L'eredità monastica in Friuli. Il valore della solidarietà nell'assistenza sanitaria
Domenico di Bartolo, Cura degli ammalati (anni Trenta-Quaranta del XV secolo); pellegrinaio dell'Ospedale di Santa Maria della Scala di Siena |
L’assistenza e la cura dei malati è
testimoniata già nelle antiche civiltà, come quella egizia, in cui “medicina” e
magia si mescolavano per garantire la salute al paziente. A loro volta i Greci
e i Romani svilupparono un sistema assistenziale, che ruotava intorno ad alcuni
centri come Ravenna. Con la caduta dell’Impero, però, le notizie in merito
all’assistenza medica si riducono fino al silenzio, finché, con l’avvento dei
Longobardi, si ricomincia a parlare con una certa regolarità di luoghi di cura
(importantissima in tal senso fu la città di Cividale).
La vera svolta, anche in questo contesto,
giunse tuttavia con i Carolingi, o meglio, con la diffusione dei monasteri
benedettini. L’avvento delle crociate, alcuni secoli dopo, non fece che
incentivare la creazione di ospizi, ospedali, alberghi, taverne e altre
strutture di accoglienza. A lungo andare, anche le confraternite di mestiere
(per esempio i sarti o i pellicciai) fecero a gara per offrire servizi
assistenziali: tra loro, i cosiddetti Battuti, appartenenti a diverse
confraternite laiche, facevano opera di beneficenza e al contempo si
auto-flagellavano come segno di penitenza.
Il Friuli fu luogo di passaggio
soprattutto nelle prime spedizioni crociate e vide passare per le sue terre
personaggi come Raimondo di Tolosa e Ademaro, vescovo di Puy. In un secondo
momento, invece, si preferì la via marittima, che partiva dai porti di
Aquileia, Latisana, Portogruaro e Trieste. Lo studioso Altàn ricorda inoltre
alcuni dei nobili friulani che parteciparono alle crociate: Recindo di
Strassoldo militò sotto l’imperatore Federico Barbarossa nel 1189, morendo fra
la Cilicia e l’Armenia; vi furono poi i Caporiacco, signori di Zuino e
Porpetto; i Cerclaria di San Gallo e molti altri. Non ultimo, il patriarca
Wolfger di Ellenbrechtskirchen (1204-1218), che in qualità di vescovo di Passau
raggiunse la Terra Santa con l’imperatore: intrattenne buone relazioni con i
Mussulmani, con l’intenzione di riuscire a liberare i prigionieri e gli schiavi
cristiani.
Nel 1218, con le insegne di Federico, conte di Ortemburgo sotto
l’armata del re ungherese Andrea, praticamente ogni nobile famiglia friulana
poteva vantare almeno un parente lontano che avesse partecipato ad una
crociata. Ciò creò una certa rispettabilità nei loro confronti e contribuì a
rafforzare l’identità locale. Sono gli anni, non a caso, in cui ad Aquileia si
riprodusse il Santo Sepolcro, così come avveniva nel resto d’Europa.
In questo periodo il Friuli, per la sua
posizione strategica, fu attraversato da Nord a Sud (si pensi all’importanza
del Tagliamento) e da Ovest ad Est, sopra e sotto la linea delle risorgive.
Nell’arco alpino i passi principali furono due, quello di Monte Croce
Carnico-Plöckenpass e quello di Tarvisio-Coccau. Il primo interessava le
relazioni con Tirolo e Baviera, il secondo con l’Austria interna, Stiria e
Carinzia.
Influenzato dagli ordini
monastico-cavallereschi, l’Ordine di Santo Spirito in Sassia, fondato da Guido
di Montpellier per l’assistenza agli infermi e agli indigenti, fu attivo in
Friuli. Riconosciuto nel 1198 da Innocenzo III, assunse la regola agostiniana e
rispose al problema dell’accoglienza insieme agli altri ordini monastici.
L’Ordine di Santo Spirito fu quindi presente ad Ospedaletto (presso Gemona),
nell’area di Tolmezzo, Cividale, Gorizia, Udine, Fiumicello (presso
Cervignano).
