Edonismo e ossessività nel corpo post-umano. Un racconto di Silvio Valpreda per Eris
Corpo (2022) di Silvio
Valpreda, edito da Eris, è un racconto breve ma densissimo, che prende le mosse
da uno spunto fantascientifico e sviluppa una storia incentrata sull’introspezione
psicologica e sul valore dell’identità individuale in un futuro in cui è
possibile trasferire la coscienza.
La trama si apre con un evento tragico: un
incidente motociclistico che coinvolge il compagno di Alessandra. La protagonista
acconsente al dislocamento della sua coscienza in un corpo artificiale,
mantenendo il segreto sulla procedura. Tuttavia questo apparente atto d’amore o
di disperazione innesca una spirale di dubbi e di paranoie: Alessandra inizia a
sospettare che anche il suo corpo possa essere stato sostituito, e ciò la porta
a una ricerca ossessiva di prove della propria autenticità.
Valpreda costruisce un mondo narrativo che
riflette inquietudini contemporanee. La possibilità di trasferire la coscienza
in corpi sintetici solleva alcuni interrogativi: siamo
definiti dal nostro corpo o dalla nostra mente? E che cosa accade quando questi
due elementi vengono separati? È il noto dilemma tra natura e cultura,
proiettato in un futuro forse non così distante.
Il ritmo è incalzante e conduce il lettore
nella psiche turbata della protagonista; le giornate si alternano in maniera
ripetitiva e quasi monotona, evidenziando come gli eventi post-traumatici
scalfiscano appena l’emotività di Alessandra. Troviamo uno sguardo morboso
sulle sensazioni corporee, sulle percezioni tattili, sui fluidi e sugli odori, talvolta
in una maniera forse troppo calcata, ma utile a entrare nella spirale di
autodistruzione psichica della donna.
A un certo momento non esiste nient’altro
che lei: non ci sono nomi propri, ma solo un compagno, un’amica, un amante;
tutte funzioni nella mente di un individuo narcisistico che non è più capace di
dare sfogo al proprio edonismo. Alessandra è confusa, dunque arrabbiata, e
diviene respingente per il lettore che la avverte come un “alieno”, oppure, al
contrario, genera una forte immedesimazione in chi avverte in sé quella
estraneità.
L’Autore ci spinge a considerare le
conseguenze etiche e psicologiche delle innovazioni scientifiche, ma in forma
indiretta, portando l’esempio di Alessandra in una storia che giunge a una
conclusione circolare che non risolve niente per il lettore, perché da quell’ultima
pagina il testimone passa a lui/lei.
In Corpo ho trovato un collegamento personale a La seconda lingua madre (Future Fiction, 2024) di Flor Canosa, in merito a un’esistenza cosciente svincolata dal corpo fisico; ma ci troverete certamente anche il pensiero di Donna Haraway. La linea tra naturale e artificiale si fa sempre più sfumata; l’ibrido e il post-umano si affacciano alla finestra e il come accoglierli rimane una questione aperta.
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