Abraxas dallo Gnosticismo a Jung

 


Nel sistema dello gnostico Basilide, la parola Abraxas, o Abrasax, viene applicata al Grande Arconte (megas archon), il prìncipe delle 365 sfere (ouranoi), che corrisponde al valore numerico delle sette lettere greche che compongono il nome (ΑΒΡΑΣΑΞ), secondo le regole dell’isosefia:

Α = 1; Β = 2; Ρ = 100; Α = 1; Σ = 200; Α = 1; Ξ = 60.

Basilide visse nel II secolo d.C. e diede vita a un culto gnostico correlato all’adorazione di un dio solare. Egli considerava Abraxas la divinità suprema, fonte delle emanazioni divine, tuttavia, a causa della segretezza dei basilidiani e della censura a cui furono sottoposti con il Concilio di Nicea, oggi è diventata un’entità sfuggente.

Le speculazioni fanno di Abraxas un dio egizio, o un demone. L’umanista Claudio Salmasio non fornì le prove di questa attribuzione egizia, mentre il teologo Johann Joachim Bellermann lo riteneva un composto delle parole abrak e sax, che significherebbero “la parola onorevole e sacra”. Altri hanno proposto un’origine ebraica, oppure greca: per esempio, l’ecclesiastico protestante Isaac de Beausobre fa derivare Abraxas dal greco habros e sao, traducibile come “il bello, il glorioso Salvatore”.

Trovo però che la prospettiva dello storico delle religioni Adolf von Harnack sia la più realistica: per lo studioso, esisterebbero parole che non appartengono a discorsi noti, che sono parte di un gergo mistico sconosciuto ai non adepti, e ci sono parole che hanno origine da ispirazioni divine, più che da una composizione logica.

 

Un antico commentatore del De praescriptione haereticorum di Tertulliano, che si rifaceva al Compendio di Ippolito, aggiunse dei particolari sulla figura di Abraxas: esso era posto al di sotto di Sophia e Dynamis e dei loro progenitori; diede vita alla Mente (nous) e Cristo non sarebbe stato inviato dal Creatore del mondo, ma proprio da Abraxas.

Secondo Il Libro Sacro del Grande Spirito Invisibile, esso era un Eone che dimorava con Sophia e altri Eoni del Pleroma alla luce di Eleleth. Il luminare Eleleth è l’ultima delle Luci Spirituali a farsi avanti e viene associato all’Eone Sophia, che incontra l’oscurità e viene coinvolto negli eventi che portano al governo del Demiurgo. Il ruolo degli Eoni, tra cui Abraxas, appartiene a questo limes del Pleroma, che interagisce per correggere l’errore dell’ignoranza nel mondo della materialità.

Nel contesto giudaico, ci sono leggende che vedrebbero in Abraxas il distruttore di Sodoma e Gomorra, con il benestare del dio abramitico, e il lottatore notturno di Giacobbe. Esso, ormai indebolito, avrebbe benedetto in una locanda un giovane Gesù, per poi disintegrarsi.

In seguito, però, il cattolicesimo ritenne Abraxas un comune dio pagano, poi un demone, come documentato nel Dictionnaire Infernal di Jacques Auguste Simon Collin de Plancy: è definito il dio supremo dei basilidiani, che avrebbe inviato Cristo come un fantasma benevolo sulla Terra.

 

Abraxas è rappresentato come una creatura chimerica, in parte umanoide: l’orientalista Ernest Alfred Wallis Budge ipotizza che possa trattarsi di una forma dell’Adam Kadmon cabalistico, o dell’Uomo Primordiale creato a immagine di dio.

In genere, Abraxas ha il corpo di un guerriero romano, la testa di un gallo e i serpenti al posto delle gambe. Nelle mani tiene uno scudo e una frusta, oppure una spada o uno scettro. Può apparire coperto da un ampio mantello, che avvolge tutto il corpo, incluso il volto. In alcune rappresentazioni, è mostrato come un semplice uomo, fragile e indebolito, ricollegandosi al fatidico incontro con Gesù. Altre volte, compaiono elementi aquilini, una testa leonina, e tridenti e stelle.

Nella sua forma tradizionale, Bellermann accosta Abraxas all’Essere Supremo nelle sue Cinque grandi Emanazioni: i serpenti sarebbero Nous (il senso interiore) e Logos (l’intelletto vivificante); il gallo rappresenterebbe Phronesis (la vigilanza e la lungimiranza), mentre lo scudo rimanderebbe a Sophia (saggezza) e la frusta a Dynamis (potere).

 

Abraxas è presente su pietre preziose usate come amuleti o talismani, in genere nella forma originale del nome: l’inversione eufonica è infatti attribuibile per errore ai traduttori come Ireneo. In base al numero delle lettere, la figura è collegata alla simbologia del numero sette. Un’altra correlazione, in àmbito giudaico, avviene con il termine Abracadabra, sebbene il legame filologico sia debole.

Un esempio di pietra di Abraxas si trova nel tesoro di Thetford del Norfolk e risalirebbe al IV secolo d.C. Tuttavia, in nessuna reliquia scoperta finora Abraxas compare in combinazione alle sue emanazioni, ai Geni cosmici o agli Eoni. Il nome è invece accostato a motti o simboli di varia natura: per esempio, nei Papiri magici greci, è combinato ai nomi divini Sabaoth, Iao e Adonai. Nel contesto persiano, è accostato a Mitra; in quello egizio, al dio del sole, in connessione a Iside, Horus e Arpocrate, oppure è rappresentato in piedi su un leone portato da un coccodrillo, o in collegamento a rappresentazioni di vita e fertilità, quali il Nilo e lo scarabeo.

