani furono letteralmente riversati dal governo di Ankara in Europa.
Il 4, 'Rai News' titolava: Migranti.
Polizia greca spara al confine turco, un morto e feriti. Erdogan attacca Atene.
I campi di Lesbo erano ormai al collasso; morti trentasei soldati turchi a
Idlib, Erdoğan aprì le porte dell'Europa all'esodo siriano, accusando l'UE di
non averlo sostenuto nella crisi siriana.
Quali brevi considerazioni si potevano fare in proposito?
Innanzitutto, che un criminale è un criminale. Ed Erdoğan non era nulla più di
questo. Ma chi lasciava campo libero a un criminale, non era forse un complice?
Perché la sensazione era che l'Europa stesse già vivendo quella immobilità
prima della tempesta che in tempi passati l'aveva portata al collasso.
La politica estera comune era inefficiente e non coordinata, ma
questo era evidente ben prima del recente "cambio della guardia":
semplicemente si fece finta di nulla, continuando a raccontarsi che andava
tutto bene e che le storture si sarebbero corrette, grazie – forse – ad una magica
mano invisibile alla Adam Smith.
Infine, incapaci di affrontare la diplomazia internazionale,
dalla situazione di rinnovata sudditanza agli Stati Uniti alla crisi siriana,
la politica europea non fu nemmeno in grado di coordinarsi a livello interno
per un corretto sostegno ad uno dei principali Stati membro.
Mentre accadeva tutto ciò, le notizie sul Coronavirus si
diffondevano in Italia più rapide persino del virus stesso, al punto da poter
parlare di iper-informazione. Un'informazione talmente eccessiva e ossessiva da
fare più danni che benefici. Non solo perché nella "corsa
all'ultim'ora" ci furono innumerevoli notizie diffuse senza una rigorosa
verifica e spesso rivelatesi false, ma anche perché si trascurò il peso più che
significativo dello scenario internazionale.
La bozza del decreto
Nella notte tra
il 7 e l'8 marzo fu diffusa la bozza del decreto che stabiliva la formazione di
diverse zone di emergenza sulla Penisola, con restrizioni ben precise relative
alle zone rosse.
Fu un
caso "tutto italiano". Chi la fece filtrare? Difficile capirlo, dal
momento che la bozza doveva essere passata per le mani di membri del governo,
dei vari governatori, dei loro staff e dei giornalisti che erano stati avvisati
in via confidenziale per poter favorire il loro lavoro di indagine.
Una
bella analisi fu fatta quel giorno stesso da Alberto Puliafito su 'Slow News.',
dal titolo Perché (soprattutto in
emergenza) una bozza non è una notizia. Non lo è perché trattandosi di «una
sospensione del normale vivere democratico» mette nel panico le persone; non lo
è perché le persone «sono coinvolte dall'emergenza in senso emotivo»; e non lo
è, ancora, perché «il decreto edulcora, alleggerisce il divieto della bozza».
Il
decreto certamente aprì una questione riguardante il valore delle libertà, ma
anche del senso civico dei cittadini odierni.
L'effetto
della "fuoriuscita" di questa bozza fu di mandare nel panico gli
abitanti delle neo-nate zone rosse. Da quel sabato notte cominciarono ad
accalcarsi persone alle stazioni ferroviarie (e non solo), nel tentativo di
fuggire, o per andare in zone ritenute sicure o per tornare nel proprio paese
di origine, tendenzialmente nel Meridione. Il risultato fu di incrementare
all'inverosimile il rischio di un contagio su più larga scala, coinvolgendo
regioni, come Calabria o Puglia, incapaci di fronteggiare un pericolo di tale
portata.
I
giornali cominciarono a titolare a ritmo incessante notizie di questo tenore: Coronavirus, "fuga" da Milano: la
stazione ferroviaria presa d'assalto da centinaia di persone (articolo
di Davide Falcioni, sul sito 'fanpage.it', risalente già alla sera del 7).
Ci fu
un vero e proprio black out: nella rete cominciò una bagarre tra chi insultava
coloro che erano in partenza; ci furono governatori, come quello della Puglia,
che presero sùbito provvedimenti per mettere in quarantena chi proveniva dal
Nord. C'erano anche coloro che partivano, nel silenzio, per ricongiungersi con
la famiglia e che proprio per questo forte legame affettivo rischiavano di
mettere in pericolo i propri cari. C'erano coloro che invece rimanevano saldi
al loro domicilio, consapevoli che non avrebbero potuto rivedere il marito, la
sorella, i genitori. Infine, non bisogna nascondere quel numero di
irresponsabili, che il giorno dopo furono ritratti alle piste sciistiche o
lungo la costiera ligure a prendere il sole.
Chi
partì non lo fece sempre per una ragione superficiale, né si può dire che in
ogni caso fossero tutti egoisti; pur recando un serio pericolo agli altri
cittadini, molti furono semplicemente presi dal panico. La bozza fuoriuscita
non semplificò certo le cose.
