Dieci consigli critici per uno scrittore esordiente

Leonid Pasternak, Throes of Creation


Premessa


Di recente mi è capitato di dover giudicare alcuni incipit di romanzi altrui; in passato avevo già revisionato opere per commissione o per un parere informale. Così nel tempo mi sono fatto un'idea di molte difficoltà a cui vanno incontro gli aspiranti scrittori e ho tratto un insegnamento valido anche per me.
In questo post raccolgo alcuni appunti; si tratta di un'analisi che cerca di essere il più possibile sintetica, a costo di trascurare alcune ulteriori considerazioni. L'obiettivo è tuttavia di fungere da breve guida per aspiranti scrittori, evitando il più possibile le banalità che si ritrovano in molte liste di questo genere.

I dieci punti che ho individuato si possono sintetizzare all'estremo nel modo seguente:

1. tendenza alla ridondanza;
2. difficoltà a gestire il presente storico;
3. inverosimiglianza interna alla storia stessa;
4. eccessi;
5. certi errori di punteggiatura ricorrenti;
6. gestione acritica delle opinioni personali;
7. incapacità di osare con coscienza critica;
8. drammatizzazioni inutili;
9. figure retoriche impiegate senza limiti;
10. finta inconsapevolezza di che cosa significhi "sinossi".


Dieci consigli critici


Entriamo ora nel dettaglio, punto per punto.

1. La tendenza alla ridondanza si concretizza soprattutto nella convinzione che sia "poetico" o segno di stile riprendere gli stessi concetti ogni quattro parole. Questo approccio può essere particolarmente valido in un saggio, in un testo scientifico o filosofico, ma se si tratta p. es. di narrativa si rischia quasi sempre di appesantire il lettore, se non persino di innervosirlo.
A volte non è indispensabile che il termine ripetuto sia lo stesso; basta anche la riproposta di una stessa idea, per non parlare di quelle parti del discorso che tornano in modo ricorrente nel testo e lo rendono infinito.
Esempi: più di un avverbio all'interno di una stessa frase o comunque in poche righe successive; congiunzioni ripetute (e... e... e... e basta!); verbi al gerundio in elenchi interminabili; etc.

2. La difficoltà a gestire il presente storico potrebbe essere evitata semplicemente non impiegandolo. Invece, lo scrittore emergente tende ad utilizzarlo con una certa frequenza. Peraltro non penso si tratti di una scelta del tutto consapevole: lo scrittore viene catturato dalla propria narrazione e all'improvviso perde il controllo dei tempi verbali, confondendo la narrazione al passato con la scena al presente che sta vivendo nella propria mente.
Sembrerà un suggerimento strano, ma leggete i libri di storia dell'arte e in particolare di critica, perché alle vicende storiche al passato si è soliti alternare le descrizioni delle opere d'arte al presente.

3. L'inverosimiglianza non ha nulla a che fare con la distinzione tra realismo e fantasia. Non facciamo confusione. Ci sono storie che cominciano benissimo e naufragano nel tentativo di stupire il lettore con svolte (che chiamano "colpi di scena") fuori da ogni logica interna al testo. Questo accade in particolare con il genere fantasy: lo scrittore crea un suo mondo, articolato secondo regole ben precise, per poi violarle oppure introdurne di totalmente nuove, in contrasto con il clima instaurato fino a quel momento.
Qualcuno potrebbe obiettare che scrittori come James Joyce scrivessero in modo caotico e irrazionale, impiegando il cosiddetto stream of consciousness. Questa affermazione non tiene però conto del fatto che Joyce, alla fine, avesse un controllo di quel caos, precario quanto si vuole, ma pur sempre un controllo.
Anche la tecnica del cut-up, impiegata nel Dadaismo e da scrittori come William S. Burroughs, porta a risultati finali che nella loro assurdità restituiscono comunque un ordine interno al testo.
Per fare un ulteriore parallelo con l'arte, nemmeno la tecnica del dripping impiegata da Jackson Pollock portava a tele prive di ogni logica interna: il controllo dell'artista era anzi meticoloso.
Il fatto è questo: uno scrittore che non ha il controllo sul proprio materiale è come un fabbro che non conosce i propri metalli, ma che pretende di forgiare oggetti da collezione.

4. Gli eccessi in un testo possono essere di vario genere. Innanzitutto, le parentesi, che spesso aggiungono talmente tanto materiale che si potrebbe creare un racconto a parte. Qui il discorso riprende il tema del controllo dello scrittore.
Vi sono poi testi con descrizioni interminabili, in periodi così lunghi e complessi che Cicerone sembrerebbe Seneca al confronto. Anche se, regolarmente, in questi periodi confondono genere, numero e tempi verbali, per non nominare nemmeno la punteggiatura.
Un altro eccesso, inconsapevole, riguarda la grammatica. Ci sono persone, dai docenti/studenti universitari agli scrittori (esordienti e non), che non conoscono i congiuntivi o non sanno come gestire i periodi ipotetici. In questo caso, più che leggere un testo di grammatica, bisogna leggere in generale, e leggere tanto. Così da capire quando invece è concesso impiegare una "e" dopo la virgola (come nella frase precedente a questa, che è più che altro una scelta di stile al posto dei punti di sospensione), oppure un verbo non coniugato al congiuntivo per una "resa d'effetto" (come la similitudine del fabbro al punto 3).
Infine, almeno un eccesso riguardante il linguaggio. Si può utilizzare un linguaggio offensivo, osceno, persino oltraggioso? Contrariamente ai regolamenti di tanti concorsi odierni, dico di sì: di fronte ad un neo-puritanesimo di molta scrittura contemporanea, un po' di disagio può solo aiutare a non addormentarsi. Per quello esistono già le ninna-nanne.