 

Il significato profondo della figura di Abraxas è ricostruibile soltanto sulla base di ipotesi, ma la reale natura di questo ente rimane incerta. Nei frammenti, Abraxas è stato identificato come il vero nome trasmesso ai profeti d’Israele, ma anche l’Osiride egizio, o Thoth. Nel papiro intitolato Monade, o Ottavo Libro di Mosè, viene raccontato un mito cosmogonico, in cui si descrive la creazione dell’Ogdoade da parte di Abrasax. Ridendo, esso creò la luce, divise le acque primordiali, creò la mente, la fertilità, il destino, il tempo e l’anima. Dai suoni emessi, sorsero il serpente Pitone, che preconosceva tutte le cose, il primo uomo e il dio Iao, signore di tutto. Nel testo, viene anche descritto Helios come un arcangelo di Abrasax.

 

Secoli dopo, l’eredità del nome è ritornata in vari contesti culturali. Nel romanzo Utopia del 1516, scritto da Thomas Moore, l’antico nome dell’isola del titolo era Abraxa. Nel citato Dictionnaire Infernal del 1818, Abraxas, è menzionato quale creatura anguipede, dio pagano delle teogonie asiatiche. Nel 1913, l’occultista Aleister Crowley lo invoca in The Gnostic Mass, e, nel 1919, il nome compare nel romanzo Demian di Hermann Hesse.

Nei Septem Sermones ad Mortuos di Carl Gustav Jung, Abraxas viene come rivivificato: esso diviene rappresentazione della forza trainante dell’individuazione. Nel mondo contemporaneo, Abraxas sembra rappresentare l’ente che unisce elementi divini e diabolici, colui che è non duale, contenendo in sé il connubio degli opposti.

 

Rimanendo a Jung, forse questi conobbe Abraxas tra le pagine di due testi che aveva annotato a margine, ovvero Abraxas. Studien zur Religionsgeschichte des spatern Altertums (1891) di Albrecht Dieterich e The Gnostics and Their Remains (1864) di Charles William King.

Nel secondo Sermone ai morti, la figura di Filemone afferma che Dio e il Diavolo abbiano in comune l’essere efficaci: questo elemento è al di sopra di loro e rappresenta un Dio che unisce il pieno e il vuoto: è il dimenticato Abraxas. Per distinguerlo dal Dio a cui si fa in genere riferimento, Jung lo definisce Helios, o Sole: Esso è l’azione, a cui si contrappone soltanto l’irreale.

Nel terzo Sermone ai morti, Filemone torna sull’argomento e sostiene che l’essere umano non veda il grande potere di Abraxas: gli umani traggono il sommo bene dal Sole e l’infimo male dal Diavolo, ma è da Abraxas che traggono la vita, indeterminata sotto ogni aspetto. Abraxas è sia il Sole che il vuoto del Diavolo: esso «dice la parola venerabile e maledetta che è al tempo stesso vita e morte».

Segue una lunga descrizione su ciò a cui Abraxas sia assimilabile, tra cui Jung cita il grande e il piccolo Pan, l’ermafrodito del primissimo inizio e Priapo.

 

Quando Jung chiede a Filemone come possa comprendere un dio tanto sfuggente, il saggio risponde che non sia necessario comprenderlo, perché questo è un dio da sapere, che non puoi mai davvero definire, essendo sempre questo e quello allo stesso tempo. Anche il termine “dio” è improprio: «Io so che la lingua degli uomini non ha mai dato altro nome che Dio al grembo materno dell’incomprensibilità. In verità, questo Dio è e non è, perché tutto quello che è stato, che è e che sarà è scaturito dall’essere e dal non essere.»

 

In una descrizione delle Visioni, Jung definisce Abraxas un nome di fantasia, che indicava la divinità suprema degli gnostici. Un dio del tempo, la cui figura significa vita e morte. È per lui identico al demiurgo, il creatore del mondo, o a Shiva.

Nell’Appendice C Sulla cosmologia dei Septem Sermones ad Mortuos, afferma che l’essere umano non possa sottrarsi a Abraxas e che la liberazione dal suo potere avvenga sottomettendosi a esso, come fece Cristo, portato da Abraxas a una morte crudele. Ci si può liberare da Abraxas vivendo la propria vita, non rifuggendolo, e affrontando il dolore e la delusione: «Da un lato io dico: non temerlo, non amarlo. Dall’altro io dico: temilo, amalo. Lui è la vita della terra. Questo ti dice abbastanza.»

 

Bibliografia

 

° Agnolucci P. (a cura di), Il Vangelo degli Egiziani. Libro Sacro del Grande Spirito Invisibile, Harmakis Edizioni, Arezzo, 2017

° Bellermann J. J., Versuch über die Gemmen der Alten mit dem Abraxas-Bilde, Dieterici, Berlino, 1819

° Betz H. D., The Greek Magical Papyri in Translation, University of Chicago Press, Chicago, 1997

° Collin de Plancy J. A. S., Dizionario infernale, Edizioni Mediterranee, Roma, 2023

° Crowley A., Liber XV. The Gnostic Mass, The International, 1918

° de Beausobre I., Histoire critique de Manichée et due Manichéisme. Vol. II, Chez F. Frederic Bernard, Amsterdam, 1739

° Dieterich A., Abraxas. Studien zur Religionsgeschichte des spatern Altertums, Teubner, Leipzig, 1891

° Hesse H., Demian, Mondadori, Milano, 2016

° Jung C. G., Il Libro Rosso. Liber Novus, Bollati Boringhieri, Torino, 2012

° Id., Septem Sermones ad Mortuos, 1916

° King C. W., The Gnostics and Their Remains. Ancient and Mediaeval, David Nutt., Strand, 1887

° More T., Utopia, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2021

° Tertulliano Q. S., Questione previa contro gli eretici, ESD, Bologna, 2012

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