Il grado zero dell'economia

Debito pubblico italiano a più di 2100 miliardi di euro.
In questi giorni, in Grecia, Alexis Tsipras è stato eletto primo ministro. Alcuni dicono che sia favorevole a Putin: potrebbe ritrattare le sanzioni verso Mosca (per la questione ucraina), in cambio dei capitali russi per la copertura di parte del debito greco.
Putin punta sui movimenti euroscettici, basti pensare anche al legame con la Lega Nord. Giusto o sbagliato che sia, penso ad una cosa: ciò che ci frega è il non essere uniti.

Io non conosco nel dettaglio le questioni economiche, ma da semplice essere umano dotato di ragione, mi è capitato di pensare ad un possibile “grado zero” dell’economia. Cioè un’economia che, in ogni Stato indebitato, riparta da zero; cancelli i debiti; cancelli un sistema malato e dia una seconda possibilità a quei cittadini che hanno ereditato un peso che non avevano richiesto.

Prima degli Stati l’essere umano viveva in aggregazioni più o meno numerose; viveva, pur nelle difficoltà del caso, una “vita” vera e propria. Lo Stato divenne un adiuvante, una forma di coesione più ampia, che garantisse giustizia, sicurezza e maggiore stabilità tramite la legge. Oggi la tendenza è invertita: lo Stato (economico soprattutto) ha bisogno dei cittadini per sopravvivere. Ma, poiché lo Stato è nato tramite i cittadini, questi possono in qualunque momento ritrattarne i termini. “Lo Stato siamo noi” si suole dire, ed è così, ben al di fuori di ogni pretesa populista.

Un grado zero dell’economia non significherebbe cancellare i diversi gradi di progresso (!) di ogni singolo Stato, poiché - in base all’entità del debito e ad altri fattori (cultura, ricerca, servizi, corruzione, …) opportunamente messi in relazione – si potrebbe garantire un'equa ripartizione, di merito, della “ricchezza di partenza”.
Questo, ovviamente, prevede un’unità di intenti di vari Stati (per esempio europei); prevede banche sottoposte al controllo statale (cioè dei cittadini), non viceversa come accade oggi. Oppure, prevede che le banche non siano meccanismi inflessibili, ma meccanismi volti a servire i bisogni degli uomini, a patto che da entrambe le parti vi sia senso della misura e il concetto fondamentale di sostenibilità.

Questi fattori rendono quasi un’utopia una tale proposta, ma uno di essi può rivoltare la situazione. L’unità.
Perlomeno europea: una rivoluzione che non parta dai rappresentanti del popolo, ma dal popolo stesso. Un popolo che ora non esiste in senso europeo. Una rivoluzione pari a quella americana, francese, italiana del Risorgimento, che riproponga quel “grado zero”, dove il destino di un popolo è nelle sue mani e non è già segnato da infiniti decenni di schiavitù economica, che - lo ripetiamo - gli eredi di un popolo non meritano di subire "di riflesso".

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