Anche l’Ordine di San Lazzaro fece la
sua parte sul territorio: sembra avesse sedi a Portogruaro, Udine, Cividale,
Levrons (significativo il nome, legato a “lebbroso”) e Aquileia. In questo
caso, il rischio è di compiere errate attribuzioni, poiché si sviluppò la
tendenza a dare il nome di “lazzaretto” ad ogni luogo di isolamento delle
malattie infettive, incluse quelle strutture che nulla avevano a che fare con
l’Ordine di San Lazzaro.
Come abbiamo ricordato, dal
Duecento le associazioni laiche e artigiane fondarono confraternite che resero
più sistematica l’assistenza ai bisognosi, pur mantenendo una imprescindibile
vocazione religiosa. Oltre all’Ordine di Santo Spirito, l’Ordine di
sant’Antonio Abate (l’eremita) nacque per gli ammalati di ergotismo. Fondato
già alla fine dell’XI secolo da Gastone, signore di Vienne nel Delfinato, e
approvato da Urbano II, dovette attendere il 1218 per la conferma di Onorio
III. Infine, Bonifacio VIII riorganizzò la confraternita, che assunse il nome
di Canonici regolari di Sant’Antonio di Vienne (bolla Ad apostolicae dignitatis, 1297).
Come i Lazzariti, la confraternita fu influenzata dagli ordini militari.
Anche grazie all’attività di questi
gruppi, tra il XII e il XVI secolo, ad Udine vi fu una crescita dell’assistenza
pubblica: i medici condotti e stipendiati furono sempre di più e con il passare
del tempo crebbe il loro prestigio, tanto che se ne fece richiesta anche in
altre città, come Monfalcone, Gorizia, Lubiana e Venezia. Nel momento in cui la
spiritualità laica prese il sopravvento, ospedali e confraternite finirono per
confondersi.
La confraternita del Sacramento nacque
proprio ad Udine alla fine del XIII secolo: proponeva agli iscritti il culto
del sacramento eucaristico; promuoveva la carità e l’attività culturale. Nati
in seno ai Domenicani, nel 1496 se ne staccarono, formulando dei propri
statuti.
La confraternita dei Battuti, invece,
accentuò la devozione alla Madonna, alla quale intitolarono molte chiese, nella
volontà di ristabilire un rapporto più sentito con la madre di Cristo.
Furono infine i Francescani a proporre
il “Monte di Pietà”, un’istituzione finanziaria senza scopo di lucro, che
favorendo il microcredito venne incontro ai bisogni delle persone in
difficoltà. In regione, tra Duecento e Quattrocento gli operatori toscani (fino
al 1450, quando i Veneziani li espulsero), lombardi e soprattutto ebrei ebbero
un ruolo determinante.
L’“ospedale”, inteso come luogo di
ricovero e di cura, esistette già nell’antichità, ma fu grazie al Cristianesimo
che si introdusse l’elemento caratteristico della pietas. L’ospedale come lo intendiamo oggi nacque dalla commistione
di elementi etici dell’antichità greco-romana e dalla forza propulsiva del
monachesimo benedettino.
Inizialmente, la struttura non era altro che un hospitium con annessa l’infermeria, che
poi si ingrandì in foresteria per accogliere sempre più viandanti.
Dall’iconografia vediamo letti con pagliericcio, sottili lenzuola probabilmente
di lino, pasti contenuti, ma comunque sufficienti a sfamare. Dal X secolo, con
l’aumento dei pellegrinaggi e con una maggiore mobilità commerciale, gli
ospedali si diffusero capillarmente in regione. Abbiamo citato monaci,
monaci-guerrieri e confraternite laiche e riformiste: citiamo dunque alcuni
antichi ospedali che furono l’avanguardia della solidarietà friulana.
Partiamo da San Tomaso di Maiano: qui
esisteva la commenda di san Giovanni di Susans, risalente al 1199, che
prevedeva un ospedale, la casa del priore, la chiesa, le mura e forse una
stalla. Bene organizzato anche l’ospizio-ospedale di San Daniele, del XIII secolo,
gestito dall’Ordine di sant’Antonio Abate.
