La disarmante potenza visiva de La strada reinterpretata da Larcenet

 


La graphic novel de La strada (Coconino Press – Fandango, 2024), realizzata da Manu Larcenet, è la più bella interpretazione di un classico della letteratura (perché questo è il romanzo di McCarthy) che io abbia mai letto. Ho voluto approfittare di una recente rilettura del romanzo per approfondire l’opera con questa versione e non sono rimasto deluso.

 

Le tavole presentano gialli, rosa e celesti tenui, un filtro che scandisce la narrazione e che ha le sembianze di una diapositiva d’altri tempi, oppure di una realtà-fantasma che continua a corrodersi senza una fine apparente.

Larcenet fa respirare queste sfumature in ampie illustrazioni, oppure, quando la narrazione assume toni più meditativi o silenziosi, le incastona in piccoli rettangoli che mostrano i dettagli di una quotidianità perduta, in cui a risaltare sono soltanto i contenitori di alimenti che, una volta consumati, vengono prosciugati della loro apparente vitalità.

 

La natura è marcescente, ma da quel suo putridume non sembra far nascere nuova vita. Gli alberi cadono, gli incendi si diffondono: forse è errato parlare ancora di natura. Le carni umane dei cadaveri non vengono propriamente assorbite; si assemblano ai cavi, alla gru, alle corde e agli alberi stessi, ma sembra che si ostinino, per quanto inerti, a non abbandonarsi all’assorbimento. Forse, è la natura ad aver perso quella proprietà.

Il paesaggio – che già era un personaggio a sé nel romanzo – è trattato qui come un tessuto connettivo, che collega le scene e consente importanti salti spazio-temporali (le circa trecento miglia che portano i due protagonisti alla costa vengono divorate in poche pagine), resi più credibili da un delicato passaggio di colori, dalle sfumature dei grigi fino al bianco finale.

 

Larcenet compie poi una traduzione degli episodi topici del romanzo di McCarthy, tra cui la scena delle persone imprigionate nel seminterrato, unico passaggio della graphic novel a non avermi convinto. L’ho trovata troppo statica, luminosa e impostata, laddove avrei preferito un maggiore gioco di ombre per mostrare, ancora una volta, alcuni dettagli emblematici (per esempio, gli arti mutilati), come ci vengono descritti nel romanzo con grande maestria.

Si tratta comunque di una piccola nota di gusto, a fronte di una rilettura che tiene fede all’ispirazione dell’originale, esaltandone ancora di più le parti descrittive e quelle emozioni che rompono la barriera linguistica e si traducono in mimica facciale, sguardi e posture.

 

Larcenet è riuscito poi a farmi riflettere sulla direzione fisica di questo viaggio: il sud. Le grandi masse non migrano più nel nord del mondo; i singoli individui hanno smarrito il mito iperboreo. Il mondo è crollato; i poli si sono invertiti. Ma la scommessa resta aperta, tanto nel romanzo, quanto nel film e nel fumetto.

In effetti, nessuno viaggia in direzione contraria a quella dei protagonisti e degli altri umani che incontrano. Le ragioni possono essere due: o a sud sono tutti morti, e allora si esaurisce ogni ragionevole speranza, oppure qualcuno vive sufficientemente bene da restare dov’è, e dunque questo apre a nuovi scenari.

 

Tutte queste, però, sono ipotesi: ciascuno deduca quanto crede da questo soggetto. Larcenet approda al bianco dominante, prima motivato dalla neve, poi da una luce che ha qualcosa di estatico, forse persino “metafisico”, ma ha anche un’aura sinistra.

Se la transizione cromatica sembra suggerire qualcosa, la sua lettura è appannaggio del lettore. Inoltre, laddove McCarthy riduce all’osso il testo e la sintassi, Larcenet fa lo stesso in termini visivi, senza per questo perdere in comprensibilità. Il fumettista francese ha avuto il merito di comprendere il potenziale visivo del testo originale e di scrivere e disegnare una storia che fosse più di un degno tributo.

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