La foresta trabocca. Marginalia sul romanzo
Accade di tornare su un testo già letto in
precedenza. Di recente, mi è capitato con La foresta trabocca di Ayase Maru (che avevo già analizzato qui), grazie a un gruppo di
lettura. Ho potuto così mettere a fuoco il finale, che all’epoca della prima
lettura sentivo di non aver compreso appieno.
Ho cercato di riportare alla mente una lettura di
diversi mesi fa, aiutandomi con gli appunti. Come emerso dal confronto nel gdl,
è vero che la figura di Rui non presenta quasi mai un POV, ma è sempre filtrata
attraverso occhi esterni: non solo il marito, che è il primo a “disegnare” il
profilo pubblico della donna, pubblicando quel romanzo biografico in maniera
spregiudicata, ma a seguire tutti gli altri (l’editor che ammette di non
poterla guardare negli occhi; Takao che sprezzantemente dice che la colpa del
disagio che provoca negli altri è soltanto sua, in quanto incapace di opporsi
per debolezza).
Vi è poi tutto un discorso intorno al valore dell’opera d’arte: qui, lungi dall’essere
uno strumento di automiglioramento e di scoperta, il romanzo diviene soltanto l’oggetto
che sfrutta l’intimità di una coppia per sfornare l’ennesimo bestseller. Il
marito Nowatari è spregiudicato in tal senso, ma è un personaggio minore,
Nasuno, a metterlo a nudo, domandandosi quanto quel genere di libri faccia bene
ai lettori.
Senza menzionare altri elementi, il romanzo è
dichiaratamente un’indagine dei “punti deboli” della società giapponese, dall’idea
di dover risolvere tutto in famiglia evitando gli scandali pubblici al rapporto
subordinato della donna rispetto all’uomo, ma anche a come l’uomo nipponico di
oggi senta su di sé il peso di una responsabilità che non avverte più come sua
(l’idea di un certo tipo di famiglia, etc.).
Letta in un’ottica occidentale, la mentalità di
Nowatari è negativa al cento per cento, ma, contestualizzata al Giappone, è
apprezzabile il suo tentativo di provare a recuperare quella dimensione
sensibile nei confronti della moglie, che pure c’era stata in passato. Sbaglia
più volte e pronuncia frasi che dimostrano come egli abbia introiettato i
pensieri di una società in maniera automatica, ma di fronte alla maturazione
(letteralmente) della moglie, un gesto tanto eclatante, non può che prestare
attenzione a quel prodigio.
Rui, in effetti, non ha bisogno di esprimersi a parole, poiché verrebbe fraintesa o non ascoltata: il suo cammino è personale e non necessita di una legittimazione pubblica, al contrario di Nowatari che ricerca l’approvazione dei lettori e, in generale, dei suoi genitori. E alla fine, di fronte al grande edificio naturale costruito dalla moglie, un universo “alieno” rispetto alle avvelenate dinamiche urbane, sceglie di seguirla e di fiorire a sua volta. Il capovolgimento sta nel fatto che è ora la donna a guidare il cambiamento di sé, coinvolgendo anche la componente maschile della società giapponese.
In sintesi, è in quest’ultimo concetto che ho dato un senso compiuto a un finale che, per me, era rimasto ancora irrisolto.
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