Su un
social come Twitter, il clima di tensione era palpabile: lessi persino un
utente che scriveva come fosse necessario utilizzare misure repressive e
schedature per chi non rispettasse le restrizioni, dal momento che queste
persone – è qui sta il punto – non erano idonee a conservare «la libertà che
gli è stata affidata». Pur condividendo il discorso di fondo, rimasi molto
colpito da quelle ultime parole: una libertà affidata? Ero convinto di essere
nato libero e che la libertà fosse una mia condizione esistenziale. La deriva che
stava prendendo la situazione non preannunciava nulla di buono.
Ciò
nonostante – come ribadito altrove – non era nemmeno possibile giustificare le
persone "perché hanno solo paura". Dirò una cosa che potrà sembrare
banale. Tra persone che chiedevano di limitare le libertà individuali,
vomitando il loro odio e ribadendo la loro presunta capacità di survivalisti, e
persone che se ne fregavano delle restrizioni, possibile che non vi fosse una
via di mezzo? Forse, in quegli attimi concitati, abbiamo compreso l'importanza
di quelle "inutili" ore settimanali di educazione civica; forse
abbiamo preso atto di come l'individualismo sia una gran bella cosa, ma che
anche la comunità in cui viviamo sia parte integrante della nostra identità, in
qualità di cittadini, figli, genitori. Essere umani liberi. Su dove quella
libertà finisca, poi, ce lo ricorda Martin Luther King: solo e soltanto dove
inizia quella altrui.
In
questo stato di cose, lessi una notizia di pura umanità, uno di quei piccoli
episodi che danno luce alla narrazione eroica di una storia: sul
'Messaggero.it' del 6, la notizia proveniva proprio da Wuhan: Coronavirus, paziente di 101 anni guarisce e
torna dalla moglie: «Devo prendermi cura di lei».
L’esercitazione NATO
In
quei giorni, si cominciò a parlare in modo più diffuso della 'Defender-Europe
20'. Di che cosa si trattava? Tra i primissimi articoli, ce ne fu uno di
Ferruccio Michelin, datato persino 21 dicembre 2019 e pubblicato su
'formiche.net'. Il titolo: Defender-Europe
20. A cosa punta la più grande esercitazione Nato degli ultimi 25 anni.
L'articolo parlava dell'arrivo di circa ventimila soldati statunitensi in
primavera, per un'esercitazione dimostrativa in funzione anti-russa e
anti-cinese.
Sulla scia delle
informazioni che erano già giunte dalla Russia e dalla Turchia, la notizia
faceva pensare a quanto fosse pericoloso dare tanto spazio a un argomento,
trascurando invece il fatto che si stessero disponendo le pedine della più
grande scacchiera degli ultimi settant'anni. Si comprendeva anche meglio
l'avvicinamento tra Putin e Erdoğan: Russia e Turchia avrebbero rappresentato a
tutti gli effetti la frontiera del nuovo conflitto con l'Oriente.
La notizia prese una vita
propria e si cominciò a collegarla ad altri argomenti, dal Coronavirus alla
sudditanza europea nei confronti degli Stati Uniti.
Pochi giorni dopo, il sito
'Bufale.net' cercò di fare chiarezza, in un articolo aggiornato all'11 marzo.
L'esercitazione era stata organizzata ben prima della diffusione del
Coronavirus; inoltre, nonostante l'emergenza, i militari risultavano addestrati
a situazioni di questo genere, che non avrebbero quindi portato ad alcun
contagio reciproco. Difficile anche pensare ad una persona media che durante
un'esercitazione militare si fosse ritrovata a stretto contatto con un militare
statunitense pronto a contagiarlo.
Il sito anti-bufale si
rifaceva ad un messaggio divenuto virale e che da interpretazioni geopolitiche
passava a vere e proprie fantasie non corroborate da una minima prova.
Complottismo, in poche parole. Confermato dagli sviluppi successivi, poiché
l'esercitazione fu ufficialmente cancellata.
Dunque nessun
super-soldato americano vaccinato in gran segreto. Tuttavia che cosa possiamo
tenere di valido rispetto a questo tema? Senza dubbio le considerazioni
geopolitiche, poiché è indubbio che i recenti accordi tra Putin ed Erdoğan, che
pur partivano da interessi divergenti, rispecchiavano le tensioni crescenti tra
Russia, Turchia e USA. Con uno sguardo alla Cina. Ricordando ancora una volta a
noi Europei la mancanza di un'autonoma politica estera comune e l'inevitabile
sudditanza agli Stati Uniti.
Le rivolte nelle carceri
Il Coronavirus
ha messo in luce le nostre debolezze e criticità, non solo in àmbito sanitario,
ma anche su altre questioni, come quella delle carceri. Con un virus molto
contagioso, che cosa poteva succedere in prigioni sovraffollate?
Il
giorno 8 marzo, 'Quotidiano.net' scriveva: «In tempi di coronavirus e misure
restrittive senza precedenti, sono in rivolta anche le carceri: ieri a Salerno,
oggi a Modena, Frosinone, Napoli, Poggioreale. La situazione si è rivelata
particolarmente critica nella città emiliana, dove si registra anche una
vittima: un detenuto è morto in circostanze ancora da chiarire».