A Spilimbergo, invece, esistevano
due ospedali dedicati a san Giovanni: l’uno era precedente al Trecento; l’altro
del XIV secolo, appartenente ai Battuti. Questa confraternita ebbe anche un
ospedale a San Vito al Tagliamento, nel XIV secolo, mentre a Pordenone si parla
di un ospedale nel 1319, ma la fondazione dev’essere di molto precedente.
All’inizio del Duecento, il patriarca
Wolfger fondò un ospedale a San Nicolò di Levata, o di Ruda, organizzando
inoltre la manutenzione e la difesa della strada che congiungeva Aquileia e
Cividale. Nel 1249 il priorato dell’ospedale fu affidato agli Ospitalieri, che
si occuparono della difesa della strada, supervisionando la manodopera addetta
alla manutenzione.
Ad Aquileia, invece, ricordiamo l’ospedale di sant’Ilario e
Taziano, forse risalente all’XI secolo. Fuori le porte, poi, esistette un
lebbrosario dedicato a sant’Egidio. Avamposto del patriarcato di Aquileia, la
città di Pontebba ospitò un lazzaretto, le cui fonti risalgono però agli inizi
del XVII secolo: la città era importante poiché da qui passavano spesso le
merci di contrabbando e si avvertì la necessità di introdurre regolari
certificati sanitari. Anche Tolmezzo si trovò al centro di strade, corsi
d’acqua e montagne di grande valore strategico: sebbene è intuibile la presenza
di un antico ospedale, il primo centro noto risale al XIV secolo e si trattava
di un ricovero della confraternita di sant’Antonio.
Molto più antico, invece, lo xenodochio
di Cividale, fondato nel VII secolo dal duca Rodualdo e dedicato a san
Giovanni: esso si può forse considerare il primo esempio di ospedale cristiano
in Friuli.
Ma la vera svolta in àmbito sanitario fu
compiuta dalla città di Udine, che alla fine del Medioevo emerse come il più
importante centro politico dell’area. Nel XVII secolo si segnalavano ben
tredici ospedali: tre derivavano da confraternite di mestiere (Calzolai,
Fabbri, Pellicciai); due da confraternite nazionali (Slavi nell’XI secolo,
Alemanni nel XV); almeno due collegati a monasteri (Santa Lucia, San Gervasio),
etc. Non poteva ovviamente mancare un ospedale di san Lazzaro, lebbrosario
restaurato dal patriarca Pellegrino II già a cavallo tra XII e XIII secolo
(perciò la sua fondazione è antecedente).
La portata di questo sistema, che dal
monastero si spostò agli ospedali cittadini, è difficilmente comprensibile
oggi, poiché la sua progressione si è svolta per piccoli passi, secolo dopo
secolo, fortificando il senso di appartenenza del popolo friulano, nonché la
sua capacità di essere tanto accogliente quanto intransigente, tanto pragmatico
quanto idealista.
La storia della solidarietà in Friuli affonda le sue radici
nel monachesimo e, dopo averne assimilato le conoscenze materiali e spirituali,
si muove nel mondo laico. Ad oggi, questo rapporto tra i due mondi prosegue in
modo equilibrato e la loro interazione reciproca garantisce ancora un progresso
per la comunità.
Nota: per un approfondimento di questo post, si rimanda all'articolo Il monachesimo e gli ordini cavallereschi in Friuli (qui); per un altro articolo di storia locale del Friuli (e dintorni), su questo blog si trova il post Napoleone tra Veneto e Friuli. L'eco della Rivoluzione (qui).
Bibliografia
° AA.VV., Storia della solidarietà in
Friuli, Jaca Book, Milano, 1987
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° Brunettin G., Gli istituti
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monachesimo benedettino in Friuli in età patriarcale
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° Jože Mlinarič, Il contributo
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° Scalon C. (a cura di), Il
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Universitaria Udinese Srl, Udine, 2002
° Zenarola Pastore I., Testimonianze documentarie sui monasteri benedettini in archivi
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in Cesare Scalon (a cura di), Il monachesimo benedettino in Friuli in
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° Zovatto P., Il monachesimo
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