5. Sulla punteggiatura potremmo davvero stendere un velo pietoso. Per i più è una sorta di cornice, un po' fastidiosa, per decorare il testo, e non invece una chiave per interpretare lo stile.
Vengono inserite virgole dove non andrebbero (p. es. tra soggetto e verbo, oppure separando periodi in modo illogico) e mancano invece dove servirebbero (p. es. nei vocativi).
Il punto fermo ha invece la caratteristica di essere utilizzato troppo poco: anziché scrivere una frase brevissima, vi è la tendenza ad allungarla per almeno una intera o più, forse nella convinzione che "più è meglio", contravvenendo all'adagio di Mies van der Rohe.
E il punto e virgola? Uno sconosciuto, o un oggetto scomodo. Il punto e virgola è un tocco di stile; anzi, quando è impiegato come si deve, è lo stile.

6. Le opinioni personali non possono mancare in un testo letterario, a meno che non si vogliano imitare per qualche ragione i testi veristi e naturalisti, ovviamente fraintendendoli per scarsa conoscenza del loro reale significato storico-letterario.
Eppure vi è la tendenza a proporre una serie di opinioni, pensieri e sentenze, dando per scontato che il lettore le condivida e senza proporle in maniera critica o dialettica. Non bisogna necessariamente rendere esplicite le proprie intenzioni o argomentazioni a favore o contro un certo tema, ma è preferibile lasciare che siano i personaggi a mostrare, con la loro interazione, la prospettiva che lo scrittore intende offrire al lettore.

7. L'incapacità di osare con consapevolezza critica si lega a quanto appena scritto. Impauriti dal giudizio altrui e desiderosi di "fare cose" che piacciano, la gran parte degli scrittori si adagia su moduli visti e rivisti. Spesso affrontandoli con una pedanteria disarmante.
L'aspetto che crea maggiore sconforto è che questi moduli sembrino funzionare più volte di quanto sia ragionevole supporre. Ciò è dovuto al fatto che il lettore legge mediamente storie appaganti che non lo portano a mettersi in discussione e questo attiva un circolo vizioso, in cui si producono scritti piacevoli per sedurre il lettore, mentre quest'ultimo sostiene quello scrittore che lo ha rassicurato in ogni suo schema mentale.
Tuttavia, anche quando uno scrittore tenta di osare, rischia spesso di cadere nel ridicolo o nel kitsch: è importante non voler demolire per il puro gusto di farlo o per mera estetica, ma perché si ritiene che vi sia davvero uno schema, un pensiero o un modulo letterario da dover reinventare.

8. Una delle cose più fastidiose sono le drammatizzazioni inutili, struggenti e melodrammatiche, realizzate fingendo (o peggio, essendo convinti) che un tono banale-introspettivo emozioni il lettore.
Inoltre, questo ci porta a considerare la caratterizzazione dei personaggi. Non di rado tali esagerazioni coinvolgono anche i protagonisti, con i quali lo scrittore è convinto che il lettore si sia identificato. Per cui si sente in diritto di rivelarci i segreti di quel personaggio, le sue memorie, paure e pensieri, perdendosi in descrizioni di cui al lettore importa poco o nulla. L'errore dello scrittore è presumere che ciò che sente per un suo personaggio sia condiviso allo stesso modo dal lettore.

9. A queste drammatizzazioni contribuiscono metafore e similitudini interminabili, degne dei più grandi poeti mai esistiti... e allora - mi dico in breve - dedicatevi alla poesia, che è pure una nobilissima arte.

10. Le persone non conoscono il significato di sinossi e, anche quando lo apprendono, fingono di non conoscerlo e dunque scrivono trame o testi da quarta di copertina, per paura di svelare i loro grandi "segreti".
La sinossi non è altro che un riassunto in forma sintetica. Il termine deriva dal greco sýnopsis e significa "sguardo d'insieme". Per questo si deve riassumere la storia con tanto di sviluppi e soprattutto di conclusione. Certo, non servono tutti i dettagli; non bisogna specificare ogni singolo evento, ma - appunto - offrire uno sguardo d'insieme che evochi l'intero contenuto.

Per concludere, vorrei aggiungere un'ultima breve considerazione. Curiosamente, le storie più improbabili (a partire dai titoli), quelle che non si prendono sul serio, sono le più riuscite. Questo la dice lunga sulla differenza tra essere e fare lo scrittore.

Commenti

  1. I consigli che tu hai dato sono più utili di tanti corsi di scrittura creativa 😊😉

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  2. In terribile ritardo, ma ti ringrazio! :)

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