Napoleone tra Veneto e Friuli. L'eco della Rivoluzione
Henri-Paul Motte, Napoleone ad Aquisgrana |
Quando la Serenissima concesse all’armata francese di attraversare le proprie terre, ebbe inizio l’ultimo atto della millenaria Repubblica e l’abdicazione di Ludovico Manin, ultimo doge, segnò il primo significativo cambiamento, aprendo le porte nel 1797 alla Repubblica Cisalpina.
Proveniente da Conegliano, dove i
Francesi avevano razziato opere d’arte e rifornimenti, Napoleone Bonaparte si
fermò a Sacile con il suo Stato Maggiore il 14 marzo 1797. Il giorno seguente
proseguì la marcia verso Pordenone, mentre un contingente – guidato
dall’ufficiale Serurier – era stato mandato come avanguardia presso Valvasone.
In quest’area si combatté una dura battaglia con le truppe dell’arciduca Carlo,
che ebbero la peggio.
I giorni seguenti videro i Francesi
avanzare su più fronti, conquistando città come San Daniele, Osoppo e Gemona. Napoleone
si insediò nell’importante città strategica di Palmanova, da dove coordinò
truppe e rifornimenti. A metà del mese, l’esercito rallentò a causa delle forti
piogge e il condottiero francese richiese informazioni sulla geografia del
territorio. Fu in quell’occasione che Napoleone cominciò ad interessarsi in
maniera sistematica alla topografia locale, ponendo le basi del futuro “catasto
napoleonico” (1808). Risolti i problemi logistici, una parte dell’esercito
raggiunse Gorizia il 20 marzo e in seguito Napoleone si scusò con il
luogotenente veneto di Udine per le razzie, ordinando la fucilazione dei responsabili.
Napoleone si accordò quindi con i
magistrati triestini per l’ingresso pacifico delle truppe, che avvenne il 23
marzo. Dopo un mese trascorso in Austria, fece ritorno a Palmanova e a maggio
dichiarò guerra alla Repubblica veneta, ormai ininfluente in terra friulana. Ad
agosto alloggiò alla villa dei conti Manin e per tutto il mese si occupò di
questioni non solo militari, come il miglioramento dei servizi negli ospedali
udinesi. Nel frattempo sostenne parte delle spese militari vendendo i beni
ecclesiastici dei territori occupati, seguendo uno schema ormai consolidato.
A settembre proseguirono le trattative
diplomatiche e il consolidamento del potere, cercando di arruolare i giovani
friulani e curando le infrastrutture tra Portogruaro e Latisana. Non mancarono
nemmeno i colloqui con i patrioti veneti, che chiesero a Napoleone di non
abbandonare Venezia agli Austriaci. La situazione con questi ultimi diventò
sempre più tesa con l’avvicinarsi della data ultima per siglare il trattato di
pace, che alla fine venne firmato nella notte del 17 ottobre a Campoformido,
sebbene vi siano indizi che indichino invece la sede di villa Manin.
Il trattato sancì anche la fine della
Repubblica di Venezia, dopo più di mille anni dalla fondazione, che passò
all’Arciducato d’Austria, scatenando lo sdegno dei patrioti italiani. Napoleone
tenne per sé solamente alcune isole greche per ragioni strategiche e ottenne in
cambio il riconoscimento della Repubblica Cisalpina.
Si trattò peraltro di una dipartita
definitiva per i Veneziani, dal momento che anche dopo la caduta di Napoleone,
il congresso di Vienna del 1814 unì i territori veneti a quelli del ducato di
Milano, ricostituendo così il Regno lombardo-veneto a dominazione austriaca.
Ciò nondimeno, l’occupazione francese
aveva prodotto risultati in grado di durare più a lungo dell’epopea
napoleonica. Oltre a riorganizzare il catasto, Napoleone modernizzò
l’amministrazione, con una gerarchia centralizzata che andava dal Viceré al
comune sindaco, sotto la tutela legislativa del Codice Napoleonico.
In merito ai rapporti tra Chiesa e
Stato, Napoleone obbligò gli ecclesiastici a prestare giuramento di fedeltà
allo Stato, per quanto l’investitura canonica rimase una prerogativa papale. In
linea generale, controllò i beni della Chiesa istituendo il Ministero per il
Culto e spesso i parroci funsero da intermediari tra i governanti e la
popolazione. Fu, per esempio, il caso del pievano della Parrocchia di Pasiano, Mattia
Bertoli, che dal pulpito comunicava le direttive ministeriali e si occupò, tra le
varie cose, di trascrivere dai registri parrocchiali i nomi di coloro che
avrebbero potuto prestare il servizio di leva.
