Ricchezza e povertà. Perle ai porci di Vonnegut

 


God Bless You, Mr. Rosewater, or Pearls Before Swine (1965) di Kurt Vonnegut è stato pubblicato tra quelle che considero le due principali opere dello scrittore, ovvero Cat’s Cradle e Slaughtherhouse-Five. Insomma, non una sorte facile. E il romanzo, pubblicato in Italia con il titolo Perle ai porci (Feltrinelli, 2005), è per certi versi derivativo del primo titolo e anticipatore del secondo.

Intendiamoci: l’opera mantiene comunque una sua forza interna, con una satira irriverente sulla disuguaglianza economica del sistema di classe americano, reputato stupido e selvaggio, nonché privo di senso dell’umorismo. È, insomma, un sistema antiumanista, fin dalle sue origini: «Così, un pugno di cittadini rapaci giunsero a controllare tutto ciò che in America valeva la pena di controllare. Così fu creato il sistema di classe americano: feroce, stupido, inutile, assolutamente ingiusto e privo di spirito. Sanguisughe venivano definiti i cittadini onesti, industriosi e pacifici, se chiedevano salari che consentissero loro di vivere. Ed essi videro che le lodi erano riservate a coloro che escogitavano il modo di farsi pagare somme enormi per commettere reati contro i quali non era stata approvata alcuna legge.»

Una sfiducia – quella di Vonnegut – che era espressione di una generazione nata da genitori che avevano vissuto la Grande Depressione e che avevano trasmesso ai figli il disincanto. Vonnegut come emblema – per semplificare – di coloro che nemmeno la presidenza di John Fitzgerald Kennedy aveva convinto a pieno, forse proprio a causa della sua involontaria incompiutezza.

 

Il ricco

 

Al centro del romanzo, c’è il rampollo di un’altra famiglia americana di successo: il multimilionario Eliot Rosewater, il quale, per uno scrupolo di coscienza, inizia a dispensare amore e denaro. Il personaggio ritorna in Slaughtherhouse-Five e in Breakfast of Champions e qui rappresenta il discendente che si emancipa da un retaggio familiare negativo, sancito da slogan come: «Arraffa a sfascio, o non avrai niente di niente.» Vi consiglio una bella analisi del personaggio su The Vonnegut Review.

Eliot è figlio del senatore statunitense Lister Ames Rosewater dell’Indiana, che aveva creato una Fondazione a suo nome affinché i discendenti non pagassero le tasse sulla tenuta di famiglia. L’ente è gestito da uno studio legale di New York e fornisce una pensione annua di 3,5 milioni di dollari a Eliot.

 

Questi riceve telefonate da tutti i cittadini che hanno bisogno di un aiuto o anche solo di una semplice rassicurazione: «Guardo questa gente, questi americani […] e mi rendo conto che non possono neppure prendersi cura di loro stessi, ormai, perché sono inutili. La fabbrica, le fattorie, le miniere al di là del fiume… ormai sono quasi completamente automatizzate. E l’America non ha bisogno di questa gente neppure per la guerra… non più, ormai. Sylvia, diventerò un artista.» In che senso? È presto spiegato: «Amerò questi relitti di americani, anche se sono inutili e poco attraenti. Questa sarà la mia opera d’arte.»

Vonnegut ritorna su un tema a lui caro, la sostituzione dell’uomo a opera della meccanizzazione, già affrontata nel suo primo romanzo, Player Piano (1952). Eliot riconosce che i suoi pensieri trovino corrispondenze in Marx o nella Bibbia, ma non si considera né un comunista, né un religioso. Vorrebbe che il governo spartisse meglio la ricchezza del Paese, in modo tale che le persone non si debbano ammalare per la mancanza di denaro: «Con il tempo, quasi tutti gli uomini e le donne diventeranno inutili in quanto produttori di merci, di viveri, di servizi e di altre macchine, e in quanto fonti di idee pratiche nel campo dell’economia, della tecnica e probabilmente anche della medicina. Perciò… se non riusciamo a trovare motivi e metodi per tesaurizzare gli esseri umani in quanto esseri umani, tanto varrebbe che li eliminassimo, come è stato suggerito così spesso.»

