Uno sguardo ai racconti di Nebula di Future Fiction
Nebula è una raccolta di
quattro racconti, di altrettanti scrittori cinesi di fantascienza
contemporanea, edita da Future Fiction e curata da Francesco Verso. Tra i nomi,
trovate quello di Liu Cixin (Il problema dei tre corpi), ma la vera sorpresa
è negli altri tre autori.
Perché “Nebula”? Penso sia un
riferimento ai Nebula Awards (Xingyun), un premio letterario cinese analogo a quello
statunitense. La prefazione di Wu Yan aiuta sùbito il lettore inesperto a
mettere a fuoco il contenuto del libro, con un racconto personale sulla storia
della ricezione italiana della fantascienza cinese. Consiglio, inoltre, la lettura
preventiva della postfazione di Tachihara Toya (per coloro che non sono fissati
con gli spoiler!).
Chen Qiufan, Buddhagram
Il racconto è un esempio di che cosa
significhi materializzare la spiritualità. L’agente di marketing Zhou Chongbo
promuove un’app di foto-ritocco, che viene benedetta da un maestro buddhista.
L’idea nasce in Zhou da un’arguta considerazione: si accorge che le persone
condividono post su come compiere «buone azioni per acquisire un merito e
ottenere la protezione del Buddha.» L’agente è consapevole che non si tratti di
semplice fede, forse persino assente nella quotidianità di queste persone, ma
di un bisogno fondamentale per i cinesi di oggi, «ossessionati dalla sicurezza
personale, specialmente dalla sensazione psicologica del sentirsi al sicuro.»
In breve, il personaggio di Zhou associa
l’app a tale necessità, ma l’idea sfugge al controllo e si traduce in un
fenomeno di culto e in un modello: milioni di persone iniziano a consacrare
qualsiasi cosa, dando vita a situazioni ridicole.
Laureatosi in arte e in letteratura,
l’Autore ha studiato in seguito marketing, lavorando per Baidu e per la
succursale cinese di Google. Con questo racconto, pubblicato nel 2011, Chen
Qiufan tratta un argomento che conosce bene e lo mescola a un elemento sacro, parafrasando
una frase del racconto I nove miliardi di nomi di Dio di Arthur C.
Clarke: «Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile, a prima
vista, dalla magia buddhista.»
La moglie del protagonista lo fa sentire
giudicato. È una Neo-Luddista, che un tempo era stata un’accanita giocatrice,
finché i genitori l’avevano mandata in un campo estivo per disintossicarsi da
internet. L’esperienza si chiamava “Progetto Nirvana”, ma non si sa molto di
più: «Credeva [la moglie] che, nonostante l’aspetto di novità assoluta,
l’industria high-tech non fosse affatto diversa dal solito vecchio commercio:
entrambi sfruttavano le debolezze di uomini e donne semplici e, sotto il manto
di parole come “progresso”, “conforto” e “salvezza”, manipolavano le loro
emozioni. Sia che metteste la mano su una Bibbia o un iPad, alla fine pregavate
lo stesso dio.»
Che la moglie sia stata una giocatrice è
un indizio importante per lo sviluppo della trama, che include il concetto di
PNG (o NPC), il non-player character che, nei videogiochi, è controllato
dal computer. Nel contesto della rete, l’NPC indica, in forma spregiativa, una
persona incapace di pensare con la propria testa, priva d’identità.
Sono concetti che maturano nella mente di
Zhou, sempre più avvilito, e che lo portano a isolarsi dal mondo. Avvia un
proprio percorso interiore, in un tempio buddhista, e va incontro a una
consapevolezza che finisce per interessare l’intero universo.
Le pagine finali – che bisogna leggere –
manifestano l’insicurezza umana (proprio quella che si voleva eliminare con
l’app benedetta!), ma mostrano al contempo un senso di umanità rinnovato, non
in chiave neo-luddista, ma come percorso esperienziale consapevole in seno alla
tecnologia.
Consapevolezza che è, prima di tutto,
circoscrizione di un limite, di un piano di lavoro, oltre al quale rischiamo di
smarrirci: «Credo che sia perché vogliamo troppo, più di quanto i nostri corpi
e le nostre menti possano sopportare.»
Nota a margine: del racconto esiste anche
una versione a fumetto, curata dallo stesso Autore e illustrata da Jacopo
Cigarini, sempre per Future Fiction. Di Chen Qiufan, FF ha pubblicato anche L’eterno
addio, che, oltre a contenere Buddhagram, presenta altri sette
racconti, portando il totale a otto, un numero fortunato nella tradizione
cinese.
