Varcare la soglia nei racconti di Gérard Prévot

 


I ventuno racconti de Il demone di febbraio (Alcatraz, 2020) di Gérard Prévot appaiono in traduzione italiana (mi risulta per la prima volta) grazie al recupero certosino di una casa editrice, Alcatraz appunto, che alla “scuola belga del bizzarro” sta offrendo una grande e meritata visibilità. La traduzione di Luca Fassina restituisce un testo costruito su frasi brevi, una sintassi elegante e con pochi dialoghi funzionali alla storia.

Questi micro-racconti si aprono, in genere, con un discorso generale, per elaborare poi atmosfere in cui giocano un ruolo essenziale il vento del Nord, il fuoco e lo spazio circoscritto che racchiude un segreto o un’ossessione di chi lo attraversa. Prévot non esagera con aggettivi e avverbi: li posiziona nei punti giusti e, per il resto, lascia che sia la situazione a evocare l’assurdo. Fa ampio uso dell’ironia e i ribaltamenti dei finali e le ambiguità sono frutto di un fraintendimento che egli architetta con cura, a volte con esiti felici, altre meno.

 

I paragrafi introduttivi hanno un sapore stilistico ottocentesco, ma il linguaggio è certamente moderno. Tra le pagine troviamo reminiscenze di Shakespeare, Poe, Maupassant e del conterraneo Ray. Prévot tende a non creare nulla di nuovo: si potrebbe definire un “situazionista”, uno scrittore che riprende un concetto o un’atmosfera e la reinterpreta in forma breve e con la capacità di sorprendere (un esempio emblematico è Il cadavere di Beachy Head).

Nei suoi racconti rivestono una notevole importanza l’arte e la musica, con citazioni a Modigliani, Schubert, Schumann e molti altri (si dice che Prévot fosse un grande appassionato della quarta arte). Nei suoi testi, la musica svela il lato più fragile e umano delle persone, non senza un velo di malinconia, come ne Il valzer vietato.

Da notare anche l’abilità con cui l’Autore tratta il fantastico: suggerito appena, diviene una spiegazione alternativa alle ipotesi più razionali; non contraddice quest’ultime, ma ne amplia le prospettive. L’orrore di cui scrive proviene da dentro; è costituito da rimorsi e da sensi di colpa: non sfocia nelle macabre ossessioni di Poe, ma in un nubiloso fatalismo (Dei leoni, un giorno). In alcuni casi, invece, si condensa in un simbolo, come il fuoco, davanti al quale molti personaggi vengono a trovarsi (Il demone di febbraio, Pergolesi, La smemorata, etc.): è un fuoco che annienta, portando alla dimenticanza e che, quando purifica, lo fa in un senso negativo (Il fuoco purificatore).

 

Il demone del titolo è ripreso dal primo racconto; di lui sappiamo poco, se non che non conosce «nulla del tempo degli uomini». Gli esseri umani si trovano in un mondo che si sforzano di rendere a propria misura, ma che viceversa si muove su binari diversi, più articolati della realtà comune.

Per caso o mossi da una curiosità morbosa, i personaggi di Prévot scoprono i “luoghi della soglia”, nell’estremo Nord, in una remota fortezza mongola, in una soffitta o altrove. Qualcuno non regge la scoperta: «Il mondo è un brutto posto, pieno di coiti e di sangue.», troviamo scritto in Corrispondenza. Oppure: «Il mondo è vuoto.», come riporta il narratore di Strana eclisse, citando Novalis. Qualcuno è a suo agio con la realtà liminale, segnatamente una bambina (un approccio tanto spontaneo lo troviamo per esempio in Lucifero e la bambina di Ethel Mannin), come raccontato ne Il giullare di Damme, che al contempo si inserisce nella lunga tradizione orrorifica degli amanti dei gatti (Lovecraft, etc.). Altri, infine, vivono l’imbarazzo o il tormento di poter prevedere gli eventi (L’enigma del Café de Paris), confondendo i piani temporali, per una naturale incapacità di saper gestire l’eterno presente.

 

Diverse storie di questo libro presentano anche situazioni tutte umane. Il diavolo nella fortezza è un racconto che, nella sua distanza spazio-temporale, sembra voler porre le basi concettuali per tutto quel filone non soprannaturale: «Quando gli uomini hanno perso la loro innocenza, hanno iniziato col non credere più al diavolo. È per questo che oggi vi sarà difficile trovare qualcuno disposto ad ascoltare le storie fantastiche con cui una volta veniva descritta la presenza del maligno, ma sarà ancora meno facile incontrare qualcuno che non sia in qualche modo in contatto con il male.»