 

Tematica molto attuale, che una cinquantina di anni fa già anticipava l’importanza di attribuire un valore all’essere umano al di fuori della sua utilità, della sua prestazione o efficienza: questi fattori, rimpiazzabili dalla macchina, non faranno più la differenza nella definizione di una persona e, dunque, Vonnegut percepisce l’urgenza di una ridefinizione antropologica.

C’è però un avversario che mina ogni tentativo in tal senso: in Cat’s Cradle è il potere affiancato alle ideologie (il concetto di granfalloon); in Mr. Rosewater è il potere accompagnato all’egoismo, frutto dell’iper-individualismo. Con samaritrofia, l’Autore indica «la soppressione di una coscienza iperattiva ad opera del resto della mente», i cui processi si rifiutano di sottoporsi alla tirannia delle istruzioni coscienti. A quel punto, i processi mentali trovano una nuova guida nell’Egoismo Illuminato, che «dà ai processi mentali una bandiera, che quelli adorano a prima vista. La bandiera è essenzialmente la bandiera bianca e nera dei pirati, con queste parole scritte sotto il teschio e le tibie incrociate: “Va’ al diavolo, chiunque tu sia, io penso a me stesso!”»

 

Eliot riceve benedizioni dalle signore, dirige le sue energie sessuali verso l’Utopia, come riferisce al suo dottore. Finisce per essere considerato un guru e un guaritore: le persone dicono di volergli dedicare un monumento e che siano vive grazie a lui. Eliot fa il modesto, ma non prende davvero le distanze dall’immagine di sé che altri hanno costruito.

Le persone intorno a lui non lo aiutano a trovare un equilibrio e cercano di farlo ragionare “alla Scrooge”: donare un patrimonio è un’azione futile, perché la beneficenza trasforma «i poveri in piagnoni, senza renderli ricchi e neppure agiati», mentre il donatore e la sua famiglia diventano anch’essi poveri piagnoni. In particolare, il padre vuole fargli capire che essere considerato un guru non sia così buono, perché le persone finiscono per vampirizzarti, ovvero per relegarti a un ruolo standardizzato, a loro uso e consumo: «E non giocare a fare Dio, con la gente, altrimenti tutti verranno a strofinarsi sbavandoti addosso, ti porteranno via tutto quello che potranno prenderti, infrangeranno i comandamenti per il solo gusto di farsi perdonare… e ti insulteranno quando te ne sarai andato.»

Eliot, però, non gli dà ascolto e si vota alla povertà, pagina dopo pagina: quando, nel finale, dà séguito alla sua redistribuzione della ricchezza, conclude con le parole bibliche «E dica loro di crescere e di moltiplicarsi.»

 

Nel romanzo, il motore della trama è Norman Mushari, che abbandona il team legale dei Rosewater e contatta Fred, un lontano cugino di Eliot, a cui spetterebbe, senza saperlo, l’eredità della Fondazione. Mushari tenta di convincerlo a far passare Eliot per un pazzo, in modo da prendere il controllo dell’ente secondo la clausola che imponeva l’immediata espulsione dei funzionari dichiarati incapaci di intendere e di volere.

Eliot finisce al centro di una serie di dicerie e di maldicenze, con molte donne che sostengono di aver partorito un suo figlio. Alla fine, pur amareggiato, persegue il suo obiettivo iniziale e redistribuisce la propria ricchezza, a dispetto degli imbrogli.

 

Lo scrittore di fantascienza

 

Nel libro, torna anche il personaggio immaginario di Kilgore Trout, uno scrittore di fantascienza, che contribuisce al tentativo di far “rinsavire” Eliot. Ci vengono proposti i riassunti di cinque suoi romanzi, tra cui uno riguardante il pianeta Tralfamadore, centrale nelle opere di Vonnegut.