Un altro aspetto del depotenziamento
ecclesiastico riguardò l’istruzione, dal momento che prima della riforma
napoleonica esisteva un precettore (di solito un uomo di Chiesa), che lavorava
per un’élite che era la sola in grado di permettersi una tale spesa. Si passò
quindi al concetto di scuola pubblica, ennesimo elemento che richiamava quel
desiderio di uguaglianza tra i vari ceti sociali, e che riguardò a sua volta il
fisco, dato che furono estesi i tributi, in modo proporzionato, a coloro che
fino ad allora erano stati agevolati dai benefici, a partire dagli stessi ecclesiastici.
Sempre nella direzione di una maggiore
sensibilità e unità civica, Napoleone introdusse in Friuli la leva obbligatoria, che
tuttavia – a causa del precario clima politico – non ebbe modo di radicarsi e
provocò anzi diserzioni dovute alla crescente pressione fiscale per le spese di
guerra. Se però l’astro francese si dissolse nell’isola di Sant’Elena il 5
maggio 1821, la sua lotta contro i privilegi nobiliari, e in particolare dei
ricchi patrizi veneziani, lasciò un segno profondo nella Storia.
La Repubblica di Venezia era giunta al
definitivo tramonto, ma vi fu un ultimo slancio d’orgoglio, che non fu tanto
politico quanto di dignità, attraverso lo strumento dell’arte. Attualmente è
infatti presente alle Gallerie dell’Accademia di Belle Arti di Venezia una
mostra temporanea dal titolo Canova,
Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia, che già nel nome suggerisce
qualcosa di crepuscolare.
La mostra trae ispirazione
dall’anniversario del quarto matrimonio dell’imperatore d’Austria Francesco I,
avvenuto nel 1816. Una delegazione veneziana fu inviata a Vienna proprio per
rendere omaggio alla novella coppia imperiale, e il conte Leopoldo Cicognara
curò e coordinò la produzione delle opere d’arte, coinvolgendo in particolare
il celebre scultore Antonio Canova e l’astro nascente Francesco Hayez, entrambi
di queste terre.
Il primo concesse la splendida scultura
neoclassica raffigurante la musa Polimnia e molti altri artisti veneziani (e
non) produssero vasi, brocche, quadri, sculture e vari oggetti di arredamento
finemente decorati (si pensi al celebre tavolo decorato da Giuseppe Borsato,
oggi emblema della mostra alle Gallerie).
Vinti dagli eventi storici inesorabili,
i Veneziani – attraverso i propri artisti – sollecitarono la riflessione da
parte dei governanti austriaci rispetto al buon governo. Con le loro opere,
dietro l’eleganza mitologica e la fine decorazione, essi espressero per
allegorie il desiderio di proseguire l’età delle riforme iniziata con il dispotismo
illuminato settecentesco.
Cominciava il periodo storico noto come
Restaurazione, ma l’impronta lasciata da Napoleone era ormai indelebile. Le
stesse Gallerie dell’Accademia rappresentano il terzo museo di origine
napoleonica in Italia, dopo la Pinacoteca di Bologna e la Pinacoteca di Brera.
Il condottiero francese, che pure depredò le opere d’arte della Penisola per
concentrarle al Louvre di Parigi, pose comunque le basi per una migliore
amministrazione locale e per il rilancio della cultura artistica, letteraria e
musicale (Napoleone, per esempio, apprezzava molto l’opera italiana).
La sua
figura va dunque analizzata sotto diversi punti di vista, proprio perché la sua
fu una personalità ambivalente, troppo spesso costretta a venire a patti con la
realtà e con il contingente. Ma, in fondo, sembra essere proprio questo il filo
sottile che collega le biografie di grandi uomini e donne: il fatto che alle
più grandi intuizioni e aspirazioni corrispondano spesso le più deprecabili
contingenze.
Nota: per un altro articolo di storia locale del Friuli (e dintorni), su questo blog si trova il post L'eredità monastica in Friuli. Il valore della solidarietà nell'assistenza sanitaria (qui); un ulteriore approfondimento su quest'ultimo argomento è l'articolo Il monachesimo e gli ordini cavallereschi in Friuli (qui).
Nota: per un articolo che invece approfondisca l'ambiguità di alcuni personaggi storici, tra cui Napoleone stesso, su questo blog si trova il post La ricerca di razionalità in ogni fenomeno attraverso l'ambiguità dei personaggi storici (qui).
Nota: per un altro articolo di storia locale del Friuli (e dintorni), su questo blog si trova il post L'eredità monastica in Friuli. Il valore della solidarietà nell'assistenza sanitaria (qui); un ulteriore approfondimento su quest'ultimo argomento è l'articolo Il monachesimo e gli ordini cavallereschi in Friuli (qui).
Nota: per un articolo che invece approfondisca l'ambiguità di alcuni personaggi storici, tra cui Napoleone stesso, su questo blog si trova il post La ricerca di razionalità in ogni fenomeno attraverso l'ambiguità dei personaggi storici (qui).
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