Solarpunk e ecoluzione in un libro di Francesco Verso

 


Prima di leggere Ecoluzione (Future Fiction, 2024) di Francesco Verso, non sapevo di avere un animo solarpunk. Il libro è una raccolta di sei racconti, con un saggio introduttivo dell’Autore, una curiosa appendice e un articolo di Clelia Farris.

L’introduzione è fondamentale, non un mero abbellimento. La premessa è che viviamo in un mondo in cui è possibile solo ciò che è quantificabile e che molto materiale di oggi è più una rielaborazione di una quantità data che una creazione personale. Un’idea ben sviluppata in un libro di recente pubblicazione, Filterworld. Come gli algoritmi hanno appiattito la cultura (ROI, 2024) di Kyle Chayka, che vi suggerisco.

 

Francesco Verso affronta il tema dalla prospettiva (non solo letteraria) del solarpunk. Esso si propone «di sfidare l’ineluttabile concretezza del presente» e si segnala dunque come una tendenza letteraria della fantascienza contraria al «disfattismo contemporaneo», una «reazione al cinismo e al pessimismo delle visioni».

Ora, una parentesi personale. A tutti quelli che mi conoscono, più o meno bene, appaio come una persona pessimista e catastrofista. Forse dipende dalla lettura dello strato superficiale dei miei scritti, oppure da certe mie convinzioni stoiche (qualcuno direbbe “fredde”) sulla vita. Nel concreto, però, sono una persona positiva, persino ottimista, per quanto in maniera ponderata. Per esempio, rispetto alle più recenti tecnologie digitali, osteggiate per paura da migliaia di persone, sento di poter nutrire un cauto ottimismo, a patto che ciascuno (ovvero tutti, non solo chi è in un settore) cominci a dialogare in modo serio sulle possibilità che la tecnologia ci offre per creare comunità migliori.

 

Riprendendo le parole di Verso, il solarpunk si distingue dal nostalgico steampunk e dal cyberpunk privo di soluzioni: propone delle «strategie di uscita». Politicamente, il solarpunk «tende a smarcarsi dalla falsa dicotomia che prevede da una parte l’economia di mercato e il socialismo di stato dall’altra, tra un individualismo spinto alla competizione estrema e un collettivismo soffocante.»

In sostanza, il solarpunk mi appare come un anello di congiunzione tra idee troppo a lungo trascinate da un estremo all’altro dell’arena.

 

Ecoluzione è un’ottima raccolta perché non introduce soltanto il lettore inesperto alla materia, ma presenta anche un articolo di Clelia Farris (il suo I vegumani, sempre edito da FF, mi sta attendendo sullo scaffale) e un’intervista allo stesso Francesco Verso, molto utile per approfondire le coordinate e le intenzioni del solarpunk italiano.

Non meno curiosa è l’Appendice, dedicata ai mestieri in uno scenario solarpunk, dai botanici de-estinzionisti alla guardia ri-forestale, dal creatore di organi con stampanti 3D al tanatologo digitale. Avete mai pensato a come verrà trattata la vostra vita digitale post-mortem? Sareste propensi a creare un backup elettronico della vostra personalità, che potrebbe riportarvi in vita? Sono domande molto meno fantascientifiche di quanto si pensi.

 

I racconti

 

La tessitura del mare. Nonna Giuliana lascia in eredità a Carla l’androide Stephan, capace di «tessere il mare». Quando la nipote era bambina, la nonna le faceva recitare il “Giuramento dell’acqua”, una sorta di cantilena per rinnovare, di generazione in generazione, il legame tra l’essere umano e la baia di Sa Giunchera. Da adulta, Carla esplora insieme a Basma quei fondali, ma li trova ormai desertificati, privi delle nacchere e delle praterie di Posidonia. Al loro posto, navi da crociera.

Ho riflettuto sul cambiamento di questi orizzonti marini, un tema che riguarda molte nostre località. Ho ricordi nitidi della quantità di conchiglie, stelle e cavallucci marini che popolavano le coste friulane. A Trieste, invece, ho visto crescere il numero di grandi navi all’orizzonte, di anno in anno; parlando della costa ligure, Montale scriveva: «Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera!». Una luce non più rara e incapace di essere ancora poetica.

Nonna Giuliana vede nel bisso uno strumento sacro, che lega la popolazione al territorio. Sua figlia si è allontanata presto da casa e la catena della tradizione rischiava di spezzarsi. Contraria all’autocommiserazione, Giuliana trasmette il suo sapere a un androide. Stephan apprende 189 tipologie di ricamo; è preciso, ma privo di passione. D’altra parte, non è lecito chiedergli più di quanto la sua natura possa esprimere: tocca all’essere umano “accendere il futuro”, per usare un’espressione del testo. Carla e Basma si rimboccano le maniche e mescolano artigianato e “innovazione nativa”, da un lato riconducendo l’androide alle sue funzioni, dall’altro avvicinando i locali alle loro tradizioni.

 

Le nutanti. Ho letto il racconto due volte, attirato dalla descrizione della sindrome di Gruen: allergia, tosse, asma, catarro e molto altro, provocati dai prodotti chimici contenuti nei depuratori dell’aria o nei materiali edilizi. Ho cercato informazioni in rete, ma deve essermi sfuggito qualcosa, perché non voglio pensare che si tratti soltanto di un espediente narrativo. Da anni, infatti, mi trovo molto a disagio in determinati contesti pubblici e non penso che sia riconducibile a una generica agorafobia. Non a caso, in ambienti sconosciuti e affollati, ma che presentano diffusi elementi naturali, il problema scompare.

