Memoria e dipendenza tecnologica ne La seconda lingua madre di Flor Canosa
«La FS – fantascienza, futuri speculativi, fantasie scientifiche, fiction speculativa – è una predizione particolarmente appropriata che ci esorta a condurre analisi delle tecnologie artefattuali e riproduttive, dalle quali potrebbe generarsi qualcosa di diverso dalla sacra immagine del medesimo, qualcosa di inappropriato, non conforme e dunque, forse, fuori luogo.»
Donna J. Haraway
Nomen omen, dicevano i
latini: il nome Flor Canosa sembra rispecchiare il motto nel contenuto dei suoi
scritti. L’Autrice è nata a Buenos Aires nel 1978: sceneggiatrice, montatrice
cinematografica e docente universitaria, è nota per la sua attività di
scrittrice e, nel 2015, ha vinto il Premio X con il romanzo Lolas. È inoltre
co-editrice della collana Colección Arquelogías del Futuro, edita da Indómita
Luz, e dedicata alla nuova narrativa weird.
Il romanzo La segunda lengua materna è stato pubblicato nel 2023 e portato in Italia da Future Fiction con la traduzione di Rosa Ricciardi e quella che definirei l’iconica copertina di Anna Zordan. L’opera si colloca tra le sperimentazioni più recenti della speculative fiction, intrecciando elementi cyberpunk, new weird e saggistici.
Ci troviamo in un’Argentina
del futuro, ma non troppo lontana nel tempo. In questo mondo, la memoria umana è
stata sostituita dalla capacità di ricercare dati utili, grazie alla diffusione
capillare di impianti neurali. La protagonista, Hana Schmidt, è una scienziata
cyborg tra le principali creatrici di questi impianti e sta lavorando a un
nuovo chip presso l’istituto nazionale per cui lavora.
Nella sua vita privata, Hana è coinvolta
in un triangolo amoroso con due uomini molto diversi: Lars Kunkel, suo collega,
che esercita su di lei un controllo ossessivo attraverso la gelosia, senza
peraltro offrirle amore o fedeltà; e Johan Müller, un
compositore ossessionato dalle Variazioni Goldberg, che le dà stabilità senza
però generare in lei un forte desiderio.
L’esito di questa vicenda personale è sorprendente
e all’apparenza impossibile: Hana concepisce un figlio da entrambi, prescindendo
dalla riproduzione biologica e aprendo a scenari che finiscono per coinvolgere
l’intera umanità.
L’ambientazione spazia tra una futuristica
Buenos Aires e La Pampa argentina, luoghi che sottolineano il contrasto tra l’avanzamento
tecnologico e un paesaggio più tradizionale (elementi peraltro ben miscelati in
un altro autore sudamericano pubblicato da Future Fiction, Edmundo Paz Soldán,
con il suo Lo sguardo delle piante).
Memoria, relazioni e controllo
Flor Canosa affronta il rapporto tra
tecnologia e umanità, mostrando una società in cui le relazioni umane sono
anemiche, ridotte a meri bisogni primari o egoriferiti. Il romanzo esplora
anche il modo in cui la memoria e le emozioni vengono elaborate, trattate non
più come esperienze personali, ma come codici e dati inerti. La memoria, non
filtrata dalla coscienza, si traduce in una perdita del sapere: un termine
ricorrente nel testo è il neologismo ferviso, a indicare «la sapienza
lasciata in mano a una tecnologia e di cui si perde la padronanza» (p. es. la
messa a fuoco in una fotografia).
Hana non riesce a esprimere un discorso
emozionale autentico: racconta gli eventi, ma senza profondità affettiva,
perché anche il suo modo di percepire il mondo è ormai condizionato dalla
digitalizzazione delle informazioni.
Le note a piè di pagina, che sono state
inserite nell’ultima fase di editing insieme a Juan Mattio, giocano un ruolo
fondamentale: creano un’intertestualità esasperata; generano sovraccarico
informativo (information overloading); permettono di essere lette o
saltate, ma alcune sono essenziali per la trama, secondo quanto espresso dalla
stessa Autrice in questa intervista. In termini stilistici, le note mi hanno
ricordato la formalità dei “passaggi matematici” di Stella Maris di Cormac
McCarthy.
Un tema centrale del romanzo è l’ossessione
per il controllo, che si estende anche alla genitorialità e persino oltre la
morte fisica. Avviso che seguirà uno spoiler. Hana, infatti, si trasforma in
una coscienza digitale, sfruttando il figlio Volker come un panottico vivente,
un mezzo di controllo assoluto. Non penso che l’Autrice stia citando l’omonimo
personaggio dei Nibelunghi, ma certo il termine “volker” ha un significato
legato al popolo: deriva dall’antico alto tedesco “folk” (popolo) e “heri”
(esercito), perciò può essere interpretato come “guerriero/protettore del
popolo”. A voi le interpretazioni, a fine lettura.
