Le priorità di un'informazione



Ci siamo così abituati a definire il nostro periodo storico come denso di tensioni, che ormai il fastidio e il malcontento sono stati assorbiti come una caratteristica distintiva di noi stessi. È così che, covando la rabbia, gli episodi di violenza si fanno più comuni nelle società.

Per esempio, genera più che un fastidio il fatto che, perlomeno nel nostro Paese, notizie internazionali di una certa rilevanza vengano trattate solo da poche testate giornalistiche e che nei telegiornali passino – se accade – come titoli fugaci. Talvolta, quando ormai l’informazione è stata rilanciata da tutti i ‘big’ internazionali (BBC & Co.), si chiama l’esperto di geopolitica di turno e gli si chiede uno spiegone elementare su un dato Paese del mondo. Perché noi, nel frattempo, non sapevamo nulla. Eravamo distratti da una polemica, da un’opposizione insanabile  su una qualche questione che nessuno avrebbe comunque provato a risolvere. Fino a tempi non distanti, chiamavano queste esche promesse.

Quando però perviene quella notizia rilevante, il cittadino medio si accontenta di commentare, al ritmo di ogni due mesi, con ‘Quelli non si stancano mai di fare la guerra’ e altre frasi fatte, che denotano non solo l’aderenza a più stereotipi, ma una presunzione di superiorità occidentale quasi genetica. Come a voler sottolineare: ‘Noi sappiamo come si vive’, salvo accorgerci, ormai, che non è più tanto vero.

A cavallo tra il 2021 e il 2022, per citare un caso, non abbiamo parlato di altro che di contagi, di decreti e dell’elezione del presidente della repubblica. Nel frattempo, nel mondo accadevano cose, che per conoscere bisognava cercare in ordine sparso in spazi in cui il novanta percento della comunicazione era legata al Covid.

 

Di seguito, una selezione esemplificativa di articoli pubblicati tra dicembre e gennaio, che non esaurisce gli eventi di questa fase, ma può servire a comprendere le dimensioni di quanto accade intorno a noi.

Per il continente africano: secondo alcuni, il 2022 si prospetta come l’anno della ‘resilienza democratica’ (qui), ovvero la fase cruciale in cui verrà messa alla prova la tenuta delle democrazie del continente. Bisogna infatti tenere in considerazione situazioni delicate, tra cui: la corsa allo sfruttamento dell’energia nucleare da parte del fragile Kenya; le estese proteste in Sudan contro il colpo di Stato di ottobre, represse duramente dalla polizia (qui); la lotta del Sud Africa contro il tentativo del colosso petrolifero Shell di trivellare la ‘Wild Coast’ (qui). E ancora, le ingerenze estere, come quelle russe: nel continente, infatti, opera la compagnia privata di mercenari denominata ‘Wagner’, che mira a garantire alla Russia le risorse minerarie (qui).

Passando al Medio Oriente, la situazione non è migliore. È durato la frazione di un lampo l’interesse italiano per le vicende kazakhe (qui), giusto il tempo di raccontare l’arrivo delle truppe russe e dei Paesi alleati, che ha portato a spari sulla folla, decine di morti e a una confusione politica che i media non hanno nemmeno tentato di chiarire. Oltre alla consueta attenzione per la Russia, però, pochi hanno puntato il dito sugli interessi cinesi in Kazakhstan, legato all’importanza del Paese per la rete Bitcoin, in crisi a seguito del blocco di internet (qui).

Sembra inoltre che non sia accaduto altro, di recente, in quest’area. Eppure, a fine dicembre proseguiva la lotta delle donne afghane a Kabul, contro gli spari della polizia (qui), di cui l’Occidente si è pressoché dimenticato. E in Iraq, nei primi giorni di gennaio, si susseguivano tre attentati in quarantotto ore (qui), nel silenzioso oblio delle notizie nostrane.

Cito ancora le Americhe: le proteste nella Patagonia argentina, contro l’estrattivismo minerario, sono state anch’esse represse (qui); negli Stati Uniti, invece, una larga fetta della popolazione giustifica la violenza contro il governo come risposta alla crisi sociale, politica ed economica che in realtà la pandemia ha solo amplificato (qui).

A questi scenari se ne aggiungono moltissimi altri, dall’Estremo Oriente all’Europa: si pensi solo alle repressioni nello Xinjiang e a Hong Kong (qui), così come al confine tra Polonia e Bielorussia (qui).


Concentriamoci però su Africa e Medio Oriente, le due aree più calde a livello geopolitico, dove storicamente si contendono il potere le grandi potenze.

Così nell’ultimo anno, e in particolare in questi mesi, si stanno intensificando le proteste globali in tali zone. E non solo, le stesse potenze stanno conoscendo una crisi interna senza precedenti.
Nel frattempo, avanzano le pretese di Russia e Cina. La prima tenta di ritagliarsi alcune sfere di influenza, approfittando del parziale disimpegno occidentale. La seconda prova ad affermarsi non solo in Africa (alla ricerca di materie prime e per ‘scaricare’ liquidità), ma anche in Occidente (sfruttando gli strumenti stessi offerti dal capitalismo) e in territori come il Kazakhstan, da lungo tempo sotto l’influenza russa.

Sullo sfondo, ci sono le terze parti, ovvero quegli Stati che, per diverse ragioni, attuano strategie personali. È il caso della Turchia, che gioca da battitore libero sfruttando la sua posizione strategica. E di nazioni come il Giappone e l’Australia, che corrono ai ripari e, in questi anni, stanno siglando nuovi accordi militari in funzione anti-cinese.

Ora, mi sembra evidente che stiamo vivendo una fase storica preparativa, che la pandemia ha probabilmente accelerato. E che il passaggio di potere dagli Stati Uniti alla Cina e ad altri Stati, benché ancora parziale e circoscritto, non sarà pacifico. La prospettiva di un nuovo conflitto globale, proprio ora che stiamo vivendo una crisi planetaria senza precedenti, non è poi così surreale.

Il mio timore è legato alla paura, alla nevrosi e alla rabbia che ha normalizzato le nostre esistenze, facendoci dimenticare le priorità di un’informazione completa ed esaustiva. Ho davvero la sensazione che un giorno potremmo svegliarci, scoprire che il mondo è cambiato radicalmente, forse trasformandosi con un nuovo conflitto, e che avremo la presunzione di rimanerne stupiti.

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