Il criminologo Federico Varese racconta la Russia

 

Polizia russa a Cherkizovskaya, Mosca.

La Russia in quattro criminali (Einaudi, 2022). Il titolo di questo saggio è chiaramente provocatorio; cerchiamo però di scoprirne meglio i contenuti. Varese è un noto criminologo italiano, esperto di crimine organizzato, e direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Oxford dal 2021. La domanda che si pone è come sia possibile che la Russia sia passata dal caos politico-economico degli anni Novanta all’attuale dittatura, che all’idea marxista-leninista ha sostituito quella nazionalista e imperialista.

Varese ritiene che vi sia una correlazione tra la criminalità e l’inefficienza delle istituzioni e degli apparati russi. Per esempio, la gang di Vjačeslav Ivan’kov era una protomafia che offriva protezione a personaggi potenti che non potevano seguire vie legali per i loro affari. Varese sottolinea poi la vera e propria collaborazione tra lo Stato e la criminalità di tipo informatico: così hacker come Nikita Kuzmin hanno potuto operare in libertà, ma fuori dal territorio della Federazione e sempre pronti a servire il regime in caso di necessità.

 

Nell’universo criminale russo c’era (e sopravvive ancor oggi) una confraternita di “ladri-in-legge” (vory-v-zakone), che sfidò il potere sovietico. La seconda guerra mondiale provocò una frattura nel gruppo, tra chi scelse di entrare nell’unità dell’esercito costituita da detenuti dei gulag e chi rimase tra le fila dei vory “onesti”, ovvero coloro che si rifiutarono a tutti i costi di servire lo Stato.

Qualcosa di analogo è accaduto nell’odierna guerra in Ucraina, con i criminali che hanno scelto di (o sono stati costretti a) entrare nell’esercito russo, tra le fila della Wagner, mandati come carne da macello al fronte. Già negli anni Cinquanta la confraternita era stata decimata, ma i sopravvissuti riuscirono a reclutare nuovi adepti tra gli anni Sessanta e Settanta, con l’allentamento del regime carcerario. Tra di loro c’era Ivan’kov.

 

Prima le politiche di Gorbačëv e poi l’anarchia degli anni Novanta permisero la crescita di un fiorente mercato nero. La privatizzazione caotica durante la presidenza di Boris El’cin distrusse il valore del rublo e impoverì anche i funzionari dello Stato, tra cui i poliziotti, che cominciarono a vendersi al miglior offerente. In un discorso del 1993, lo stesso presidente descrisse la Russia come «una superpotenza della criminalità organizzata».

Tra i criminali più comuni, c’erano ceceni, azeri e vory della vecchia guardia come Ivan’kov; non mancavano poi figure quali pugili o reduci dell’Afghanistan, che venivano reclutati in varie formazioni criminali. Secondo il ministero dell’Interno russo, nel 1993 si contavano ben tremila gruppi di crimine organizzato sul suolo russo. Cominciò allora una vasta guerra alla mafia, ovvero una lotta per affermare i gruppi di interesse vicini al governo.

 

Verso la fine degli anni Novanta, dalle ceneri di quel decennio turbinoso, emerse una nuova organizzazione criminale, che aderiva ai principî dei vory: era suddivisa in brigate (brigady) autonome, che operavano sotto il nome di Fratellanza del Sole. Un consiglio di dodici persone governava l’organizzazione, che poteva riunirsi in diverse parti del mondo. Ivan’kov affiliò il suo gruppo alla nuova struttura, per contrastare la concorrenza di azeri e ceceni, ma all’improvviso fuggì negli Usa.

Un filo rosso lega l’ex presidente Donald Trump al mondo sovietico e post-sovietico. Quando le banche occidentali erano restie a prestargli denaro, Trump riceveva fondi dall’Urss: la Trump Tower aprì nel 1983 e i primi clienti furono russi che pagavano in contanti. L’anno successivo, l’ex presidente vendette cinque appartamenti a David Bogatin, emissario della Fratellanza del Sole, per sei milioni di dollari. Le proprietà furono impiegate per frodi, contrabbando di benzina e riciclo di denaro. Nel 1987, Bogatin fu condannato a due anni per evasione fiscale.

A metà anni Novanta, Ivan’kov fu rintracciato dall’Fbi in un appartamento della Trump Tower, ma quando gli agenti, guidati da James Moody, si prepararono ad arrestarlo, il malavitoso era svanito. Grazie a una soffiata, Moody scoprì che Ivan’kov si nascondeva al Taj Mahal di Atlantic City, anch’esso proprietà di Trump. Dalle indagini emerse che il Taj Mahal era impiegato per riciclare denaro russo: nel suo primo anno e mezzo di attività, aveva già ricevuto centosei multe per la violazione della legge sul riciclaggio. Alla fine, Ivan’kov fu arrestato a Brighton Beach.

Se non è possibile accusare un imprenditore edile di essere responsabile di ciò che fanno i suoi clienti, è pur vero che il legame tra clienti russi e attività trumpiane è sempre risultato sospetto.