Lo
stesso giorno, l'ANSA riportava: «Rivolta dei detenuti, che hanno preso in
ostaggio due agenti di polizia penitenziaria, poi liberati, nella casa
circondariale di Pavia Torre del Gallo. I detenuti hanno rubato le chiavi delle
celle agli agenti e hanno liberato decine di carcerati».
La
vera fuga di massa si realizzò però a Foggia: i fuggitivi costrinsero le poche
attività ancora aperte a chiudere; si registrarono aggressioni e furti di
vetture. Al 12, mancavano all'appello ancora sei detenuti.
Secondo
quanto riferito dal ministro della Giustizia al Senato, questo il bilancio
complessivo: parteciparono alle rivolte circa seimila detenuti; quaranta furono
i feriti della polizia penitenziaria; dodici i morti tra i detenuti, in cause
ancora da chiarire completamente, ma che sembrarono riconducibili perlopiù
all'abuso di sostanze rubate nelle infermerie.
Si
disse con ironia che a Foggia ormai vi fossero più evasi che abitanti. E non
c'era nulla da ridere. Faceva invece riflettere come in quella struttura si
trovassero seicentootto detenuti, con una capienza ottimale di sole
trecentosessantacinque persone.
Prima
di esprimere un qualsiasi giudizio morale, prima di sentenziare un verdetto su
ciò che andava fatto a questi detenuti, immergetevi per un secondo in una
situazione simile. Pensate di non avere più contatti con l'esterno e di essere
rinchiusi con altre centinaia di persone, a strettissimo contatto, mentre
girano voci confuse su un virus molto pericoloso. Come avreste reagito? Ad
ognuno, in coscienza, la propria risposta.
Un
conto è pagare per i propri crimini, e su questo non si discute; un conto è il disinteresse
che subirono da parte delle istituzioni, il cui compito era e resta la salute
di tutti i cittadini.
Il calcio e l’aggressività
Domandarsi,
come fecero in molti, perché tanta attenzione nei confronti del calcio,
significava non conoscere il Paese in cui si viveva. Inutile evidenziare come
la tradizione calcistica in Italia avesse antiche radici, per non parlare dei
consolidati interessi economici alle spalle.
Perché quindi tutto questo parlare della Serie A? Pur non
seguendo il calcio da anni, ho sempre vissuto in una nazione che faceva di
questo sport una questione seria. Era evidente che esso rappresentasse una
valvola di sfogo sociale non indifferente. Calcolate allora quello che stava
accadendo nelle carceri ed estendetelo ai vari gruppi ultras.
Oppure fate un altro parallelismo: che cosa pensate che
accadrebbe se togliessimo i social alle persone, in particolare ai giovani? E
lo facessimo magari in una situazione di quarantena, costringendoli a stare
chiusi in casa, assillandoli su come esistano alternative alla vita digitale.
Vi riderebbero, giustamente, in faccia. E non reagirebbero molto bene, perché
da nativi digitali certi media sono ormai una parte imprescindibile delle loro
vite.
Per queste ragioni, non era affatto così assurdo pensare che
dopo i detenuti, i prossimi a protestare sarebbero stati i vari gruppi ultras,
rimasti senza il loro giocattolo negli stadi.
In fondo, per tornare ancora alla rete, fu a seguito delle varie
restrizioni che le persone si riversarono in massa nei social, spesso
riscoprendoli. Fenomeni come il dissing si
estesero all'inverosimile, ma gli insulti in generale trovarono terreno
fertile. Alcune persone furono particolarmente bersagliate, al punto da
diventare virali.
Per esempio, ai primi di marzo, girava su Twitter il video di
una ragazza che su Instagram aveva sottovalutato il problema del Coronavirus e
che era stata pesantemente insultata per l'aspetto fisico (in quanto aveva le
labbra rifatte) e per il suo pensiero (sbagliato, si capisce), con tanto di
minacce di morte. Andando sul suo profilo, la ragazza chiedeva pubblicamente
scusa in una storia, in toni piuttosto tristi a leggersi.
Più mi ritrovavo il video oggetto di insulti in bacheca, più mi
sembrava un paradosso di cui nessuno volesse tener conto. Perché avrei evitato
di seguire il trend di insulti, anche gravi, a suo carico. Se il problema era
che fosse seguita, quindi la gente "le andava dietro", di sicuro dopo
quella gogna furono più quelli che la screditarono rispetto ai sostenitori,
ormai ridotti al silenzio non tanto (e non solo) dai fatti, ma
dall'aggressività delle altre persone.
La ragazza inoltre aveva fatto "ammenda" e inferire
ulteriormente non restituiva certo una bella immagine di coloro che
continuavano ad insultarla per sentirsi parte di una tendenza in corso. Senza
contare che condividendo il suo video le diedero molta più visibilità di quanta
ne avrebbe mai avuta altrimenti.
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