Xia Jia, L’estate di Tongtong
Di solito colleghiamo il tema di questo
racconto al mondo giapponese. La piccola Tongtong trascorre l’estate in compagnia
del nonno, che non è più autonomo, almeno fino a quando una tecnologia gli
permette di tornare indipendente.
La storia è ambientata in un futuro
prossimo e si tratta di un piccolo dramma familiare risolto proprio dalla
tecnica. Forse, è un testo a tratti trionfalistico sulle potenzialità della
tecnologia, ma – dopo aver considerato la grande mole di storie distopiche o
oscure sul tema – mi sono convinto che non sia un male. Semmai, il problema è
di ordine morale.
Figli e nipoti desiderano la sicurezza e
l’assenza di dolore per i propri vecchi, ma non capita spesso di chiedersi che
cosa faremmo o vorremmo noi giovani da anziani. Forse non tanto comprensione,
quanto libertà e autonomia?
Nel racconto, in sostanza, il problema della
cura – che viene fatta con amore, ma talvolta anche con inconfessabile
fastidio, o con un misto delle due cose – verrebbe risolto esternalizzando il
problema, quindi bypassandolo, e rendendo gli anziani più distaccati da figli e
nipoti, in quanto autonomi, attivi e produttivi.
Il rapporto tra nonno e nipote mi è
risultato freddo e alieno per tutta la durata del racconto. La tecnologia
sancisce il definitivo distacco, appena attenuato da un sentimento d’affetto
tardivo. I due sono parenti, certo, ma potrebbero essere sconosciuti: le loro
vite si sono incrociate quasi per caso e entrambi desiderano soltanto poter
fare ciò che vogliono, che sia salire su un albero senza il timore di essere
rimproverati, oppure tornare a lavorare per la comunità.
In rete, ho trovato una bella citazione dello
scrittore Algis Budrys, che scrisse come la fantascienza degli anni Quaranta
implicasse «che il puro progresso tecnologico avrebbe risolto tutti i problemi»
e «che tutti i problemi fossero quello che sembravano essere in superficie.»
(Galaxy Library, pp. 186-194, agosto 1965)
Il punto mi sembra proprio questo: credere
di aver risolto un dilemma – pratico o morale – con la generazione di un
“diaframma tecnologico”.
L’autrice del racconto, Xia Jia
(pseudonimo di Wang Yao), si è formata a Pechino in Scienze dell’Atmosfera e in
seguito ha compiuto studi nell’àmbito del cinema e della comunicazione. In
seguito, però, ha conseguito un dottorato di ricerca in letteratura comparata e
mondiale sul tema della Fantascienza cinese e la sua politica culturale dal
1990. Oggi è un’insegnante e non mi stupisce: perché il racconto in
questione ha un tono quasi propedeutico; è da affiancare, prima o dopo, a una
trattazione specialistica sul tema dell’automazione nel contesto assistenziale.
Non vi è solo questo. Quando il nonno di
Tongtong riceve un robot come badante, egli comincia a sfruttarne le
potenzialità a modo suo. Non rimane passivo di fronte all’inevitabilità del suo
deperimento fisico, ma trova nel robot, controllato da remoto, uno strumento
per sentirsi utile, facendolo uscire da una nube di malumore cronico che, in
molti anziani, si trasforma in una non-dichiarata depressione.
Nel 2007, Xia Jia aveva diretto un film
sperimentale, Parapax, in cui la protagonista, interpretata da lei,
viveva con tre identità in tre universi paralleli. Viene da pensare che il
nonno di Tongtong non abbia avuto un’idea eccentrica: perché limitarsi a un
solo robot-badante, perché – una volta creato tale diaframma – non condurre
vite nuove, oltre a ripetere la propria esperienza di medico?
Nota a margine: il racconto è presente
anche in un’antologia della scrittrice, intitolata Festa di primavera,
edita da FF. Xia Jia l’ha dedicato a suo nonno e a tutti i nonni, perché: «Mi
avete fatto capire che non bisogna avere paura di vivere nella consapevolezza
che la morte è imminente.»
Wu Yan, Stampare un mondo nuovo
Parlare della formazione degli scrittori
cinesi presenti in Nebula non è superfluo, perché aiuta a comprendere lo
stretto legame tra la ricerca scientifica, la filosofia morale e l’applicazione
delle tecniche. Per esempio, la formazione di Wu Yan comprende la psicologia e
un dottorato in gestione; è un insegnante di fantascienza all’Università
Normale di Pechino. Scrittore precoce, ha anche scritto, insieme al
collaboratore Zheng Wenguang, una serie di racconti per bambini dedicati alla
divulgazione della scienza, come Xinling Tanxian de Gushi (Storie di
investigazione intelligente). Capite, dunque, il ruolo attivo della
fantascienza nella società cinese?
