Impressioni di fede

Ho voluto riportare alcune impressioni da una cresima di ieri, in forma per lo più frammentaria, riproducendo di volta in volta le sensazioni provate.

Il primo elementare rito è il segno della croce. Quando si entra è un gesto meccanico, vuoto nei più, di riverenza. Quando si esce, invece, diviene un intercalare; l’ultimo obbligo frettoloso con cui abbandonare una chiesa troppo carica di fedeli. Le dita sfiorano appena l’acqua santa; la mano scivola facendo cadere per terra qualche goccia; la mente è già fuori di lì, l’altra mano sta facendo scendere gli occhiali dalla nuca agli occhi.

Il coro è un atto di fede in sé e per sé; è pura e semplice buona volontà. Si segue la presunta moda di modernizzare i canti ecclesiastici. Viene messa una base musicale, stile karaoke; vagamente pare di vedere un coro gospel, ma – semmai – è pessima imitazione. Si apprezza, c’è dietro tanto lavoro, mentre – a metà cerimonia – l’unica buona volontà è in chi attende la fine del concerto nella messa.

Chiunque, anche il più scettico, si stupirebbe della varietà umana presente a questi eventi. Basta avere occhio: senza dubbio la figura più curiosa è quella che continua a tenere gli occhiali da sole dentro la chiesa. Non è una, non sono due, ma qualcuna in più.
Segue, non meno importante, la ragazza che indossa lo stesso vestito utilizzato in discoteca. È l’ennesima occasione di mettere a nudo la propria impareggiabile bellezza; una minigonna su un vestito giallo, giallo da farsi notare per forza; tacchi da apparire alte e snelle nelle lunghe gambe.
Non fa male agli occhi, e questo non si nega, ma non è difficile condividere i commenti austeri (è solo buon senso?) di qualche anziana impicciona.

Nella predica si parla di Trinità. La voce del prete è coraggiosa, il tono deciso: il dio dei Cristiani non è un sogno; è persona, realmente esistita. Ma è un discorso di un fedele ad altri fedeli, e come potrebbe essere altrimenti in quel luogo? Eppure è proprio la fede, data per scontata, il nodo della questione. Senza di essa quella predica rimane un bel discorso, belle parole messe insieme: senza di essa nulla ci dice che il Figlio abbia realmente compiuto dei miracoli e che questi fossero legati alla sua divinità.

Si esce. Le troppe persone mi fanno venire ansia. Da fuori si sente un rumorìo smorto di fedeli (è ancora corretto chiamarli così per intero?); sembra un incontro di persone tristi, o forse solo tremendamente stanche. Cantano e affermano parole di gioia, ma non c’è gioia nelle loro voci: è l’ennesimo rito senza spirito.
Forse quel Dio è stanco di questi formalismi e di questa vanità, forse anche lui ha trovato di meglio da fare che dare ascolto a questi suoni meccanici, con la differenza che non ha bisogno di nascondersi dietro una maschera sociale.

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