Amazzonia fantascientifica ne "Lo sguardo delle piante" di Paz-Soldán
Fino a La mirada de las plantas
(2022), lo scrittore boliviano José Edmundo Paz-Soldán Ávila
non si poteva considerare uno scrittore di fantascienza, ma una mente eclettica
in cerca di linguaggi alternativi con cui raccontare le proprie storie, legate all’attualità.
Docente di letteratura alla Cornell
University dal 1997, l’Autore ha un curriculum formativo di tutto rispetto, a
cui si affianca l’attività giornalistica (El País e altri) e letteraria, con
traduzioni in diverse lingue e la pubblicazione nella prestigiosa Gallimard, come
primo scrittore boliviano.
Il suo lavoro si inserisce nel solco del
movimento letterario McOndo, una forma di realismo moderno, sovente attento
agli aspetti tecnologici, che mira a prendere il posto dei maestri
latinoamericani del realismo magico. È da qui che bisogna partire per
comprendere la particolare declinazione della fantascienza da parte di Paz-Soldán.
Mario Vargas Llosa lo ha considerato uno dei più originali scrittori
latinoamericani della nuova generazione. E Paz-Soldán, per il suo Lo sguardo
delle piante, edito in Italia da Future Fiction, afferma di essersi
ispirato proprio a La Casa Verde (1966) del Nobel peruviano, una storia polifonica
che vede l’intreccio di varie esistenze, tra la corruzione delle autorità peruviane
e il commercio spregiudicato del caucciù.
In un’intervista, Paz-Soldán cita
anche lo scrittore colombiano José Eustasio Rivera, con La vorágine
(1924), romanzo in cui la foresta amazzonica diviene l’infernale protagonista.
E, ancora, l’ispirazione è provenuta da attivisti e da scrittori come il
cronista Joseph Záraten e dall’opera Los pasos perdidos (1953) di Alejo
Carpentier.
Fino a qui quanto è stato dichiarato. Non
mancano comunque altre influenze più o meno marcate, da alcuni scritti di
Michael Crichton (Jurassic Park, 1990; Next, 2006) all’Infinite
Jest (1996) di David Foster Wallace, per tornare a un’altra opera di Llosa,
La guerra alla fine del mondo (1981).
Ambientalismo e allucinazioni
Queste sono alcune premesse, utili a
inquadrare un romanzo di genere atipico per la letteratura boliviana. Ma di che
cosa parla Lo sguardo delle piante?
Racconta di un uomo, Rai, in fuga da uno
scandalo, il quale trova rifugio in un laboratorio che conduce esperimenti ai
limiti della legalità, con l’intento di sviluppare il più avanzato videogioco
di realtà virtuale. A capo del progetto, il dottor Dunn cerca di riprodurre gli
effetti allucinogeni di una pianta nota come “alita del cielo”. Tra Rai e Dunn
si instaura un rapporto conflittuale, prima non manifesto e poi palese, poiché entrambi
serbano gravi segreti.
Rai è stato ingaggiato in qualità di
psichiatra. Il suo compito è supervisionare i volontari che assumono dosi della
pianta, ma – isolati dal mondo e annoiati dalla routine del laboratorio – i
dipendenti cominciano a usare la droga a scopo ricreativo. In Rai, le
esperienze lisergiche risvegliano terribili ricordi: l’abuso infantile,
l’abbandono improvviso da parte della sorella, il difficile rapporto con una
madre che ha avuto successo prostituendo le dipendenti della sua agenzia.
Rai entra in un pericoloso stato
confusionale, perché le allucinazioni cominciano a protrarsi nel normale stato
di veglia. Non si tratta solo di vedere colori insoliti o animali che
fuoriescono dalle orecchie, ma di vivere in prima persona la storia di quel
territorio al confine tra Bolivia e Brasile, in mezzo alle guerre, allo sfruttamento
nelle piantagioni e alla personale biografia del dottor Dunn, che ha perso
moglie e figli. Si delinea così un nuovo scenario, che mostra la pretestuosità
dell’esperimento (nella maniera in cui il videogioco è pretesto per altro ne Il
problema dei tre corpi), celando invece un più comune desiderio di
vendetta.
Accanto all’intreccio umano, c’è la parte
più ambientalista della storia. Il filosofo della scienza Paco Calvo ha scritto
un saggio dal titolo Planta Sapiens. Perché il mondo vegetale ci assomiglia
più di quanto crediamo (Il Saggiatore, 2022). Trovo che sia una valida base
filosofica su cui innestare la narrazione di Paz-Soldán. La scienza conosce
abbastanza bene i modi con cui le piante comunicano tra loro e con l’ambiente
circostante, ma il testo di Calvo aiuta a comprendere che cosa significhi essere
una pianta. Il tema è controverso, poiché il filosofo propone di superare
l’approccio antropocentrico e persino zoocentrico, dato che – viene suggerito –
le piante pianificano e si riconoscono; prendono decisioni e hanno una
coscienza di sé.
