Era arrivato il momento di leggere la Guida galattica di Adams
Per anni ho guardato questo libro e
l’intero ciclo con discrezione. Ne parlavano ragazzi, genitori e insegnanti, in
maniera trasversale; chi per un motivo e chi per un altro; ne parlavano anche
persone che leggono, forse, un libro di fantascienza nella vita. Per anni ho
sentito citare la famosa risposta – “42” – in tono burlesco e strizzando
l’occhio. Dubito che molti di quei lettori avessero letto un analogo (e
precedente) racconto di Asimov o che avessero mai esplorato l’ironia di
Vonnegut, citato nel primo volume della saga di Adams con il suo «Così va la
vita.» (e le sue declinazioni).
Per motivi diversi, ma complementari, sono
stato alla larga dal Siddhartha di Hesse per molto tempo. Quando le
acque si sono placate, almeno in parte, l’ho divorato e amato. Con la Guida galattica per gli autostoppisti (The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy,
1979) di Douglas Adams l’amore è stato meno intenso, ma è comunque un libro che
ho apprezzato.
Certo, passare da una space opera
“teologica” come Il costruttore di stelle di Stapledon a una dissacrante
come questa è stato un salto cognitivo notevole, ma questo è il genere di
ginnastica mentale che fa bene alla salute.
Ho letto l’edizione Mondadori che
raccoglie il ciclo completo e che presenta una fondamentale introduzione
dell’Autore, che ci spiega per quale ragione esistano così tante versioni
alternative (e in diversi media) dell’opera.
La Guida nasce come sceneggiato
radiofonico per la BBC, sviluppando un’idea che riposava nella mente di Adams
da diversi anni, quando si era trovato in Austria con una guida per
autostoppisti tra le mani, a guardare il cielo stellato. L’opera si sviluppa in un
contesto storico in cui l’interesse scientifico del pubblico per l’esplorazione
spaziale cominciava a scemare, ma non mancava invece l’interesse per la
speculazione galattica, come ci dimostra l’uscita di Star Wars nel 1977
e di film analoghi, di cui ho parlato anche qui sul blog (Spaceballs e The
Last Starfighter).
Per altri versi, il libro di Adams
riflette la tradizione comica britannica, richiamando l’umorismo smitizzante
dei Monty Python. Inoltre, affronta ansie contemporanee, come la paura della
distruzione globale, rappresentata dalla demolizione della Terra all’inizio del
libro. Così, in breve, vengo alla trama.
Il protagonista è Arthur Dent, un inglese
medio la cui vita viene stravolta quando scopre che la sua casa e il suo
pianeta stanno per essere distrutti. Salvato dall’amico alieno Ford Prefect,
Arthur si ritrova in un universo stravagante, dove incontra vari personaggi,
tra cui: Zaphod Beeblebrox, il bizzarro presidente della galassia; Trillian,
l’unica altra terrestre sopravvissuta; Marvin, il robot depresso. Sullo sfondo,
un oggetto singolare, la Guida galattica per gli autostoppisti, ovvero
un’enciclopedia intergalattica che diventa un prezioso compagno di viaggio: «La
ragione per cui era pubblicato in forma di microelemento elettronico
sub-mesonico era che, se fosse stato stampato in forma di libro normale, l’autostoppista
galattico avrebbe avuto bisogno di numerosi edifici estremamente ingombranti
per portarselo dietro.»
La trama, apparentemente caotica, nasconde
un viaggio esistenziale. Tra incontri con alieni burocrati, esplorazioni
nell’iperspazio e domande filosofiche, il libro indaga il significato del “Tutto”
con sfacciata leggerezza.
Tra i punti di maggiore interesse,
troviamo la critica alla burocrazia, con i Vogon – ottusi alieni ossessionati
dalle regole – che sono una parodia del sistema amministrativo e del suo
impatto sulla società. Accanto a questo, vi è il tema dell’alienazione
provocato da un eccesso tecnologico: per tutta la lettura, mi sono trovato di
fronte a personaggi bizzarri, eccentrici o brillanti, ma ho sempre avuto
l’impressione che fossero molto soli e senza scopo.
Come contraltare a quest’ombra di
malinconia, Adams riesce a rendere divertenti temi profondi come il destino,
l’identità e l’insignificanza dell’umanità nell’universo. Lo humor non viene
meno nemmeno quando si tratta la ricerca di significato in un universo privo di
logica, con quel numero 42 che diviene emblematico delle aspettative e dei
desideri male indirizzati degli esseri senzienti.
Su quest’ultimo punto, vorrei spezzare una
lancia in favore del nostro «trascurabilissimo pianeta azzurro-verde, le cui
forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive
che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano una brillante
invenzione.» Tutti sparlano della Terra e dei suoi abitanti, ma non c’è un
singolo elemento nella storia che faccia comprendere perché le altre razze aliene
sarebbero migliori di noi, se non per una conoscenza più ampia dell’universo.
Nella Guida, il pianeta Terra ha una
modesta descrizione: «Innocuo», appena modificata dal contributo di Ford che la
aggiorna in «Praticamente innocuo». E gli umani non possono nemmeno vantare il
primato di intelligenza sulla Terra, perché questo spetta ai topi, seguiti dai
delfini! Ciò nonostante, il pianeta si rivela essere un prodotto del supercomputer
Pensiero Profondo (quello che produce la famigerata risposta sul significato di
Tutto) e l’umano Arthur si suppone sia «parte organica» di quella Terra-risposta
e che quindi «la struttura della domanda sia inclusa nella struttura» del suo
cervello. Non proprio male per un essere insignificante!
In termini stilistici, la narrazione di
Adams è intrusiva, beffarda e piena di digressioni, che arricchiscono
l’universo surreale del libro. L’Autore fa anche un uso frequente di
anticipazioni e, in una di queste, smonta il meccanismo con la consueta ironia:
«Perché permanga ancora un po’ di senso del mistero [dopo aver riassunto quanto
stava per accadere], non verrà rivelato, per il momento, di chi sia il braccio
contuso. Questo particolare può infatti essere fatto tranquillamente oggetto di
suspense dato che non ha la benché minima importanza.»
La scrittura combina semplicità espressiva
a qualche colpo di genio basato su una tecnologia assurda (come il Motore ad
Improbabilità Infinita che diviene un abile strumento di coerenza interna al
testo) o su uno scambio dialogico che ruota attorno a un termine male
interpretato dalle parti (come nello spassoso e surreale scambio di battute con
i poliziotti). La struttura episodica, retaggio dell’origine radiofonica, dona
un ritmo fresco e incalzante, portando il lettore all’ultima pagina in un
battito di ciglia.
Douglas Adams ci ricorda che, anche di fronte all’assurdità della vita, vale sempre la pena portare con sé un asciugamano e continuare a esplorare senza panico l’immensità del cosmo. Non mi stupisce che venga letto ancora oggi da diverse generazioni.
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