Il Nosferatu di Eggers
Giovedì scorso ho visto Nosferatu
di Robert Eggers.
Confesso che non sentivo tutta questa
smania di recuperare il nuovo adattamento del soggetto, ma sono amante del
genere e del personaggio e ho voluto rivivere in una chiave inedita le
atmosfere della storia.
La premessa è che il film è godibile, soprattutto da chi non ha mai visto il
Nosferatu del 1922 di Murnau e quello di Herzog del 1979.
Mi riferisco, in particolare, ai più
giovani, che qui possono trovare una pellicola aesthetic (una parola
sicuramente meno longeva di Orlok!), incentrata su una figura femminile libera
e indipendente, capace di ribellarsi al suo demone e di portare la comunità
alla catarsi per suo tramite.
La novità del Nosferatu di Eggers è tutta
qui: in una nuova femminilità che mette in secondo piano una creatura anonima,
dal volto poco espressivo (e quasi sempre oscurato) e da un’estetica che può
far sorridere, rifacendosi a quella tipica del cosacco con i baffoni e il
ciuffo di capelli penzoloni.
Eppure, eppure... questa rilettura ha il
sapore di un cliché, che ci impone di guardare indietro alla filmografia del
regista e – se proprio vogliamo trovarci di fronte a una femminilità forte e
originale – di rivedere The Witch. E questo al netto di un’interpretazione,
quella di Lily-Rose Depp, che ha un suo pregio.
Riflettendo in termini più generali, a parte le citazioni a Murnau e a Herzog, Eggers ci fa la grazia di risparmiarci l’ennesimo racconto del viaggio della Demetra, qui ridotto a poche scene (e tacendo sull'idea di un tragitto in nave senza senso in termini geografici).
Talvolta, però, la sceneggiatura sacrifica
altri momenti topici che meriterebbero invece un maggiore sforzo: mi riferisco
soprattutto ai dialoghi nel castello tra Orlok e Hutter, che qui si riducono a
sensazione e allusioni.
Ho trovato, nel complesso, una fretta generale nel risolvere alcuni nodi visivi
(la caduta di Hutter dal castello, etc.) e narrativi (tre notti per raggiungere
quella “benedetta” residenza che tutti conoscono!).
Inoltre, mi manca una scena iconica, alla
pari di un’ombra di Nosferatu che sale le scale o che si affaccia dalla nave,
o, ancora, una danza macabra in una piazza devastata dal morbo.
Sì, ci sono scene con una pregevole
fotografia ispirata agli interni di Rembrandt e un paio di fotogrammi nel
finale che meritano attenzione, ma la stessa che si riserva a un bel post su
Instagram dai toni gotico-romantici. E poi? L’oblio, fino al prossimo
incantesimo bene incartato.
P. S. Qualche nota sparsa:
1. I jumpscare anche meno.
2. Riuscita la scelta di dare a Orlok un
respiro affannoso e sofferto.
3. Willem Dafoe sta diventando come l’Anthony
Hopkins degli ultimi anni: è come il prezzemolo, un po’ ovunque e fa sempre
bene. Capiamoci: amo entrambi, ma qui, ad esempio, la parte di von Franz è
molto sacrificata.
4. A ogni buon conto, la parola chiave del film è: «REDENZIONEH!».
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