La solitudine del critico di Giulio Ferroni

 


In questo saggio, Giulio Ferroni riflette sulla crisi contemporanea della letteratura e della critica letteraria, evidenziando come entrambe siano diventate sempre più marginali nel panorama culturale e mediatico.

La letteratura, secondo l’Autore, è prigioniera della quantità, stretta nella moltiplicazione della produzione editoriale, che spesso si accompagna a periodiche crisi del libro e a un calo di prestigio. Questa perdita di rilevanza si manifesta anche nello spazio sempre minore riservato alla letteratura nei media e nella sua scarsa influenza sulla cultura contemporanea, se non quando si piega alle logiche di mercato.

 

Fondamentale il passaggio in cui afferma che la rete abbia contribuito a rendere marginali le pratiche umanistiche, tra cui la critica letteraria, sostituendola con una sorta di pubblicità culturale che valuta il valore di un’opera in base al flusso delle vendite.

In questo scenario dominato dalla valutazione e dal rating, la critica rischia di diventare subalterna al pensiero unico e ai modelli imposti dal mercato. Tuttavia, esiste ancora una critica che resiste, cercando nella letteratura le «tracce di un destino» e una comprensione del mondo attraverso il linguaggio.

 

Già dagli anni Settanta, la critica ha iniziato a frammentarsi: da un lato, l’estrema politicizzazione di alcuni movimenti tendeva a «mandare in soffitta la letteratura»; dall’altro, l’influenza di teorie strutturaliste e semiotiche portava a un’analisi tecnica e astratta dei testi, allontanandoli dal loro contesto storico e umano.

Questo approccio “autosufficiente” ha contribuito a rendere la letteratura meno accessibile alle giovani generazioni, soprattutto nell’insegnamento scolastico, dove l’eccesso di tecnicismi ha ucciso il piacere della lettura.

 

Ferroni critica anche i Cultural Studies, che nel contesto accademico americano, e non solo, tendono a proiettare schemi teorici astratti sui testi letterari, spesso forzandoli a rispondere a istanze contemporanee politiche, psicologiche o identitarie. Citando Mario Perniola, l’autore denuncia il rischio di un nuovo oscurantismo, dove si perde la capacità di distinguere ciò che vale la pena di raccontare da ciò che può essere lasciato indietro nella «pattumiera della storia».

Inoltre, l’Autore analizza come la globalizzazione abbia modificato profondamente la letteratura contemporanea, introducendo decentramenti e nuove percezioni di spazio, confini e territori. Questi cambiamenti riflettono il confronto dell’Occidente con la sua alterità, i territori postcoloniali e le migrazioni, creando nuove dinamiche culturali e letterarie.

 

Infine, Ferroni afferma che il destino della letteratura sia intrecciato con quello dell’ambiente. Alla “ecologia dello spazio” deve corrispondere un’“ecologia della parola”, che critichi l’eccesso e la velocità della comunicazione odierna.

La critica, nonostante la sua inadeguatezza rispetto ai ritmi dominanti, deve opporsi all’«impero del pensiero unico economico e computazionale». Tuttavia, questa opposizione la conduce a una profonda solitudine, di fronte alla complessità e all’infinita molteplicità dei messaggi veicolati dai media e dal mercato.

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