L'umanità di fronte all'ignoto. Accettazione di Jeff VanderMeer
Il terzo volume della Trilogia dell’Area X
intreccia le linee temporali e i punti di vista dei personaggi introdotti nei
precedenti romanzi, Annientamento e Autorità, di cui ho avuto modo
di parlare nel blog. Il romanzo conclusivo si distingue per la molteplicità
delle voci narranti, che conferiscono un nuovo dinamismo alla narrazione, anello
mancante del precedente volume.
La trama si sviluppa attraverso le
esperienze di diversi personaggi: Saul Evans, la Direttrice (Gloria), Controllo
(John Rodriguez), Uccello Fantasma, Jack Severance, Sadi e altri. Per un mio
ordine mentale, provo a fare ordine tra alcune di queste figure.
Saul è un ex predicatore e guardiano del
faro; una figura centrale nella genesi dell’Area X. Dopo essere stato punto da
un misterioso “fiore di luce”, l’uomo inizia a recitare un sermone enigmatico e
subisce una trasformazione che lo porterà a diventare lo Scriba, la creatura
che scrive parole organiche sulle pareti della Torre.
Gloria è una figura complessa che, dopo
essere entrata clandestinamente nell’Area X con il collaboratore Whitby, scopre
elementi inquietanti legati alla creazione dell’Area stessa. Affetta da un
tumore terminale, decide di partecipare alla dodicesima spedizione come
psicologa, portando con sé una lettera per Saul, simbolo del suo desiderio di
riconciliazione (desiderio legato a un intreccio biografico che riguarda i
due).
Controllo e Uccello Fantasma (la copia
della biologa generata dall’Area X) intraprendono un viaggio attraverso un
portale sottomarino che li conduce a Failure Island. Qui incontrano Grace
Stevenson, ex vicedirettrice della Southern Reach, che rivela come il tempo all’interno
dell’Area scorra più velocemente rispetto all’esterno. Grace condivide con loro
il diario della biologa, che descrive la sua permanenza trentennale sull’isola
in compagnia di un gufo, che ha creduto essere suo marito trasformato.
Jack Severance e Sadi sono personaggi meno
centrali, ma che ho trovato significativi in certi passaggi. Il primo, noto
anche come “Ol’ Jim”, è un agente della Centrale che indaga sulle origini dell’Area
X, mentre Sadi è una figura enigmatica che contribuisce a svelare i misteri connessi
alla creazione dell’Area. Rappresentano insomma l’interrelazione tra le
istituzioni umane e le forze incomprensibili; ricercatori dell’ignoto ben
caratterizzati, ma ammantati anche da una certa dose di ambiguità.
D’accordo, ma di che cosa parla in sostanza il romanzo? Di trasformazione, di identità e di comprensione dell’ignoto, allargando quanto già esplorato nei due romanzi precedenti. L’Area X agisce come un’entità che sfida le leggi della natura e della percezione umana, costringendo i personaggi a confrontarsi con le proprie paure e a ridefinire il concetto di sé. Tra le pagine troviamo una valanga di interrogativi – la maggior parte senza risposta – nonché un gran numero di ipotesi e di riflessioni sul passato dei personaggi, alla ricerca di una verità o di una soluzione imperscrutabili.
Come espresso nel titolo, il romanzo
esplora infine il tema dell’accettazione, sia in senso personale che cosmico,
suggerendo che la conoscenza dell’ignoto richieda una resa all’incomprensibile.
Forse è questo che mi ha infastidito di più della trilogia: che non si arrivi
mai a una vera e propria conclusione, che l’ignoto prevalga con la sua forza su
ogni tentativo umano di risoluzione, razionale o metafisico (la “brigata”
spiritistica; l’ispirazione pastorale di Saul). E forse – ne prendo atto nel
momento in cui scrivo – quel fastidio che ho provato è il punto forte dell’opera.
Dal punto di vista stilistico, Accettazione
si differenzia per la sua narrazione non lineare e per il cambio di prospettive
e di tempi verbali, che conferiscono al romanzo un ritmo più dinamico rispetto
al secondo volume, che ho trovato davvero macchinoso. Questa struttura permette
al lettore di immergersi profondamente nelle esperienze dei personaggi e di
comprendere la complessità dell’immaginario creato, grazie alle molteplici
lenti interpretative.
Ostinato a dare un senso ai simboli – il faro,
la torre, l’isola, la discesa, etc. – non stavo realizzando che la trilogia è
un’esplorazione in corso dell’ignoto. Non è il resoconto di un successo
o di una rivelazione, ma la dimostrazione della finitezza umana di fronte ai
segreti del cosmo, rispetto ai quali possiamo porci come osservatori senza
pregiudizi, pena il nostro annientamento quali individui.
Se volessi dare un significato complessivo
alla trilogia, dovrei tenere conto delle sue suggestioni ecologiche,
filosofiche e psicologiche, che più che fornire risposte definitive costruiscono
uno slancio nella direzione dell’inspiegabile.
Penso di poter dire che l’Area X non sia
una semplice anomalia geografica o un evento paranormale, ma una forza
evolutiva e cosmica, un’intelligenza aliena (ma non nel senso classico di “extraterrestre”)
che agisce secondo logiche non umane, spingendo gli organismi verso una
trasformazione radicale. Non è una forza distruttiva, ma che trasfigura,
riforma e riscrive.
In senso stretto, l’Area X potrebbe essere una reazione della Terra all’aggressione umana; un esperimento sfuggito di mano; un elemento esogeno che ibrida ciò che esiste. È anche un luogo simbolico, quasi gnostico: un campo dove la realtà si smaglia e regna l’instabilità. L’Area X non è malvagia o benevola; la sua alterità consiste nel non conformarsi agli schemi mentali umani. Rappresenta forse il post-naturale, una risposta quasi filosofica al post-umanesimo. Il volume finale della trilogia ci colloca in una posizione scomoda e ci domanda fino a che punto siamo disposti a decostruire l’Io per poterci aprire a un nuovo paradigma della realtà.
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