Sebbene God Bless You, Mr. Rosewater non sia un’opera di fantascienza in sé, attraverso Trout e lo stesso Eliot, l’Autore scrive un inno al genere, benché a modo suo: «Più tardi, Eliot ammise che gli scrittori di fantascienza non sapevano affatto scrivere, ma dichiarò che questo non aveva importanza. Disse che erano egualmente dei poeti, poiché erano più sensibili ai mutamenti importanti di quelli che scrivevano bene. “Al diavolo gli imbecilli che scrivono delicatamente di un piccolo frammento di una sola vita, quando ci sono argomenti come le galassie, gli eoni, e trilioni di anime che debbono ancora nascere."»

Inoltre, come nei migliori scritti autobiografici di Philip K. Dick, Vonnegut non rinuncia a una stoccata contro una società incapace di cogliere il valore dei suoi intellettuali: «Mi hanno appena informato che non è potuto venire [Trout] perché non poteva permettersi di lasciare il lavoro! E quale lavoro offre questa società al suo più grande profeta? […] Gli fa fare l’impiegato in un centro di vidimazione dei bollini-premio a Hyannis!».

 

Il libro non affronta soltanto temi politici generali, ma allude anche alla particolare situazione storica degli Stati Uniti, a seguito delle presidenziali del 1964. Il nome di Eliot fa forse riferimento a T. S. Eliot e alla sua visione della modernità come una terra desolata; il cognome, Rosewater, sarebbe una combinazione tra il liberale Franklin Delano Roosevelt e il conservatore Barry Goldwater.

È comunque il rapporto con il denaro a determinare le azioni dei personaggi; denaro che viene visto come una forza disumanizzante e fonte di sperequazione. Eliot è una sorta di Francesco d’Assisi laico, un Creso che rinuncia alla ricchezza. Vonnegut adotta una distinzione manichea per definire buoni i poveri e malvagi (oltre che stupidi) i ricchi. Non a caso, la presunta pazzia di Eliot si sostanzia nell’aiuto del prossimo, un qualcosa di davvero inaccettabile in una società proiettata al mero guadagno, a scapito della solidarietà.

 

Come venne notato all’epoca, il romanzo è più facile da recensire non per un critico letterario, ma per uno storico sociale. A livello stilistico, è costituito da capitoli brevi, che seguono un filo logico sottile, intorno al quale si avvolgono sottotrame e argomenti secondari non privi di interesse.

Sì, è un romanzo postmoderno, se ve lo state chiedendo, ma molto più facile da ricomporre rispetto agli altri due grandi titoli. È anche meno originale di questi, forse fin troppo realistico dietro quella patina sconclusionata che potrebbe confondere.

Nonostante una distinzione moralistica tra ricchi e poveri, Vonnegut è consapevole di come solo in un Paese libero e democratico come gli Stati Uniti le critiche siano possibili e le soluzioni percorribili: «D’accordo, siamo poveri! Questa è l’America! E l’America è l’unico posto, in questo triste mondo, dove la gente non dovrebbe sentirsi obbligata a scusarsi di essere povera. In America ci si dovrebbe chiedere, invece: “Quest’uomo è un buon cittadino? È onesto? Fa la sua parte?”.»

Vonnegut vorrebbe che gli Stati Uniti ritrovassero il valore dello stare insieme e Trout riassume il messaggio dell’opera con queste parole: «A me pare […] che la lezione più importante imparata da Eliot sia questa: la gente può servirsi indiscriminatamente di tutto l’amore che riesce a carpire. […] È una novità che un uomo sia riuscito a donare questa specie d’amore per un periodo così lungo. Se può farlo un uomo, forse possono farlo anche gli altri. Significa che il nostro odio per gli esseri inutili e le crudeltà che infliggiamo loro per il loro bene non fanno parte della natura umana. Grazie all’esempio di Eliot Rosewater, milioni e milioni di persone possono imparare ad amare e ad aiutare chiunque incontrano.»

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