Animismo e paranormale

Il paranormale

«Esiste il paranormale?» Sessant’anni dopo gli esperimenti di Rhine negli Stati Uniti, l’interrogativo viene puntualmente riproposto. I miracoli, quelli di Cristo, dei santi o dei saggi vengono sempre contestati in nome della logica e della ragione. La nostra visione del mondo fa perno su quanto asseriscono le scienze. Ora, queste scienze non si sono scrollate di dosso una notevole perplessità nei riguardi del cosiddetto «paranormale», a dispetto delle brillanti conferme sperimentali (Roux, 1986; Varvoglis, 1992; Broughton, 1995, eccetera).

Permane la contestazione, consolidata dall’assenza di spiegazioni coerenti nell’àmbito di questi fenomeni.

Non posso che riprendere, parola per parola, ciò che Jung sosteneva nel 1950:

«Nella mia veste di psichiatra e di psicoterapeuta sono venuto spesso a contatto con i fenomeni in questione e ho potuto in particolare accertarmi della loro importanza ai fini dell’esperienza interiore dell’uomo. Si tratta perlopiù di cose delle quali non si parla a voce alta per non esporsi al rischio di un’irrisione sconsiderata. Non ho mai smesso di stupirmi nel vedere quante persone hanno fatto esperienze di questo genere, e con quanta cura si è custodito ciò che è inspiegabile» (Jung, 1980, p.16).

E aggiungerò, come Cartesio nel 1646, in una lettera alla principessa Palatina:

«Oso credere che la gioia interiore disponga di un potere segreto con cui propiziarsi maggiormente la fortuna. Non vorrei scrivere questo a persone mentalmente deboli, nel timore di indurle ad una qualche superstizione… Tuttavia mi posso avvalere di un’infinità di esperienze per confermare la mia opinione…» (*)



L’animismo

L’animismo è quindi correlato, a tratti in modo sorprendente, al ragionamento logico e perfino alle statistiche. Dinanzi a un evento, l’occidentale non invoca sistematicamente le Forze, né deporrà un ex voto protettivo sulla porta del tempio sacro prima di tentare la benché minima azione. Ma non è la sua debolezza? Egli appare sprovvisto di risorse non appena si trova a dover affrontare una natura ostile: «Ho perso la fede alla vista della sofferenza di un innocente… del calvario di un neonato». Al contrario, la manipolazione delle «Forze» fa la fortuna di chi ci sa convincere. Ascoltiamo Anthony Robbins (1993) che afferma:
«Non adattate i vostri desideri alla realtà, ma la realtà ai vostri desideri». Egli elabora metodi fondati sulla Programmazione neurolinguistica (PNL), per indurre l’uditore a prendere in mano la sua condizione, a modificare radicalmente l’ambiente circostante. È piuttosto curioso constatare come non pronunci mai la parola «paranormale», pur inducendo, a quanto dice, il 95% dei suoi uditori a camminare con lui sul fuoco, e questo già dalla prima sera del seminario di tre giorni di cui è l’animatore.
Non è un caso. Per Robbins, come per l’animista più puro, il paranormale non esiste, è interamente «normale», in diretta continuità con l’esperienza più triviale. (*)

In effetti, a ben guardare, è da considerarsi ormai obsoleto il muro che divide il paranormale dal normale; tuttavia è ancora presto per abbatterlo. Dopotutto si sa, si teme ciò che non si conosce, e la paura derivata da questa ignoranza genera spesso la diffidenza se non la derisione degli scettici.
L’unione a cui alludo si può esemplificare attraverso questa osservazione: sappiamo che il nostro orecchio ha dei limiti nella percezione del suono, così come anche i nostri occhi, incapaci di osservare al di là del (limitato) spettro ottico, rimangono esclusi da tutta una serie di onde (dalle onde radio ai raggi gamma).

Ora, sia nel caso del suono che della vista, i limiti possono essere superiori o inferiori, ma comunque è innegabile che, per esempio, l’intero spettro elettromagnetico sia reale, per quanto non del tutto visibile. Allo stesso modo il paranormale può essere considerato come quel qualcosa non direttamente visibile dai nostri sensi, ma comunque presente. Questo per quale ragione?
Un motivo potrebbe essere che il paranormale, come dice il prefissoide “para”, esprime propriamente qualcosa di “vicino”, “affine”, “alterato” rispetto alla normalità (e non qualcosa di uguale alla normalità); di conseguenza cambia anche il tipo di approccio conoscitivo che si deve avere nei confronti di questa forma del reale.

Per conoscere, però, è importante ricercare in se stessi una nuova e maggiore sensibilità, oltre a non avere pregiudizi, che, è noto, fanno credere di pensare quando non è affatto così...

L’importanza del nome

L’animismo costituisce di fatto la base del nostro rapporto con l’ambiente. Esso è ovunque, costantemente. Un semplice esempio: dobbiamo sempre nominare le cose, gli esseri viventi e perfino gli uomini da cui siamo attorniati. In caso contrario, siamo perduti. Ora, il nome costituisce il primo passo nella Magia. Per poter agire sul piano magico, bisogna conoscere il nome della persona, il solo nome che la caratterizzi davvero. Nelle Antille, anche in tempi piuttosto recenti, capitava spesso che un uomo portasse un nome di donna per ingannare gli Spiriti. Lo «pseudonimo», diverso dallo stato civile, deve rimanere sconosciuto a tutti. Il «primitivo» non è una semplice vittima al cospetto della natura. Ogni suo gesto costituisce un metodo per orientare adeguatamente la rete delle Forze di cui è beneficiario. (*)


Soffermiamoci sull’importanza del nome

Secondo una tradizione antica, la città di Roma aveva tre nomi: uno sacrale, uno pubblico e uno segreto. Il nome pubblico è chiaramente Roma, unito a quello religioso di Flora o Florens, usato solo in occasione di determinate cerimonie sacre. Quello segreto, invece, è rimasto ovviamente sconosciuto.
Il motivo? Sempre nell’antichità (e ancora oggi, soprattutto in certe culture orientali, oppure si veda le già citate Antille) il nome di un oggetto o di una entità esprimeva l'essenza e l'energia dell'oggetto o entità che definiva. Nominare qualcosa equivaleva più o meno a renderlo vivo ed esistente e la conoscenza del nome significava avere il potere di influire, positivamente o negativamente, sull'oggetto di cui si possedeva la conoscenza.

Nel caso di una città il nome segreto corrispondeva, di solito, al nome segreto del Nume tutelare: nel caso di Roma, solo i Pontefici romani conoscevano il nome segreto della città, e nelle invocazioni si rivolgevano comunque a “Giove Ottimo Massimo o con qualunque altro nome tu voglia essere chiamato”.
Su questo principio, negli assedi veniva evocato il dio protettore della città assediata, promettendogli riti e sacrifici migliori, affinché abbandonasse la tutela della città nemica, e per questo motivo i romani conservarono con estrema cura il nome segreto della loro città.

*Tratto da: Philippe Wallon, Il paranormale.
Philippe Wallon è un medico psichiatra e ricercatore presso l’INSERM, che ha scritto diversi libri nel campo del paranormale.

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