Il racconto di questa raccolta evita
ancora di correre a un remoto futuro. Si guarda indietro e si proietta poi in
un domani che è veramente prossimo. Il protagonista è un docente universitario
di management educativo, che assiste al salvataggio di un istituto che
rischiava di essere cancellato a favore di un’analoga struttura di eccellenza: «[…]
se un’università che poggia su basi fragili come la nostra continua a
sopravvivere, è solo grazie alla nostra fede nell’educazione, tuttavia sembra
che il Paese stia impazzendo […].»
Wu usa l’espediente di una riforma
governativa per criticare dall’interno il sistema, non per demolirlo, ma per
reindirizzarlo secondo nuovi criteri: il Paese si serve «di un sistema invasato
e volto a primeggiare», che ignora i piccoli istituti che conducono «un
lavoro educativo continuo e dal basso.»
Ispirandosi a quanto il protagonista aveva
indicato anni prima, ovvero il concetto di “stampare un mondo nuovo”, l’istituto
in oggetto promuove la creatività individuale, inserendola in un contesto
cooperativo.
Non vi è bisogno di stampanti 3D o di
finzioni letterarie: la fantascienza di questo racconto è nelle prime pagine, in
una semplice ipotesi di discussione («L’innovazione del sapere ha bisogno di
unire il Paese, città e campagna.»), e diviene pratica reale nella
seconda parte.
Tra le righe, si insinua anche la tematica
ambientale. Sùbito, in apertura, leggiamo: «La nebbia è così densa – ancora ignoriamo
la portata del danno causato dalle polveri sottili – […].» E verso la
fine del racconto, proprio come ipotesi di lavoro, il tema si ripresenta: «Quando
tutti si saranno spostati, il mondo originale potrà finalmente trovare un
equilibrio ecologico, e questo sistema planetario gemello diventerà un’importante
riserva per la vita e la crescita dell’umanità.»
Questa è una fantascienza propositiva, ancora
incantata, a cui forse non siamo più abituatati in Occidente.
Cixin Liu, Le bolle di Yuanyuan
Vengo ora all’acclamato Cixin Liu. Il
racconto è stato scritto nel 2004, durante una delle sue fasi più ispirate. La
forma centrale è la sfera, qui nella semplice versione di una bolla di sapone.
Come nel testo di Xia Jia, è presente una dinamica familiare: il rapporto
padre-figlia, maturato nel corso degli anni, dalla nascita di Yuanyuan alla sua
affermazione economico-sociale.
Appassionata di bolle di sapone, sviluppa
una vera ossessione, che la porta anche ad attriti con il padre, sindaco di una
città sull’orlo dell’annientamento per mancanza di risorse idriche. È uno
scontro generazionale in un doppio senso: in termini di età, poiché
l’impostazione rigida del padre non gli permette di uscire dagli schemi
collaudati, e in termini di genere, perché l’intuitiva creatività della figlia
scardina un meccanismo incancrenito. È allora che proprio il padre si rende
conto di un’opportunità, di un’applicazione pratica capace di trasformare un
semplice passatempo in una soluzione a un problema collettivo di ordine
ambientale.
Accanto allo sviluppo tecnologico della
vicenda, vale la pena mostrare l’interesse dell’Autore per il cambiamento di
prospettiva che avviene tra generazioni che si succedono. Da bambina, Yuanyuan
viene definita troppo alternativa, persino superficiale dal padre, che avrebbe
voluto vederla più simile ai suoi coetanei. Tuttavia, un dialogo con una maestra
gli fa capire che, mutato il clima politico, il carattere della figlia avrebbe
potuto rivelarsi un dono. E così è. Cresciuta, Yuanyuan rimane legata al padre,
con un affetto sincero, benché tra i due sussista un’incomprensione di fondo,
che ritengo sia peculiare tra le generazioni pre e post rivoluzione digitale.
In questo caso, è l’uomo a fare un passo
nella direzione di Yuanyuan. Un momento significativo è quando torna con la
memoria alle origini della città che amministra, in un passaggio in cui cita la
passione della figlia trasformandola in metafora: «Chi avrebbe potuto
immaginare che avremmo dedicato i nostri anni migliori, e persino le nostre
stesse vite, a niente di più che una bolla di sapone?»
Il padre diviene a poco a poco più malinconico, ma mai rassegnato e, infine, trova insieme a Yuanyuan una soluzione per tutti. Un lieto fine che ha il gusto di un exemplum su come sia possibile coniugare il vecchio e il nuovo, il superfluo e l’essenziale.
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