E così, per esempio, questo racconto si lega a Incuranti della pioggia e della nebbia, un testo all’apparenza molto distante. Si tratta di uno dei racconti che ho preferito: i protagonisti sono persone per bene, il cui inconscio sguazza tuttavia nella paura del prossimo e nel pregiudizio, fattori che finiscono per renderli proprio ciò che temono.

 

Un altro elemento, meno marcato, è il filone pacifista. Ne Il matematico, il protagonista vive già oltre la soglia, un luogo che non conosce la morte e che presenta alcuni elementi utopici. Egli però sviluppa una brutta abitudine: si appassiona alla matematica, intesa qui come “scienza” moderna, un sapere che lo fa invecchiare e che rischierebbe di diffondersi nel reame. Viene dunque cacciato: una situazione che mi ha fatto riflettere su come certe utopie funzionino bene solo fino a quando chi le vive mantiene lo status quo, o viene costretto a mantenerlo.

A parte ciò, Prévot, ex combattente della seconda guerra mondiale, esprime un sentimento comune nel secondo dopoguerra, ovvero il timore che la tecnica e la scienza non avessero ancora raggiunto il culmine del loro potenziale distruttivo.

 

Ne La confessione di Gert Verhoeven si ripresenta questa tematica, ma il racconto si allarga anche al tema del viaggio, centrale nella raccolta: «Ma chi viaggia ancora per conoscere?» si domanda il narratore, che capovolge qui il ruolo della conoscenza rispetto a Il matematico. E aggiunge un altro elemento, molto attuale: «[…] i turisti stessi così frettolosi, che gli ultimi paradisi non ancora catalogati sulle cartine rischiano di sparire prima ancora di poter essere apprezzati per il loro meritato valore.»

La questione non tocca la narratrice della storia, la cui coscienza è più matura: «Essere qui o altrove, la cosa mi lascia completamente indifferente.» Essa è capace di osservare i marinai sornioni e discreti del Mare del Nord e può fare confronti con quelli del Mediterraneo. È una figura misteriosa, che conosce molteplici luoghi e mostra una natura indipendente: «Potete piacermi, ma non potete imprigionarmi.» Un personaggio che riceve un trattamento analogo a quello che Ray riserva alle creature mitologiche in Malpertuis e che vale la pena leggere.

 

In Prévot, la fuga sfrutta anche elementi quasi fantascientifici. Ne Il chitarrista di mezzanotte si parla di “scacchi elettronici” e torna il tema della tecnica vista con timore: «La vittoria della macchina avrebbe significato per l’uomo l’inutilità profonda del continuare a giocare e gli avrebbe sottratto al tempo stesso quel sublime mezzo per allenare la mente.»

C’è chi fugge nelle lande scozzesi come il personaggio di Friedrich Ullmann (Un giardino sull’isola di Arran), perseguitato dai sensi di colpa per aver consegnato degli ebrei ai nazisti, ma c’è anche chi, come Sam Anders (La traiettoria), finge un improbabile viaggio sulla Luna che lo avrebbe lasciato in orbita come il Major Tom di Bowie. Nel caso di Ullmann, la fuga si tramuta in una resa dei conti con gli spettri del passato, ma a Anders, che in verità si è spinto a Lofoten, le cose sembrano andare molto meglio.

 

Talvolta, Prévot adotta uno stile quasi cronachistico (Un giardino sull’isola di Arran), oppure con toni da spy story, come ne Il rapporto venuto dal Reno, pervaso da un’atmosfera rarefatta: ho immaginato gli scenari notturni caratterizzati da quella pioggia tanto rarefatta da trasformarsi in nebbiolina.

L’Autore introduce il personaggio di Laure von Eschenbach, discendente del celebre Minnesänger Wolfram, che dovrebbe essere una figura secondaria e invece è l’intermediaria, il Virgilio dantesco, che indica «un sentiero perduto sulla strada». Laure invita il protagonista in un bosco, in cui ho sentito l’eco del grande dio Pan, e l’uomo raggiunge una villa tra gli alberi, alla ricerca di Abigail, la donna sfuggente. Nelle lunghe ore notturne, ascolta i Dialoghi nel bosco del Liederkreis di Schumann, «nei quali si narra di un cavaliere che entra in una foresta dove incontra una strega che lo imprigiona per sempre.» Di quale soglia stiamo parlando adesso?

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