Ho sensazioni contrastanti su Annientamento (Einaudi, 2015),
il primo libro della Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer: da un lato l’ho
trovato affascinante e immersivo; dall’altro avverto un’incompiutezza che non
riesco del tutto a giustificare.
Il film, pur con i suoi limiti, riesce forse meglio del libro a restituire l’estetica disturbante e aliena dell’Area X. Lì dove le parole evocano, le immagini di Alex Garland colpiscono direttamente l’immaginazione.
Tuttavia, trovo che il punto debole del
film sia proprio il crescendo finale: non riesce a generare quel senso di
stupore quasi metafisico che il libro suggerisce, ma non dispiega
completamente. Più che metafisico, ha a che vedere con il concetto di “panismo”,
ma lascio in sospeso questa suggestione per il momento.
Uno degli aspetti che ho apprezzato del
romanzo è l’impostazione asciutta, quasi documentaristica. I personaggi sono
ridotti all’essenziale: niente nomi, niente backstory inutili, solo ciò che
serve per seguirli in un’esperienza che ha più dell’indagine fenomenologica che
della narrazione classica.
È un espediente che funziona, accentua la
spersonalizzazione, il disorientamento, e crea una distanza emotiva che però è
coerente con il mondo narrato. I dialoghi sono tutt’altro che naturali, e anche
questo sembra essere parte del gioco.
Al centro di tutto, a mio avviso, c’è il tema del “dare un nome alle cose”. Nominarle per comprenderle, contenerle, forse dominarle. E qui, nonostante la totale assenza di una comunicazione esplicita con un’entità aliena, il libro mi ha ricordato vagamente Arrival (e, più lontanamente, Stalker), nel modo in cui suggerisce che ogni tentativo di comprensione è sempre e comunque filtrato dal nostro linguaggio, dalle nostre strutture mentali.
Quello che però mi è mancato è proprio il senso di un compimento. L’indefinitezza narrativa, che in parte è affascinante, lascia anche la sensazione che VanderMeer si trattenga troppo, rimandando costantemente le rivelazioni.
È chiaro che intendeva sviluppare la storia su più volumi, ma si avverte una certa artificiosità in questa scelta: come se il primo libro fosse un lungo prologo, quando avrebbe potuto, con un altro centinaio di pagine, essere una storia autoconclusiva e compiuta. Una sensazione amplificata dalla recente rilettura di Picnic sul ciglio della strada, che racconta una storia simile – l’esplorazione di una “Zona” – ma lo fa con una gestione del tempo e del ritmo molto più netta e risolutiva.
Annientamento mi ha lasciato con più domande che risposte, e va bene così, in parte. Ma non so ancora se ciò che troverò nei prossimi due volumi sarà un’espansione o una diluizione.
[Aggiornamento: ai seguenti link, potete proseguire con le recensioni di
Autorità e di
Accettazione.]
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