Diario di viaggio. Napoli
Domenica 20 luglio 2014
Margellina e prime
sensazioni
Nell’ambito del mio soggiorno a Napoli, la prima opera d’arte
in cui mi sono imbattuto è stata la fontana del Sebeto (o del Fonseca). Situata
alla fine di via Caracciolo, venne costruita nel 1635, sebbene si trovi in riva
al mare solo dal 1939.
La fontana presenta un arco, al centro vi è una statua
del Sebeto, personificazione di un antico fiume di Napoli. Sul basamento
poggiano tre vasche, mentre ai lati due obelischi e due tritoni completano l’opera.
In alto, infine, risaltano gli stemmi ormai spenti del re e della città.
La prima immagine è quella di abbandono. Erbacce che
spuntano dalla cima, il grigiore accentuato dell’inquinamento spezzato da
qualche escremento di piccione. Non è difficile ripensare al recente crollo
della Galleria Umberto I per capire che stiamo parlando del medesimo problema:
l’incuria.
La fontana viene spesso usata per fare foto di matrimoni,
ma risulta difficile pensare ad una degna cornice senza utilizzare filtri e
ritocchi vari.
La sensazione, anche camminando per Mergellina, la famosa
costa napoletana con lo sfondo del Vesuvio, è quella di una cartolina spenta,
come mi è stato suggerito.
Palazzi crepati ed appassiti, tranne per le ambasciate e
per i luoghi di villeggiatura di qualche ricco straniero. Alcuni spogliatoi in
legno dei decenni passati, dall’intonaco ormai scrostato, utilizzati come
deposito di attrezzi o abbandonati a se stessi. Un piccolo straccio di sabbia,
poi l’infinita schiera di navi di lusso a dare apparente nuovo lustro alla
città.
Lunedì 21 luglio 2014
Dallo Spaccanapoli
a Piazza del Plebiscito
Decidiamo di percorrere il cosiddetto “Spaccanapoli”,
ovvero il percorso turistico che attraversa buona parte dell’antica Neapolis. Si
arriva in Cumana vicino a Piazza del Gesù Nuovo. Lì visitiamo la prima chiesa,
che contiene voti e oggetti appartenuti a Giuseppe Moscati, un medico del XX
secolo, canonizzato nel 1987 per le sue opere caritatevoli.
Si continua in via Benedetto Croce, visitando la medievale
Basilica di Santa Chiara, semidistrutta durante i bombardamenti del 4 agosto
1943. Vale la pena ricordare una canzone scritta in memoria di questo evento, che
richiama la coscienza a che cosa Napoli rappresenti anche oggi rispetto al
passato:
«Munastero 'e Santa Chiara / tengo 'o core scuro scuro... / Ma pecché, pecché ogne sera, / penzo a Napule comm'era, / penzo a Napule comm'è...»
In questa basilica è presente anche la tomba di Salvo D’Acquisto,
che mi ha portato ad una constatazione: ovvero che in mezzo a tanti nobili,
uomini di Chiesa e ricchi proprietari dei secoli che furono, probabilmente l’unica
tomba che meriti più delle altre di stare in un luogo diverso dal solito
cimitero sia proprio quella di Salvo D’Acquisto.
Proseguiamo fino a piazza San Domenico Maggiore, in cui
il costo del biglietto vale davvero tutto lo spettacolo. Visitando la Cappella
Sansevero vediamo il celebre Cristo velato di Giuseppe Sanmartino e, scendendo
una moderna scala a chiocciola, le cosiddette “macchine anatomiche”, i due
corpi scarnificati che conservano intatto il sistema circolatorio. Frutto di un
esperimento del 1763 di Raimondo di Sangro, principe di San Severo, e dell’anatomista
palermitano Giuseppe Salerno, questa parte dell’itinerario è certamente la più
carica di suggestioni legate all’esoterismo e all’alchimia.
Usciti dalla Cappella Sansevero, giungiamo in piazzetta
Nilo - dove visitiamo un’altra piccola chiesa - per poi attraversare largo
Corpo di Napoli, via San Biagio dei Librai ed incominciare una salita. La via è
stretta, da entrambi i lati ci sono bancarelle e presepi che si rifanno alla
famosa tradizione settecentesca. Non mancano le caricature fatte a mano di
politici e personalità contemporanee, che dimostrano un’antica vis comica
tramandata dalla tradizione popolare.
Alla fine della salita si arriva a piazza San Gaetano,
con la Basilica di San Paolo Maggiore, costruita sui resti del tempio dei
Dioscuri, di cui restano due colonne di ordine corinzio.
Una guida romana, dopo averci fermato e spiegato
brevemente la storia di quella zona, si accontenta di un sorriso. Quella figura
mi colpì, per una ragione forse banale, ma non riuscivo a capire perché
avessero dovuto scegliere un romano per spiegare la città di Napoli, quasi non
esistessero napoletani in grado di farlo. Sembra incredibile, ma ho constatato
che in effetti molte persone che vivono in una grande città storica spesso non
hanno visto che una piccola e misera parte di quella città, restando del tutto
sorpresi di certe bellezze sconosciute fino a trenta, quaranta anni prima.
Ad ogni modo, a piazza San Gaetano scendemmo nella Napoli
sotterranea, insieme ad una guida turistica (questa volta della zona). Napoli sotterranea,
come la parte in superficie, dimostra con la propria storia la mescolanza di
genti diverse in un medesimo luogo. Mi spiego: nel primo “bacino”, utilizzato
prima dai greci, poi dai romani e infine dai borbonici, si è trovato spazio,
durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, per riparare i
cittadini.
