Tre momenti di un luogo comune

Thomas Cole, The Titan's Goblet (1833)




















Nell’inestricabile intrigo di emozioni, si inizia con un luogo comune. Dove gli occhi non vedono, poiché nessun passo ha portato a conoscere al di là del prevedibile. Non c’è nulla da rimpiangere, si guarda avanti con quel che resta e gli si dà valore. Se non altro perché oltre a ciò che resta non siamo più esseri umani completi.

Manca l’emozione passata e non vissuta, manca il sentimento provato e sepolto sotto tonnellate di cemento. Dimentichiamo di vivere e di aver vissuto. Si continua con un luogo comune. Dove mancano i compagni di viaggio o sono arrivati troppo tardi. Le coincidenze sono perdute, si cambia treno. Non è mai destino, o lo è sempre. Sullo sfondo di ogni storia c’è la libertà di scelta, ma la verità è quella; si sceglie se affrontarla o guardare altrove.

Il progetto è tutto nero, su una base musicale lontana, quel nero si trasforma per un obbligo che non avrebbe mai accettato. Il sole è tornato a risplendere sulle pallide teste appena affacciate all’uscio dell’inverno. La voce dell’angoscia, che tanto ha aiutato a produrre, forse rientrerà nel silenzio.
Si finisce sempre con un luogo comune.
E non ci sono metafore.



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