Tecniche della critica letteraria di Ezio Raimondi

 


Il libro è una raccolta di conversazioni e di saggi composti tra il 1962 e il 1966, che riflette sul mestiere del critico in maniera non sistematica. Non fatevi intimorire dagli anni in cui fu scritto, perché c’è molta attualità al suo interno.

 

Raimondi offre un’analisi approfondita della natura dell’opera d’arte e del ruolo della critica letteraria, intrecciando diverse prospettive teoriche. «L’opera d’arte – scrive l’Autore – è storica in due sensi: nel primo, perché è un prodotto sociale; nel secondo, perché è una creazione che trascende il piano storico ma che per avere una consistenza effettiva ha bisogno d’incarnarsi di nuovo nella storia, e di ripetersi tra gli uomini, come un tempo che è sempre presente, un presente potenziale che può attuarsi solo facendosi presente in maniera concreta, in un “ora” e in “qui” determinati.»

Tale dimensione storica si riflette anche nei generi letterari, che nascono come risposta a «fatti tipici e costanti» che non trovano più rispecchiamento nelle forme precedenti.

 

La critica letteraria è sospinta da due impulsi: da un lato si arricchisce delle esperienze di altre discipline; dall’altro cerca di definirsi come «un corpo coerente di schemi dinamici».

Tuttavia, la critica moderna deve confrontarsi con la commercializzazione dell’arte, fenomeno che – secondo Hegel – si manifesta soprattutto nel romanzo, «intimamente legato al fenomeno stesso dell’industrializzazione». Tocqueville aggiunge che la democrazia «introduce lo spirito industriale all’interno della letteratura», trasformando gli autori in venditori di idee.

 

Raimondi si sofferma poi sull’idea di Walter Benjamin secondo cui, nell’era della riproducibilità tecnica, l’“aura” dell’opera d’arte si dissolva. La riproduzione annulla «l’elemento unico» dell’opera, legato alla tradizione e alla storia, poiché l’opera diventa segno e perde la sua sacralità originaria.

In parallelo, Julien Gracq denuncia invece la trasformazione della critica in «una sorta di volgarizzazione elettorale, dove «non si spiega, ma ci si conta», evidenziando l’influenza del neocapitalismo sulla letteratura.

Più catastrofista la lettura di Leone Piccioni, il quale ritiene che la figura del critico militante sia venuta meno, sostituita da «un recensore frettoloso» o da uno specialista che si limita a pochi testi, rinunciando alla funzione generale di guida e orientamento del gusto. Inoltre, Piccioni critica il «falso engagement» (sì, siamo negli anni Sessanta!), un moralismo ideologico che dimentica la ricerca di stile e l’invenzione linguistica, svalutando automaticamente le scoperte letterarie.

 

Sul piano tecnico, Raimondi prende in considerazione varie teorie, tra cui quelle di Max Bense, il quale propone di concepire il testo come «materialità statistica» integrata da una «teoria della comunicazione» che unisca statistica, logica, fenomenologia e estetica del testo.

Cito ancora le idee di William C. Booth, che sostiene come lo scrittore debba creare i propri lettori attraverso «un ordine nuovo di percezione ed esperienza», rivelando come ogni scelta tecnica abbia una dimensione morale.

In sintesi, Raimondi esplora le trasformazioni della letteratura e della critica, analizzando il rapporto tra arte, storia, linguistica, mercato e tecnica. La sua riflessione si snoda attraverso teorie che coniugano la complessità del testo letterario con le dinamiche sociali e culturali che lo attraversano.

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