Volker è una creatura strana, priva di
emozioni, desideri e capacità espressive, ma dotato di intelligenza
straordinaria. Immaginatelo come una specie di Akira. E la sua condizione non è
naturale, ma causata da un’interferenza esterna. Di converso, la
digitalizzazione della madre prende il sopravvento sulla sua umanità:
scollegandosi dal corpo fisico, Hana smette di essere umana nel senso
tradizionale del termine, mentre il figlio, comunque immerso nel mondo
fisico, sembra divenire sempre più umano.
Dipendenza tecnologica,
genitorialità e teorie scientifiche
La storia esplora le dipendenze generate
dalla tecnologia, affrontando riflessioni scientifiche e filosofiche. La dipendenza
è anche farmacologica e, nel testo, un ruolo importante è svolto dalla scopolamina,
un alcaloide isolato da piante come la belladonna e la mandragora che, in dosi
massicce, può provocare deliri e altre psicosi.
Il romanzo è nato dalle ricerche fatte per
il precedente libro di Canosa, Pulpa (2019), che l’ha portata ad
approfondire il concetto di telegonia, una teoria risalente almeno all’antica
Grecia secondo cui si potrebbe creare un bambino dalle informazioni genetiche
di due gameti maschili.
L’idea dell’adattatore limbico, invece, proviene
da un precedente racconto di Canosa, La mujer de Turing, dove uno
scienziato sottopone un’IA a un test di Turing, idea estesa dall’Autrice agli
esseri umani con impianti neurali.
Sul piano della genitorialità, se Hana
rappresenta la madre crudele, anche le figure paterne del romanzo sono
complesse e problematiche: Lars è ossessionato dal sesso e dal controllo e si
disinteressa di Volker; Johan, pur essendo il più empatico tra i due, non
riesce a comunicare realmente con lui e, anche quando sembra aprirsi uno
spiraglio, l’uomo pone al primo posto il proprio ego, ferito dall’intelligenza
di Volker.
Al di là del rapporto specifico instauratosi nel terzetto, questa rappresentazione familiare è accostabile al modello di Donna Haraway, secondo cui un figlio dovrebbe avere almeno tre genitori. Canosa è ancora più vicina al pensiero dell’intellettuale di Denver nell’inserire questa idea in un contesto che ne evidenzi la complessità e le implicazioni etiche.
Controllo e interfacce digitali
La seconda lingua madre mostra una
progressiva inversione dei ruoli: alla fine, è l’essere umano a essere
imprigionato nella macchina. L’elemento cyberpunk e weird emerge soprattutto
nel capovolgimento del rapporto tra umano e digitale, fino a trasformare l’identità
stessa della protagonista in qualcosa di ibrido e meccanico.
Uno dei personaggi chiave è Enero
Caligaris, un hacker che compare anche in Pulpa. Il personaggio è
secondario, ma svolge un ruolo importante nella storia, anche se può sembrare
poco approfondito: la sua caratterizzazione è influenzata dal suo background
già esplorato in precedenza da Canosa.
Con il suo romanzo, l’Autrice costruisce
un’impalcatura complessa e stratificata, che combina sperimentazione stilistica
e narrativa. L’uso della prima persona, che potrebbe fornire trasparenza alla
narrazione, finisce invece per rendere ancora più ambigua la percezione della
protagonista, che racconta senza filtri apparenti, ma senza mai essere del
tutto affidabile.
Trovo che l’epilogo del romanzo si possa
rintracciare nella terza parte, al capitolo quindici, con il confronto tra Lars
e Volker sotto la pioggia ne La Pampa, laddove non dovrebbe piovere mai, e che si
ispira ai tre stadi dei riti sciamanici (pre-liminale, liminale, post-liminale),
marcando il passaggio definitivo a un mondo dove il confine tra umano e
macchina è ormai scomparso in favore dell’eletto, del sacerdote, del «mostro
pardo». Tramite Volker, avviene l’annunciazione di un mondo nuovo, secondo il
principio clarkiano – citato esplicitamente – in base al quale qualunque
tecnologia avanzata sia «indistinguibile dalla magia».
Flor Canosa si congeda dal lettore lasciandolo con un senso di inquietudine e fatalismo; non porge facili soluzioni, tantomeno scappatoie metafisiche, ma ci sprona a considerare il modo in cui la tecnologia stia trasformando i legami, la memoria e il concetto stesso di umanità.
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