 

Il secondo criminale raccontato da Varese è Boris Berezovskij. In epoca sovietica, l’uomo venne assunto all’Istituto di Scienze di controllo di Mosca, centro per la gestione dei problemi del sistema produttivo. In pochi anni, divenne direttore del gruppo: Berezovskij si occupava anche di trovare casa, medicine e auto per i collaboratori.

Nei primi anni Novanta, Berezovskij fu coinvolto nelle dispute per il controllo di Avtovaz, nella città di Togliatti, un polo automobilistico importante in Russia. La guerra tra bande portò a circa quattrocento morti in un decennio, a partire dal 1992. I giornalisti che aprirono un’inchiesta subirono minacce e attentati, come quello mortale che colpì nel 2002 il giornalista Valerij Ivanov.

Molti in Russia criticano El’cin per aver introdotto le liberalizzazioni negli anni Novanta, ma in realtà furono uno specchietto per le allodole, come le aperture democratiche. Il presidente puntava, già prima di Vladimir Putin, a ricreare una società autocratica. Cercò di ridurre al silenzio il Parlamento, composto da riformatori gorbačëviani, vecchi comunisti e liberali. El’cin si era opposto alla liberalizzazione dei prezzi del 1991, aveva distrutto i risparmi russi e si opponeva al piano di privatizzazione del tecnocrate Anatolij Čubajs.

 

Nel 1993, la crisi politica russa era giunta al culmine. Il 22 marzo, El’cin stilò un piano segreto per un colpo di Stato, qualora il Congresso lo avesse incriminato. Il decreto presidenziale per sciogliere il Parlamento era pronto, come le unità speciali dotate di gas da immettere nell’aula del Parlamento. Il 28 marzo, gli oppositori non ottennero la maggioranza e il golpe venne congelato. La violenza era però dilagata nella capitale e El’cin mandò i carri armati per le strade. Questi spararono sul Parlamento, seguiti dalle forze speciali che occuparono il palazzo. Due mesi dopo, El’cin riuscì a far adottare una nuova costituzione, che accentrava i poteri del presidente, esautorando di fatto la Duma.

Nel 1996, in elezioni molto sospette, El’cin venne rieletto anche grazie al supporto di Berezovskij e, in un suo discorso al Consiglio federale, dichiarò che la Federazione aveva bisogno di una nuova ideologia ufficiale per garantire la sopravvivenza della nazione. In quell’epoca, Berezovskij divenne padrone di importanti settori dell’industria sovietica: controllava la tv di Stato, la compagnia petrolifera Sibneft, l’Aeroflot. Compì diverse truffe ai danni dei russi, promuovendo nuove attività finanziarie, e alla fine usò parte del denaro che aveva ottenuto dai certificati Avtovaz (acquistati dai cittadini) per comprarsi il 34% dell’azienda. Il Cremlino continuò ad appoggiarlo e non venne mai incriminato per la truffa. Berezovskij fu uno dei principali responsabili del fatto che il libero mercato e la democrazia non videro la luce in Russia. Le privatizzazioni degli anni Novanta favorirono una ristretta cerchia di oligarchi, che venne ereditata e modificata dalla successiva presidenza di Putin.

 

Quando questi giunse al potere, cominciò subito a ridurre le libertà civili e democratiche. Varese cita alcuni punti di svolta in tale direzione. Nel 2004 abolì le elezioni per i governatori regionali e per i senatori, i quali vennero nominati da funzionari locali. Dopo le proteste per la sua rielezione nel 2012, introdusse la legge che limitava le attività degli “agenti stranieri”, includendo nell’espressione quotidiani, televisioni, siti internet, ong e comuni cittadini che diffondevano informazioni. Per intenderci, è questa la legge analoga contro la quale si sono opposti migliaia di georgiani a marzo 2023.

Non era finita. Nel 2013, venne introdotta una legge che proibiva il “proselitismo” a favore delle cause gay. Nel 2016 fu modificata la legge sull’estremismo e sul terrorismo, facilitando il controllo di internet. Nello stesso anno, venne limitata la libertà di culto da parte delle organizzazioni religiose non riconosciute dallo Stato. Nel 2017, una legge decriminalizzò l’abuso fisico in àmbito domestico.

Nell’ultimo decennio, la repressione putiniana si è estesa anche a prigionieri politici e a criminali, tanto che nel dicembre 2021 la stessa fratellanza dei ladri-in-legge ha denunciato le vessazioni subìte.

 

Qui si inserisce la storia del criminale informatico Sergej Savel’ev, che all’Ospedale regionale Turbercolosi numero 1, noto come Otb-1, ottenne compiti amministrativi. Tra le mansioni, quella di scaricare video registrati da fotocamere indossate da agenti di servizio.

Savel’ev trovò il modo di farli uscire dal carcere e il 10 novembre 2021 comparvero sul canale YouTube di Gulagu.net. Le vittime vengono tenute ferme e stuprate; ogni resistenza è inutile e le urla sono strazianti. In un video del 25 giugno 2020, un uomo con le mani legate alla branda viene stuprato da una guardia senza preservativo.