Stando in quei cunicoli bui e in quelle stanze umide
(dove si trovano ancora dei giochi del tempo), mi sono immaginato quelle
persone sedute ad aspettare. Persone misere appoggiate a una parete, lo sguardo
rassegnato, nello stesso punto in cui duemila anni prima un acquedotto romano
mostrava alla luce del sole l’ennesima grandezza della nostra penisola.
Una volta ritornati alla luce del sole per la parte
finale del giro turistico (un teatro romano su cui hanno costruito nuovi
edifici abitativi nel corso dei secoli e che oggi è visibile solo a pezzi),
abbiamo mangiato la pizza napoletana nel luogo in cui - dicono - sia stata
creata la prima pizza.
Dopo pranzo, discendendo la salita, abbiamo raggiunto il
Duomo, che purtroppo era chiuso e contiene il tesoro di San Gennaro.
Proseguendo per via Toledo, tra negozi e ristoranti,
siamo arrivati fino alla Galleria Umberto I, dove in questi giorni – in seguito
alla morte di una ragazzo per il crollo – la zona è recintata. Si possono
ancora vedere alcuni residui del crollo, che coprono un raggio abbastanza
ampio, e una serie di fiori appassiti e lettere rivolte alla vittima. Tre parole
in quel clima: vivere, soffrire, morire. Sembra la condanna di un’intera
popolazione, da secoli: una condanna non solo frutto di soprusi dall’alto, ma
anche e soprattutto di rassegnazione dal basso. Perché questa città un tempo
ebbe i suoi intellettuali, i suoi eroi, e chi nel famoso 1848 mosse l’insurrezione.
Come ultima tappa, poco dopo la Galleria, arrivammo a
Piazza del Plebiscito. La piazza è vicina a lungomare e, come per la fontana
del Sebeto, la prima sensazione è quella di abbandono. Di fronte alla Basilica
reale pontificia di San Francesco di Paola c’era un gruppo di operai in
sciopero. Presso le colonne della basilica, una serie di transenne e di sacchi
che indicavano dei lavori non in
corso. Dalla pavimentazione della piazza spuntano numerose erbacce. I basamenti
delle statue equestri di Carlo III di Borbone (fatta interamente da Antonio
Canova) e di Ferdinando I presentano vistosi graffiti che un turista orientale,
cautamente, evita di fotografare, concentrandosi sulla parte superiore delle
opere.
La sensazione è quella che si prova nello scoprire delle
rovine fuori città, in aperta campagna, con la natura che cerca di riprendere
il proprio posto: la realtà è che siamo nel pieno centro della città.
Considerazioni su
Napoli
Alcune rapide osservazioni le ho già fatte in precedenza.
Ma vorrei riportare una serie di riflessioni di Johann Wolfgang von Goethe,
contenute nel noto Viaggio in Italia.
Riferendosi alla città di Napoli, afferma: «Qui l'uno non sa nulla dell'altro e
notano appena che corrono qua e là gli uni accanto agli altri. Vanno e vengono
ogni giorno in un paradiso, senza troppo guardare attorno a sé. E se l'abisso
infernale che hanno vicino va in furore, si ricorre al sangue di San Gennaro,
come tutto il mondo, anche contro il diavolo e la morte, ricorre o vorrebbe
ricorrere al sangue.»
E ancora: «L'Italia è
ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade,
ancora truffe
al forestiero, si presenti come vuole.
Onestà
tedesca ovunque cercherai invano,
c'è vita e
animazione qui, ma non ordine e disciplina;
ognuno pensa
per sé, è vano, dell'altro diffida,
e i capi
dello stato, pure loro, pensano solo per sé.»
Tuttavia questo atteggiamento si sfuma quando scrive: «Trovo nel popolo napoletano la più
vivace e geniale industria, non per diventare ricchi, ma per vivere senza
preoccupazioni.», per poi giungere, il 27 febbraio 1787 ad alcune
considerazioni meno dure: «Oggi
mi son dato alla pazza gioia, dedicando tutto il mio tempo a queste
incomparabili bellezze. Si ha un bel dire, raccontare, dipingere; ma esse sono
al di sopra di ogni descrizione. La spiaggia, il golfo, le insenature del mare,
il Vesuvio, la città, i
sobborghi, i castelli, le ville! Questa sera ci siamo recati alla Grotta di
Posillipo, nel momento in cui il sole passa con i suoi raggi alla parte
opposta. Ho perdonato a tutti quelli che pèrdono la testa per questa città e mi
sono ricordato con tenerezza di mio padre, che aveva conservato un'impressione
incancellabile proprio degli oggetti da me visti oggi per la prima volta.»
Non penso serva aggiungere altro in questo caso. Solamente
che questa ambiguità di giudizio sorge naturale quando si visita Napoli. Lo stesso
Leopardi, in una lettera alla signora Adelaide Maestri, del 5 aprile 1834, scriveva:
«L'aria di Napoli mi è di qualche utilità; ma nelle
altre cose questo soggiorno non mi conviene molto... Spero che partiremo di qua
in breve, il mio amico e io.», per non parlare delle suggestive
descrizioni di Mergellina e del Vesuvio, contenute nel suo testamento
spirituale, La ginestra.
Ad ogni modo tendo ad essere un po’ più pessimista e
considero la situazione prendendo in esame anche il corso del Novecento,
affermando che se un tempo la storia e la bellezza naturale di Napoli potevano
alleggerire certe dissonanze, oggi questo pregio non è più in grado di vincere
l’incuria e la perdita graduale dei valori che per secoli hanno identificato
una popolazione.
Nota: le due fotografie dell'interno della Cappella Sansevero sono tratte dalla rete, poiché non è permesso scattare foto.
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