Paz-Soldán sembra assecondare tale
prospettiva: il suo romanzo è un’interazione tra modelli di linguaggio diversi:
quello umano, quello vegetale e quello informatico. Lo spazio d’incontro è la
virtualità; il dilemma è comprendere quando l’esperienza dell’individuo umano
diventi esperienza di un’altra forma di vita e come questo sia fruibile dal
soggetto e con quale grado di consapevolezza. In altre parole, è la classica
domanda che si pone il filosofo Thomas Nagel: Cosa si prova ad essere un
pipistrello? (Castelvecchi, 2013)
Identità e coscienza
Il tema della coscienza si inserisce anche
nel tentativo di recuperare l’antica sapienza sciamanica.
L’azienda brasiliana che gestisce
l’esperimento vorrebbe ricreare l’esperienza della pianta senza doverla
assumere. Tuttavia, abolendo il rituale connesso all’assunzione, l’esperimento
perde una parte fondamentale della sua efficacia. Nell’intervista che ho
citato, l’Autore afferma che uno sciamano di Iquitos gli aveva spiegato come
l’allucinazione fosse solo una possibilità di esperienza derivata dall’uso di piante
allucinogene, ma che non fosse sempre presente, con buona pace dei turisti new
age che rimanevano delusi e chiedevano un rimborso.
Ci sono cliniche del benessere in città
come Brooklyn, Toronto e Parigi che propongono viaggi con l’ayahuasca, e che si
riducono in genere alla sola assunzione e all’assenza di un vero e proprio
rituale, elemento centrale di questi viaggi.
Paz-Soldán allarga il discorso e definisce
un’“esperienza rituale” anche l’utilizzo della tecnologia nella gestione del
lutto, come processo che aiuti il soggetto a riconsiderare il suo rapporto con
il defunto.
È bene notare, però, che nel romanzo è la
pianta a attivare nel cervello il ricordo di traumi passati, ma è la macchina
VR a manipolare le informazioni, restituendo al soggetto una realtà che è
comunque alterata. Considerando che i ricordi subiscono già di per sé, a
livello inconscio, una deformazione volta a garantire un significato per
l’individuo, ci si dovrebbe chiedere con quali conseguenze i personaggi
usufruiscano di una tecnologia che, di fatto, è palliativa.
Nel libro, l’immaginazione permette ai
ricordi, mescolati all’effetto della macchina e della pianta, di avere una
forma narrativa. Chimica, algoritmi e biologia concorrono all’esperienza, ed è
difficile definire qui dove risieda la coscienza, se in una delle componenti
(umana, matematica, vegetale) o in una summa di esse. Forse, si potrebbe
rispondere all’enigma con una teoria come quella della mente allargata del
filosofo Riccardo Manzotti (La mente allargata, Il Saggiatore, 2019),
aggiungendo a essa la possibilità che i vari “partecipanti” possano rimanere
entità separate, pur condividendo delle identiche fasi esperienziali.
Conclusioni
Nella tensione tra natura, tecnologia e interazione
umana non emerge una soluzione chiara, ma anzi si moltiplicano i quesiti e le
contraddizioni. Ne Lo sguardo delle piante, la tecnologia assicura la
realizzazione di quasi tutti i desideri, ma a un costo appena percepibile. Lo
sa bene Rai, che di fatto è un maniaco e dipendente dal sesso, il cui desiderio
sembra non conoscere limiti, tra voyeurismo e realizzazione di deepfake.
L’unico confine all’onnipotenza
tecnologica sembra risiedere in un elemento impalpabile, una sorta di anima
delle cose che turbina nelle allucinazioni dei volontari e dei dipendenti,
prendendo la forma di un Gigante, personificazione di questa voracità volta al
progresso incondizionato e amorale. Qui ritornano anche tutti i riferimenti
storici: gli eccidi in Brasile per mano dei garimpeiros, incaricati di
liberare i territori amazzonici; le ingiustizie della presidenza di Evo
Morales, che concesse permessi per lo sfruttamento del gas nelle terre indigene
che lo avevano sostenuto nell’ottenimento del potere.
La parte più debole del romanzo risiede
nell’epilogo, che non conclude in maniera soddisfacente il ciclo narrativo e
continua a scorrere come un fiume che potrebbe proseguire il suo corso per
altri settantacinque brevi capitoli. Non sarebbe comunque un grave danno,
perché la lettura è scorrevole, complice forse la traduzione dallo spagnolo di
Giulia Malano.
Lo sviluppo dei personaggi è quasi
inesistente: non è una critica negativa, ma una constatazione. Pagina dopo
pagina, scopriamo maggiori particolari, entriamo nell’inconscio dei personaggi,
ma è difficile che un lettore possa empatizzare con uno di loro. Al contrario,
potrebbe provare un profondo disprezzo per Rai. Credo che tutto ciò faccia
parte del gioco e che il focus della storia, dopotutto, risieda nel concetto di
“relazione” più che nell’introspezione psicologica, anche a scapito della
tensione narrativa.
Lo sguardo delle piante mescola il genere fantascientifico a elementi thriller e a dosi centellinate di realismo magico. È come espandere l’uso della “sostanza D” di Philip K. Dick nei meandri infernali della foresta amazzonica, scatenando una crisi di identità senza precedenti.
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