Il racconto sottolinea come ogni giorno respiriamo o comunque assimiliamo materie derivate dalla plastica (formaldeide, benzene, etc.) ed è impensabile che ciò non abbia delle ripercussioni. Ora, un testo horror o di altra fantascienza si sarebbe concentrato sulle estreme conseguenze del fenomeno, con esiti magari mostruosi, ma qui la prospettiva è diversa. Le soluzioni ci sono: nelle larve di coleottero, che smaltiscono queste particelle, alle piante (ho una lista da spuntare nelle prossime settimane a suon di filodendro e clorofito). Dopodiché l’Autore non vuole essere didascalico e sviluppa una trama prima tragicomica, poi apertamente ironica nel finale. Vi nomino solo la premessa sperimentale (i pappaplasti) e lo sviluppo effettivo (la #guanocalisse): andate a vedere di che cosa sto parlando!

 

Verdore. È un racconto in prima persona, che ho trovato più vicino alla mia sensibilità di lettore. Le parole chiave sono: seed-bombing, guerrilla gardening e silvicrazia. Il tutto garantito da una stampante 3D che produce semi di piante fluo. L’obiettivo? Naturalizzare la tecnologia. Non proprio occultarla, ma intersecarla: la cosiddetta “ecoluzione” passa «dalla libera ibridazione interspecie, da atti di immaginazione radicale e dall’occupazione di nicchie ecologiche abbandonate dalla metastasi della gentrificazione.»

Mi sono identificato molto nel protagonista, un sognatore che immagina l’invasione fluo – la fluorodemia – portata dai pollini e dalle spore. E sorrido al pensiero di questa poetica fantascientifica, che mi ricorda la passione per il giardinaggio del buon Karel Čapek (L’anno del giardiniere, Sellerio, 2008).

 

Il maestro delle piccole cose. Per questo racconto, facciamo un salto in Cina. Il governo cerca di rendere appetibile la campagna per contrastare l’urbanizzazione, sebbene il 45% della popolazione non si sia ancora trasferito in città. Le tematiche sono diverse: il classico rapporto città e campagna, o città e periferie (dove dominano i data center); il fenomeno dei migranti di ritorno (i vecchi contadini diventano imprenditori e convincono figli e nipoti a tornare a casa); l’estensione globale degli affari, che consente ai locali di guadagnare senza doversi muovere; l’impiego di nuove tecnologie per affiancare o sostituire il faticoso lavoro dei campi.

Al possibile idillio si accosta la spregiudicatezza di certi individui, esemplificati nella figura di Bo Guo, il quale vorrebbe trarre profitto dai nanosomi, una tecnologia impiegata per rendere più efficiente il corpo in termini di necessità alimentari. I nanosomi sono una soluzione a un problema incancrenito: poiché non siamo capaci di considerare il cibo un diritto fondamentale, tanto vale renderlo inutile all’organismo. Si innesta così nella trama un ulteriore tematica, che trova pieno sviluppo nel racconto finale.

 

La nave verde. Nel testo precedente, i droni servivano a seminare i campi; qui assumono la funzione di sorveglianti dei mari, che si attivano al movimento dei barconi carichi di migranti. In Verdore, la stampante 3D serviva a innescare una rivoluzione fluo; qui consente la costruzione di blocchi marini in una sola notte.

Talvolta bisogna ripartire dalle vecchie ferraglie, persino quelle militari: la Nave Verde è una portaerei dismessa trasformata in giardino, unica speranza per i migranti abbandonati a loro stessi. Le stampanti 3D, nelle mani giuste, tornano in azione e fanno finalmente sorgere una terra nomade.

 

Ecoluzione. Gli scarichi delle industrie si riversano nei fiumi, diffondendo l’alga infestante nota come spirogyra. Muoiono molluschi, lumache e conchiglie. L’alga stessa imputridisce al sole, fino a quando i Pulldogs giungono nei paraggi. Il gruppo si occupa di trasformazioni silenziose: nascono edifici di alghe, recinti per pesci, una fattoria idroponica e molto altro ancora. Il gamberetto del Bajkal, che era stato sterminato dall’alga, viene clonato e i naniti ingegnerizzano i tratti desiderati, rendendolo più resistente al nuovo ambiente.

Il personaggio di Igor, di fronte a tanta efficienza e spontaneità, non può che convertirsi all’ecoluzione, quasi una fede che mescola misticismo e pragmatismo: «nel vuoto lasciato dal comunismo e dal capitalismo, doveva pur esserci spazio per un’ideologia che riconciliasse il desiderio di libertà individuale con uno stile di vita sobrio e consapevole.»

Come sottolinea il personaggio di Miriam, è tempo di finirla con la continua richiesta di informazioni, che accomuna un po’ tutti i famelici apparati burocratici. È tempo di finirla con certi limiti fisiologici, che diventano il perno del potere di turno per condizionare le scelte individuali e collettive: così i naniti riducono il fabbisogno alimentare e ottimizzano il metabolismo. Come la Nave Verde, anche i Pulldogs costruiscono in silenzio il loro arcipelago terrestre, costituito da comunità solidali e transumanti. Mentre le fazioni fanno a gara per determinare colpe altrui, l’ecoluzione «vi proteggerà dalla siccità e dalle inondazioni, vi permetterà di adattarvi alla mutevolezza delle stagioni, galleggerete insieme all’ambiente, ne sarete parte integrante, senza dover più fuggire.»

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