L’inconscio è la nostra naturale realtà aumentata. Carroll e Alice
Il Paese delle Meraviglie è un esempio perfetto di archetipo contemporaneo. Dietro apparenze oniriche, il romanzo di Lewis Carroll scardina i confini di ciò che è reale: non mostra un “mondo altro”, ma un’estensione della realtà in cui già viviamo. Ciò che cambia è il punto di vista (alterato per l’età) di Alice, una giovane messa di fronte a situazioni più grandi di lei. È una protagonista priva di poteri particolari, capitata in un luogo in cui le regole e i rapporti di forza cambiano a ogni passo.
Si è parlato molto dell’ipotesi che Alice viva
uno stato alterato di coscienza, a causa di una droga o per una malattia
mentale. In realtà, sono convinto che basterebbe rievocare la propria infanzia;
cercare di immedesimarsi nel bambino che siamo stati, e chiedersi se anche noi, a
modo nostro, non abbiamo vissuto incredibili avventure con amici immaginari, in
luoghi reali trasformati dall’inconscio, da quella realtà aumentata che ci
appartiene per natura.
Nell’opera, non vi è solo la
rappresentazione della caoticità dell’infanzia, con tutte le sue trasformazioni,
le possibilità pressoché infinite, la fantasia che addomestica la ragione: è
anche l’affacciarsi di una bambina alla vita adulta, costituita da codici
sociali spesso incomprensibili, da leggi assurde e arbitrarie. È difficile che
oggi qualcuno non conosca almeno per sommi capi la storia di Alice, ma
immedesimatevi in un lettore dell’epoca e pensate allo stupore che deve aver
generato una tale varietà di episodi.
Non solo meraviglie esteriori, ma mirabolanti usi del linguaggio: ogni conversazione è una lotta tra nonsenso e significato. La Regina di Cuori, che vorrebbe controllare la verità con i suoi sproloqui, finisce per rendersi ridicola. Il Paese delle Meraviglie è il regno dell’autosufficienza, lo spazio del perfetto equilibrio tra istanze che altrove sarebbero incompatibili.
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