Tra le vittime ci sono anche membri dei ladri-in-legge e questo ha portato a una novità: in passato, lo stupro in carcere li avrebbe resi “intoccabili”; oggi, invece, la diffusione del fenomeno ha portato a un’inedita forma di solidarietà interna.

Un’ulteriore svolta è avvenuta con l’invasione della guerra in Ucraina, nel 2022. Le autorità militari, in cerca di reclute nelle carceri, aggiungono questa dicitura nella cartella di chi si rifiuta di andare al fronte: “Disposto ad assumere alcool e droghe, a commettere furti e a partecipare a orge anali.” L’ultima espressione è un modo per farli inserire nella casta degli intoccabili, ancora riconosciuta da alcuni criminali.

La storia di Savel’ev ha mostrato che all’aumentare della repressione di un regime, a pagarne le spese sono anche i criminali e i detenuti politici. Le vessazioni, sempre esistite in Russia, sono ormai sistematiche e i video diffusi dall’hacker hanno dimostrato che a prenderne parte sono i più alti livelli della gerarchia carceraria.

 

Per finire, Varese racconta del criminale informatico Nikita Kuzmin, creatore del virus Gozi, base di quasi tutti i successivi virus informatici. A lui si possono far risalire alcune tra le più significative “carriere” in questo campo.

Dopo un trentennio di attività informatiche criminali, a inizio 2021 alcuni nodi vennero al pettine. Alcuni hacker accusarono il gruppo di hacker russi Bugatti di avere al suo interno infiltrati dell’Fbi e di altri Paesi. Nello stesso periodo, il gruppo Conti, noto anche come Wizard Spider, diffuse le prove del patto tra Stato russo e criminalità cyber. Conti è il secondo gruppo hacker al mondo per numero di vittime di estorsioni informatiche, con un fatturato di 180 milioni di dollari nel 2021: risultava quindi curioso che avesse messo in luce tale rapporto. Poco dopo la diffusione di informazioni, un secondo messaggio condannava la guerra in Ucraina. Il 27 febbraio 2022, un profilo Twitter caricò l’archivio completo di tutte le conversazioni interne del gruppo da gennaio 2021 fino a oggi. Oltre sessantamila messaggi di chat che gli esperti di sicurezza informatica stanno ancora analizzando, ma che hanno già evidenziato la collusione dello Stato russo.

Per esempio, quando le autorità statunitensi chiedevano assistenza a quelle russe per un’indagine, gli hacker di Conti venivano avvisati in anticipo che l’indagine non avrebbe portato da nessuna parte. O ancora: nell’aprile 2021, l’Fsb chiese a Conti di hackerare un collaboratore del sito di notizie Bellingcat, alla ricerca di un file sull’indagine ufficiale dell’avvelenamento di Aleksej Naval’nyj.

La fuga di informazioni dal gruppo è stata quindi una conseguenza della guerra in Ucraina, dato che tra le sue fila vi erano cittadini o simpatizzanti ucraini.

 

A questo punto Varese tra le proprie conclusioni. L’attività criminale di Ivan’kov si inserisce nel periodo tardo sovietico, con un regime che inizia ad allentare la propria morsa sull’economia, passando per le riforme di Gorbačëv e sfociando nel far west degli anni Novanta, a riprova che la liberalizzazione economica doveva essere accompagnata da leggi e strutture amministrative che regolassero le dispute tra proprietari.

In secondo luogo, Varese porta avanti la tesi che El’cin e i suoi abbiano cercato di instaurare un capitalismo autoritario, con elementi tratti dall’Uss. Non a caso quattro dei primi ministri scelti dal presidente provenivano dall’ex Kgb e avevano dunque competenze specifiche nel controllo delle masse. L’Occidente commise l’errore di credere nella buona fede della transizione democratica russa, facendo finta di non vedere che uomini come Berezovskij stavano condizionando le elezioni e le scelte politiche. Fu lui, per esempio, a creare il mito di una cospirazione cecena, che spinse il regime a una guerra criminale.

L’avvento di Putin al potere acuì questa situazione. La Russia si modernizzò fino al 2012, ma al contempo si rafforzarono lo Stato centrale e l’illegalità. Secondo i dati dell’istituto di ricerca di Mosca Indem, tra il 2001 e il 2005 il valore delle tangenti è aumentato di quasi dieci volte, mentre dal 1996 al 2021 l’indice di corruzione russo è rimasto praticamente invariato.

Curiose anche altre percentuali: tra il 1995 e il 2011, la percentuale di chi era a favore di un sistema politico democratico era aumentata dal 45 al 68%; nel 2012, il 70% concordava sulla necessità di avere un’opposizione politica, la stessa percentuale era a favore dell’Ue e il 60% degli Usa.

La modernizzazione russa venne vista allora come un pericolo per l’egemonia politica e Putin cominciò ad accusare gli Stati Uniti di interferire nella politica interna. Dal 2013, il Pil russo iniziò a contrarsi; nel 2015, l’inflazione era al 13% e i redditi reali cominciarono a scendere per la prima volta dal 1999. Putin aveva scelto una volta per tutte la via autoritaria, trascinando con sé l’economia e la popolazione russe.

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